Sono un insegnante. Lavoro in una Scuola Professionale, per intenderci una di quelle guardate sempre con un pò di diffidenza. I suoi allievi/frequentatori, generalmente vi approdano come unica possibilità formativa, o come “ultima spiaggia” su cui naufragare dopo essere stati allontanati da altri istituti più titolati perché incapaci di seguirne i percorsi didattici, o perché più o meno ostentatamente, divenuti disturbatori seriali. A loro, scuole come la mia, offrono l’ultima possibilità, prima che il “sistema formazione”, li abbandoni lasciandoli naufragare nell’oblio.
Non voglio fare una analisi della scuola italiana, dei suoi percorsi, né tanto meno delle dinamiche sociali e/o familiari che in essa si manifestano; non è questo né il luogo né il momento. Desidero solo raccontarvi alcuni aspetti della vita di un insegnante. Generalmente, pensando ad una classe, immaginiamo un gruppo di giovani motivati, desiderosi di crescere ed imparare, ma la realtà è che ai nostri giorni, sempre più spesso, nelle classi si respira un’aria pesante, carica di ostentato provocatorio disinteresse, condito da una palpabile demotivazione.
La sensazione predominante è che i ragazzi sembrano vecchi, non hanno sogni, nemmeno più quello di diventare un giocatore di pallone ricco e famoso, non hanno aspettative, non sanno e non hanno interesse di sapere dove potrebbero essere domani, figurarsi fra cinque anni. Non hanno intenzione di spendere tempo ed energie per rincorrere un sogno e non desiderano nulla se non soldi facili, anche pochi, ma alla condizione di faticare il meno possibile.
Nonostante questo quadro non certamente idilliaco, a me piace insegnare anche se a volte è frustrante, mi fa infuriare, ribellare, litigare, discutere e mi spreme come un limone, sia fisicamente che mentalmente. La sfida è quotidiana con ragazzi che non sono stupidi, ma che ti rifiutano, ti tengono a distanza perchè sei inequivocabilmente adulto e quindi inadatto a qualsiasi contatto o confronto. Si sentono vivi solo nel momento in cui possono opporsi, sfidarti, meglio se aggredirti, almeno verbalmente e vedere fino a che punto sei disposto ad arrivare.
Ed è proprio in questa sfida che si gioca tutto, è li che lì che li puoi conquistare, lì che puoi fare breccia, costruendo una relazione che con ognuno di loro dovrai riscrivere, condividere e rispettare. Se avrai successo, sotto la corazza che ostentano, potrai scoprire mondi nuovi da far crescere, paure da sconfiggere, sensibilità impensate che non aspettano altro che sbocciare; potrai perfino portare avanti con successo gli argomenti del tuo programma didattico. Avere accesso ai loro mondi ed essere accettati come supporto allo loro crescita è un successo inebriante che compensa di tutte le energie spese.
Oggi, agli, insegnanti viene chiesto di rappresentare un soggetto sempre più complesso e impegnativo. Non è più sufficiente essere capace nella propria materia, ma sono richieste sempre crescenti competenze trasversali che vanno dall’essere di supporto a giovani con disturbi conclamati, al saper affrontare con successo il disagio giovanile, al sostituire con la propria immagine di adulto positivo, la figura spesso compromessa di uno dei componenti della famiglia.
Queste nuove richieste che crescono e cresceranno in modo esponenziale di anno in anno, oltre a contaminare il mio ruolo, richiedono formazione e competenze specifiche, che nessuno, se non in modo sommario mi ha dato.
Non puoi che sentirti inadeguato se non hai né le competenze, né il tempo sufficienti per rispondere efficacemente al disagio che molti dei nostri ragazzi manifestano, in maniera così evidente.
Ma allora che fare? La mia soluzione è stata quella di cercare in autonomia risposte, metodi e approcci che mi permettano di superare quelli che sento come miei limiti.
Il mio progetto di miglioramento nasce qui, dove è iniziato, cari amici, il nostro cammino insieme.
Non voglio fare una analisi della scuola italiana, dei suoi percorsi, né tanto meno delle dinamiche sociali e/o familiari che in essa si manifestano; non è questo né il luogo né il momento. Desidero solo raccontarvi alcuni aspetti della vita di un insegnante. Generalmente, pensando ad una classe, immaginiamo un gruppo di giovani motivati, desiderosi di crescere ed imparare, ma la realtà è che ai nostri giorni, sempre più spesso, nelle classi si respira un’aria pesante, carica di ostentato provocatorio disinteresse, condito da una palpabile demotivazione.
La sensazione predominante è che i ragazzi sembrano vecchi, non hanno sogni, nemmeno più quello di diventare un giocatore di pallone ricco e famoso, non hanno aspettative, non sanno e non hanno interesse di sapere dove potrebbero essere domani, figurarsi fra cinque anni. Non hanno intenzione di spendere tempo ed energie per rincorrere un sogno e non desiderano nulla se non soldi facili, anche pochi, ma alla condizione di faticare il meno possibile.
Nonostante questo quadro non certamente idilliaco, a me piace insegnare anche se a volte è frustrante, mi fa infuriare, ribellare, litigare, discutere e mi spreme come un limone, sia fisicamente che mentalmente. La sfida è quotidiana con ragazzi che non sono stupidi, ma che ti rifiutano, ti tengono a distanza perchè sei inequivocabilmente adulto e quindi inadatto a qualsiasi contatto o confronto. Si sentono vivi solo nel momento in cui possono opporsi, sfidarti, meglio se aggredirti, almeno verbalmente e vedere fino a che punto sei disposto ad arrivare.
Ed è proprio in questa sfida che si gioca tutto, è li che lì che li puoi conquistare, lì che puoi fare breccia, costruendo una relazione che con ognuno di loro dovrai riscrivere, condividere e rispettare. Se avrai successo, sotto la corazza che ostentano, potrai scoprire mondi nuovi da far crescere, paure da sconfiggere, sensibilità impensate che non aspettano altro che sbocciare; potrai perfino portare avanti con successo gli argomenti del tuo programma didattico. Avere accesso ai loro mondi ed essere accettati come supporto allo loro crescita è un successo inebriante che compensa di tutte le energie spese.
Oggi, agli, insegnanti viene chiesto di rappresentare un soggetto sempre più complesso e impegnativo. Non è più sufficiente essere capace nella propria materia, ma sono richieste sempre crescenti competenze trasversali che vanno dall’essere di supporto a giovani con disturbi conclamati, al saper affrontare con successo il disagio giovanile, al sostituire con la propria immagine di adulto positivo, la figura spesso compromessa di uno dei componenti della famiglia.
Queste nuove richieste che crescono e cresceranno in modo esponenziale di anno in anno, oltre a contaminare il mio ruolo, richiedono formazione e competenze specifiche, che nessuno, se non in modo sommario mi ha dato.
Non puoi che sentirti inadeguato se non hai né le competenze, né il tempo sufficienti per rispondere efficacemente al disagio che molti dei nostri ragazzi manifestano, in maniera così evidente.
Ma allora che fare? La mia soluzione è stata quella di cercare in autonomia risposte, metodi e approcci che mi permettano di superare quelli che sento come miei limiti.
Il mio progetto di miglioramento nasce qui, dove è iniziato, cari amici, il nostro cammino insieme.