È tardi ed entro nella mia ultima sessione un po’ stanca ma con la ferma convinzione di voler essere di supporto alla mia cliente che aveva scadenzato questo secondo incontro già da tempo. Simona si presenta on-line altrettanto stanca e all’apparenza con poca voglia di portare sul piatto qualcosa di importante su cui voler lavorare. Ci confrontiamo apertamente sui nostri rispettivi stati d’animo e decidiamo così di utilizzare lo spazio della sessione per fare chiarezza su una questione apparentemente strana e non particolarmente impattante, ma che alla fine va a toccare corde emotive profonde e tematiche importanti quali l’accettazione della morte e il relativo bisogno di conforto. La sessione si conclude in maniera positiva e soddisfacente per Simona e io mi ritrovo a scrivere sul mio quaderno di auto-osservazione i punti salienti di quanto vissuto.
Simona è una donna affascinante e sicura di se’, con quella rara abilità del saper utilizzare l’ironia in maniera totalmente dissacrante. Questo rende per me il procedere nella sessione come “una danza sul filo del rasoio”, tra l’evitare di scoppiare a ridere apertamente per le sue battute così sagaci, e il mantenere la leadership del processo di coaching in atto. È una situazione ricca e stimolante che mi permette di comprendere meglio i meccanismi di difesa, che spesso le persone utilizzano consciamente o inconsciamente, per difendersi da ciò che credono essere pericoloso per loro.
Ironia, scherzi e risate sono sistemi spesso usati per evitare di sostare in situazioni che potrebbero essere vissute come dolorose o imbarazzanti. È un meccanismo di deflessione che mette in campo chi, per prendere tempo e non mostrarsi turbato, preferisce farci vedere come si diverte e come non sia minimamente disturbato dall’esperienza che gli viene proposta. Anche il cambiare spesso discorso potrebbe rivelarsi un meccanismo di difesa: se ben fatto, può lasciare il Coach spiazzato, insinuandogli il dubbio di non essere stato sufficientemente chiaro nella formulazione delle sue domande.
Ho imparato che quando questo accade serve accompagnare e non guidare.
Non fare nulla che potrebbe fare alzare ulteriori barriere di difesa o pensieri negativi riguardo al voler procedere per ottenere a tutti i costi un risultato. Serve invece rimanere centrati sul cliente, praticare un ascolto attivo e una comprensione empatica del suo sistema di riferimento interno, che domanda dopo domanda tende naturalmente a rivelarsi. È importante inoltre che il Coach, intensifichi i sentimenti di considerazione positiva incondizionata che prova nei confronti del cliente, sapendo che sarà comunque in grado di trovare il bandolo di quella sua matassa che sembra essere ancora così aggrovigliata.
Così ho fatto con Simona, ho assecondato la sua danza, ritornando in quello spazio magico di co-creazione che si apre tra Coach e Coachee, quelle sue parole che risuonavano vibranti di una sottile e contenuta emozione. Questo le ha permesso di trovare un senso a ciò che stava esplorando, di trovare quella chiarezza che ricercava, e di riscoprirsi con un nuovo “sentire dentro” che la supporterà nei giorni a venire nel portare avanti un progetto professionale importante, avendo ancora più certezza di essere sulla strada giusta.
Simona è una donna affascinante e sicura di se’, con quella rara abilità del saper utilizzare l’ironia in maniera totalmente dissacrante. Questo rende per me il procedere nella sessione come “una danza sul filo del rasoio”, tra l’evitare di scoppiare a ridere apertamente per le sue battute così sagaci, e il mantenere la leadership del processo di coaching in atto. È una situazione ricca e stimolante che mi permette di comprendere meglio i meccanismi di difesa, che spesso le persone utilizzano consciamente o inconsciamente, per difendersi da ciò che credono essere pericoloso per loro.
Ironia, scherzi e risate sono sistemi spesso usati per evitare di sostare in situazioni che potrebbero essere vissute come dolorose o imbarazzanti. È un meccanismo di deflessione che mette in campo chi, per prendere tempo e non mostrarsi turbato, preferisce farci vedere come si diverte e come non sia minimamente disturbato dall’esperienza che gli viene proposta. Anche il cambiare spesso discorso potrebbe rivelarsi un meccanismo di difesa: se ben fatto, può lasciare il Coach spiazzato, insinuandogli il dubbio di non essere stato sufficientemente chiaro nella formulazione delle sue domande.
Ho imparato che quando questo accade serve accompagnare e non guidare.
Non fare nulla che potrebbe fare alzare ulteriori barriere di difesa o pensieri negativi riguardo al voler procedere per ottenere a tutti i costi un risultato. Serve invece rimanere centrati sul cliente, praticare un ascolto attivo e una comprensione empatica del suo sistema di riferimento interno, che domanda dopo domanda tende naturalmente a rivelarsi. È importante inoltre che il Coach, intensifichi i sentimenti di considerazione positiva incondizionata che prova nei confronti del cliente, sapendo che sarà comunque in grado di trovare il bandolo di quella sua matassa che sembra essere ancora così aggrovigliata.
Così ho fatto con Simona, ho assecondato la sua danza, ritornando in quello spazio magico di co-creazione che si apre tra Coach e Coachee, quelle sue parole che risuonavano vibranti di una sottile e contenuta emozione. Questo le ha permesso di trovare un senso a ciò che stava esplorando, di trovare quella chiarezza che ricercava, e di riscoprirsi con un nuovo “sentire dentro” che la supporterà nei giorni a venire nel portare avanti un progetto professionale importante, avendo ancora più certezza di essere sulla strada giusta.