Bella domanda. Come si fa a valutare un’attività di counseling che riguarda essenzialmente un tipo di relazione - educativa e di formazione - che deve rispettare il sistema innato di un individuo, le sue motivazioni, le sue valutazioni, il suo controllo e fare in modo che sia in grado di ascoltare i segnali del suo ‘organismo’, grazie ai quali soddisfarne i bisogni?
E’ come dire: ‘se permetti al tuo ‘organismo’ (corpo, emozione e mente) di dispiegarsi, soddisferai i tuoi veri bisogni!’. Bella forza. Il problema è che l’organismo viaggia su binari diversi da quelli cognitivi e non è facile che: ‘dire’, ‘fare’ ed ‘essere’, siano sintonizzati.
Ecco allora che il criterio di valutazione di un’attività di counseling diventa la realizzazione di uno spazio elettivo di accoglienza, ascolto, neutralità positiva e fiducia incondizionata nell’altra persona.
Ed è lì, nella relazione, in quel colloquio, che si dispiegano la maggior parte delle competenze del counselor (abilità sociali e competenze comunicative, abilità di stimolo nei processi decisionali e nel problem solving) nel risvegliare le tendenze accrescitive del cliente e le sue potenzialità.
Nella relazione, il cliente percepisce e racconta la realtà che riconosce attraverso la sua esperienza. In base alle sue mappe, attualizza le potenzialità del suo organismo e riconosce come positive le esperienze favorevoli al suo mantenimento e accrescimento. Cerca pertanto le esperienze che percepisce come positive ed evita quelle che percepisce come negative. Tutto ciò che implica un cambiamento nella percezione di sé e nei propri atteggiamenti, è avvertito come una minaccia e tende a suscitare resistenze.
Per favorire la realizzazione personale del cliente, l’operatività del counselor viene allora valutata nella sua capacità di aiutare il cliente a riformulare la comprensione delle sue problematiche, facilitare il chiarimento delle sue idee e stimolare l’attivazione delle sue capacità, evitando in modo assoluto di dare consigli, giudizi, rassicurazioni.
Sembra facile? Non lo è!
Il tutto avviene attraverso scambi di sensazioni, azioni e reazioni, e continui feedback reciproci, dove il cliente percepisce se stesso al centro della sua esperienza e il counselor lo aiuta a fidarsi dei dati della sua esperienza e della sua ‘straordinaria’ coscienza.
E’ come dire: ‘se permetti al tuo ‘organismo’ (corpo, emozione e mente) di dispiegarsi, soddisferai i tuoi veri bisogni!’. Bella forza. Il problema è che l’organismo viaggia su binari diversi da quelli cognitivi e non è facile che: ‘dire’, ‘fare’ ed ‘essere’, siano sintonizzati.
Ecco allora che il criterio di valutazione di un’attività di counseling diventa la realizzazione di uno spazio elettivo di accoglienza, ascolto, neutralità positiva e fiducia incondizionata nell’altra persona.
Ed è lì, nella relazione, in quel colloquio, che si dispiegano la maggior parte delle competenze del counselor (abilità sociali e competenze comunicative, abilità di stimolo nei processi decisionali e nel problem solving) nel risvegliare le tendenze accrescitive del cliente e le sue potenzialità.
Nella relazione, il cliente percepisce e racconta la realtà che riconosce attraverso la sua esperienza. In base alle sue mappe, attualizza le potenzialità del suo organismo e riconosce come positive le esperienze favorevoli al suo mantenimento e accrescimento. Cerca pertanto le esperienze che percepisce come positive ed evita quelle che percepisce come negative. Tutto ciò che implica un cambiamento nella percezione di sé e nei propri atteggiamenti, è avvertito come una minaccia e tende a suscitare resistenze.
Per favorire la realizzazione personale del cliente, l’operatività del counselor viene allora valutata nella sua capacità di aiutare il cliente a riformulare la comprensione delle sue problematiche, facilitare il chiarimento delle sue idee e stimolare l’attivazione delle sue capacità, evitando in modo assoluto di dare consigli, giudizi, rassicurazioni.
Sembra facile? Non lo è!
Il tutto avviene attraverso scambi di sensazioni, azioni e reazioni, e continui feedback reciproci, dove il cliente percepisce se stesso al centro della sua esperienza e il counselor lo aiuta a fidarsi dei dati della sua esperienza e della sua ‘straordinaria’ coscienza.