Percorrere un sentiero in montagna - salita e discesa - è un’esperienza piacevole, semplice, apparentemente banale.
Alcuni trovano la discesa meno faticosa della salita, ma per altri scendere dalla vetta è molto meno agevole che raggiungerla.
La mia difficoltà nello scendere il sentiero è stata da sempre molto evidente, ma, da sempre, attribuivo la cosa alla semplice maggior sollecitazione delle mie articolazioni.
La spiegazione fisico - meccanica mi pareva talmente evidente da ritenere superfluo indagare oltre, ma noi siamo fatti in gran parte di esperienza e con essa ci troviamo a dover fare i conti.
Ecco, quindi, come una breve passeggiata in discesa in un bosco non lontano da casa, un’esperienza di pochi minuti, di per sé insignificante, riesca a rivelarsi un’esperienza particolarmente forte in punto di emozioni, immagini ed altro.
Mentre scendo avverto particolarmente la fatica: percepisco, in modo forte e chiaro, la goffaggine e pesantezza del mio incedere impacciato ed incerto, laddove nella successiva salita il mio passo è sicuro, deciso e leggero.
Sto nell’esperienza di questi due momenti così diversi, concentrandomi sulla sospensione del giudizio e sulla attenzione del mio respiro, riuscendo, una volta tanto, a stare semplicemente con quello che c’è.
Mi arriva chiaramente il pensiero che articolazioni e legamenti poco o nulla hanno a che fare con questa antitetica modalità (di) e percezione (nel) camminare.
La difficoltà a scendere non è altro che la mia paura del discendere all’interno del mio essere, nel profondo della mia anima.
Ogni metro percorso in discesa è un passo verso il mio mondo interiore ove negli anni sono scivolate tutte le mie ansie, paure e sconfitte, il mondo ove risiede la mia ombra. La percezione è chiara e va molto oltre il pensiero, scendendo dalla testa allo stomaco che si torce dolorante; varcare la soglia del regno dell’ombra crea ansia e smarrimento soprattutto in assenza di un “ Duca “ che mi faccia da guida, che, in qualche modo, mi illumini il cammino.
Perché fa così paura lo scendere in me? Soltanto perché non vedo l’arrivo né, in realtà, neppure bene la strada che sto percorrendo o forse perché non voglio entrare in contatto con quello che potrei trovare?
Non sto andando alla conquista della vetta, ma nella direzione esattamente opposta; la cosa mi spiazza ma decido di restare in questo stato d’ansia nello spazio e nel tempo in cui esso si manifesta con tutta la sua forza.
Sento, all’improvviso, che posso permettermi di ( ri ) conoscere quello che c’è laggiù, quel mondo strenuamente combattuto, ma dal quale, finora, sono stata sempre sconfitta, tanto da volerlo, per quanto possibile, evitare.
Grande la fatica e profondo il dolore che provo nello scendere dentro di me ma quanta la gioia nel riconoscere che anche nel fondo più oscuro del mio essere c’è qualcosa che mi appartiene intimamente e che completa la mia persona…
Riconoscere determinati propri aspetti bui e lavorare per riuscire ad integrarli rendendoli una risorsa di luce è un grande regalo che posso decidere di farmi.
Sento di poter diventare il Virgilio di me stessa in modo da poter scendere con gambe non più timorose e doloranti, ma sicure e leggere verso la conquista del fond ( o ) amento di me.
Alcuni trovano la discesa meno faticosa della salita, ma per altri scendere dalla vetta è molto meno agevole che raggiungerla.
La mia difficoltà nello scendere il sentiero è stata da sempre molto evidente, ma, da sempre, attribuivo la cosa alla semplice maggior sollecitazione delle mie articolazioni.
La spiegazione fisico - meccanica mi pareva talmente evidente da ritenere superfluo indagare oltre, ma noi siamo fatti in gran parte di esperienza e con essa ci troviamo a dover fare i conti.
Ecco, quindi, come una breve passeggiata in discesa in un bosco non lontano da casa, un’esperienza di pochi minuti, di per sé insignificante, riesca a rivelarsi un’esperienza particolarmente forte in punto di emozioni, immagini ed altro.
Mentre scendo avverto particolarmente la fatica: percepisco, in modo forte e chiaro, la goffaggine e pesantezza del mio incedere impacciato ed incerto, laddove nella successiva salita il mio passo è sicuro, deciso e leggero.
Sto nell’esperienza di questi due momenti così diversi, concentrandomi sulla sospensione del giudizio e sulla attenzione del mio respiro, riuscendo, una volta tanto, a stare semplicemente con quello che c’è.
Mi arriva chiaramente il pensiero che articolazioni e legamenti poco o nulla hanno a che fare con questa antitetica modalità (di) e percezione (nel) camminare.
La difficoltà a scendere non è altro che la mia paura del discendere all’interno del mio essere, nel profondo della mia anima.
Ogni metro percorso in discesa è un passo verso il mio mondo interiore ove negli anni sono scivolate tutte le mie ansie, paure e sconfitte, il mondo ove risiede la mia ombra. La percezione è chiara e va molto oltre il pensiero, scendendo dalla testa allo stomaco che si torce dolorante; varcare la soglia del regno dell’ombra crea ansia e smarrimento soprattutto in assenza di un “ Duca “ che mi faccia da guida, che, in qualche modo, mi illumini il cammino.
Perché fa così paura lo scendere in me? Soltanto perché non vedo l’arrivo né, in realtà, neppure bene la strada che sto percorrendo o forse perché non voglio entrare in contatto con quello che potrei trovare?
Non sto andando alla conquista della vetta, ma nella direzione esattamente opposta; la cosa mi spiazza ma decido di restare in questo stato d’ansia nello spazio e nel tempo in cui esso si manifesta con tutta la sua forza.
Sento, all’improvviso, che posso permettermi di ( ri ) conoscere quello che c’è laggiù, quel mondo strenuamente combattuto, ma dal quale, finora, sono stata sempre sconfitta, tanto da volerlo, per quanto possibile, evitare.
Grande la fatica e profondo il dolore che provo nello scendere dentro di me ma quanta la gioia nel riconoscere che anche nel fondo più oscuro del mio essere c’è qualcosa che mi appartiene intimamente e che completa la mia persona…
Riconoscere determinati propri aspetti bui e lavorare per riuscire ad integrarli rendendoli una risorsa di luce è un grande regalo che posso decidere di farmi.
Sento di poter diventare il Virgilio di me stessa in modo da poter scendere con gambe non più timorose e doloranti, ma sicure e leggere verso la conquista del fond ( o ) amento di me.