
I VALORI FONDANTI
Il principale valore fondante di una relazione di coaching è la fiducia. Essa viene data al coach dal suo coachee in quanto custode e garante di tutto quello che viene condiviso all’interno di questo rapporto, viene data al coachee dal suo coach in quanto certamente in possesso di tutti gli strumenti per raggiungere il suo obiettivo.
Ma la fiducia normalmente è frutto di una relazione in cui la conoscenza tra le parti sia consolidata nel tempo, caratteristica che in un intervento di coaching, ovvero tra due persone che fino al primo incontro non sapevano delle reciproche esistenze, viene data “a credito”, con riserva di verifica in corso d’opera.
Ciò che fa da garante a questo atto di fede è proprio l’etica, ovvero il rispetto da parte del coach di quei principi etici che sono alla base di una relazione basata sulla fiducia.
Vi sono vari decaloghi di regole di etica comportamentale professionale che disciplinano la professione del coach, la più prestigiosa e qualificante è sicuramente quella stilata dall’ICF (International Coaching Federation) che racchiude un lungo elenco di azioni da non fare, comportamenti da evitare, regole comportamentali da seguire.
Il processo di certificazione all’ICF è lungo ed economicamente molto oneroso ma sicuramente consente di potersi fregiare di un identità, soprattutto in ambito Business & Executive Coaching, di professionista serio e affidabile.
Ma può un elenco di regole, garantire l’eticità di una relazione di coaching?
Partendo dal presupposto che un coach ha il compito di condurre il suo cliente attraverso un percorso di evoluzione fino al raggiungimento del suo obiettivo, il comportamento etico può essere solo limitato al rispetti di cose da fare o non fare, o si spinge oltre?
Onorare il patto fiduciario stipulato tra coach e cliente attraverso l’etica professionale deve andare oltre al rispetto di regole comportamentali, deve spingersi fino al massimo rispetto del cliente, dei suoi equilibri, dei suoi tempi evolutivi, dei suoi processi.
L’etica nel coaching ha un significato molto più profondo e non circoscrivibile in un ambito di regole e azioni, si spinge fino al sacrificio supremo dell’ego del coach a favore del suo cliente in quanto il processo di evoluzione all’interno del quale si trova deve essere neutro ed incontaminato da qualsiasi presenza egoica del coach, deve essere puro e assoluto.
Il principale valore fondante di una relazione di coaching è la fiducia. Essa viene data al coach dal suo coachee in quanto custode e garante di tutto quello che viene condiviso all’interno di questo rapporto, viene data al coachee dal suo coach in quanto certamente in possesso di tutti gli strumenti per raggiungere il suo obiettivo.
Ma la fiducia normalmente è frutto di una relazione in cui la conoscenza tra le parti sia consolidata nel tempo, caratteristica che in un intervento di coaching, ovvero tra due persone che fino al primo incontro non sapevano delle reciproche esistenze, viene data “a credito”, con riserva di verifica in corso d’opera.
Ciò che fa da garante a questo atto di fede è proprio l’etica, ovvero il rispetto da parte del coach di quei principi etici che sono alla base di una relazione basata sulla fiducia.
Vi sono vari decaloghi di regole di etica comportamentale professionale che disciplinano la professione del coach, la più prestigiosa e qualificante è sicuramente quella stilata dall’ICF (International Coaching Federation) che racchiude un lungo elenco di azioni da non fare, comportamenti da evitare, regole comportamentali da seguire.
Il processo di certificazione all’ICF è lungo ed economicamente molto oneroso ma sicuramente consente di potersi fregiare di un identità, soprattutto in ambito Business & Executive Coaching, di professionista serio e affidabile.
Ma può un elenco di regole, garantire l’eticità di una relazione di coaching?
Partendo dal presupposto che un coach ha il compito di condurre il suo cliente attraverso un percorso di evoluzione fino al raggiungimento del suo obiettivo, il comportamento etico può essere solo limitato al rispetti di cose da fare o non fare, o si spinge oltre?
Onorare il patto fiduciario stipulato tra coach e cliente attraverso l’etica professionale deve andare oltre al rispetto di regole comportamentali, deve spingersi fino al massimo rispetto del cliente, dei suoi equilibri, dei suoi tempi evolutivi, dei suoi processi.
L’etica nel coaching ha un significato molto più profondo e non circoscrivibile in un ambito di regole e azioni, si spinge fino al sacrificio supremo dell’ego del coach a favore del suo cliente in quanto il processo di evoluzione all’interno del quale si trova deve essere neutro ed incontaminato da qualsiasi presenza egoica del coach, deve essere puro e assoluto.

LA NON INTERFERENZA
Il tipo di rapporto a cui faccio riferimento può essere sintetizzato attraverso un termine:
NON INTERFERENZA
La NON INTERFERENZA è quindi il picco assoluto di rispetto dell’etica professionale in quanto racchiude in se il significa del tipo di apporto che un coach dovrebbe tenere all’interno di una relazione di aiuto con il suo coachee.
In una relazione, di qualsiasi natura, le personalità dei protagonisti si contaminano attraverso la comunicazione, che sia verbale o non verbale, influenzandosi continuamente tra approvazione, giudizio, critica.
L’ego cerca continuamente di emergere cercando di manifestarsi alla ricerca di approvazione per poter appagare la propria autostima e celebrarsi quale parte migliore e forte rispetto all’altro.
Questo avviene anche in maniera sottile, attraverso semplici gesti, o sottolineature alle parole o posture corporali. Apparenti innocui atteggiamenti possono influenzare l’equilibrio tra gli attori e generare o stati inconsapevoli di disagio e deviare il flusso di pensiero verso mete non desiderate. La conseguenza di questi apporti voluti dall’ego potrebbe avere conseguenze nefaste all’interno della relazione di aiuto portando fuori rotta il coachee rispetto al processo di pensiero intrapreso.
Il coach quindi , nell’applicare la NON INTERFERENZA, deve porsi in una posizione di neutralità assoluta, deve essere nel campo senza apportare nessuna modificazione, deve essere una presenza – non presenza, in modo da non violare i processi spontanei che si stanno compiendo nella mente del suo cliente.
Per poter arrivare a questa eccellenza occorre imparare a dominarsi, a controllarsi, a rispettare in maniera totalizzante il processo evolutivo del cliente. Occorre violentarsi e mettere in parcheggio il proprio ego che continuamente spinge per manifestare la propria magnificenza e posizione di superiorità alla ricerca di autoglorificazione sterile all’interno del setting di coaching. Come coach non siamo di fronte al nostro cochee per dimostrargli quanto siamo preparati, ma per agevolarlo nel suo processo volto al raggiungimento del suo obiettivo. Siamo al suo servizio e per farlo non abbiamo bisogno che lui ci gratifichi l’autostima…quella è già stata riconosciuta ed è a posto con se stessa attraverso il lavoro che sta a monte della preparazione professionale di un coach…il focus è il cliente ed i suoi bisogni.
Il setting deve vederci neutri, il nostro apporto deve essere limitato alla funzione di accettazione e guida secondo tempi e percorsi utili al nostro cochee, la nostra presenza deve essere metaforicamente come un caldo abbraccio accogliente e fiducioso ma non interferente.
Dobbiamo essere consapevoli che siamo al servizio di un processo evolutivo e qualsiasi cosa facciamo potrebbe mutarne le sorti, di conseguenza ciò che facciamo e che dobbiamo fare deve essere nell’ottica del rispetto del cliente e della non contaminazione egoica. Siamo uno specchio positivo di fronte al quale il cochee possa vedersi e confrontarsi come se fosse da solo ma allo stesso tempo confortato e rassicurato nel percorso che sta compiendo alla scoperta dei mezzi che già possiede utili al raggiungimento del suo scopo.
La NON INTERFERNZA contempla come diretta conseguenza anche la NON URGENZA che significa il rispetto dei tempi di processo evolutivo del cochee. Ciò che a noi magari potrebbe apparire chiaro e risolutivo, non è detto che sia lo stesso per il nostro cochee. Secondo la PNL ogni individuo ha la sua mappa del mondo e la mappa non è il territorio…è il mondo individuale di chi l’ha disegnata. E’ frutto di una realtà individuale plasmata da condizionamenti subiti dall’ambiente in cui si è immersi, quindi filtrata secondo una individuale e unica visione.
Di conseguenza, essendo anche noi coach all’interno di questo sistema di filtraggio della realtà, il nostro apporto interferente sarebbe figlio della nostra mappa del mondo e quindi contaminante rispetto alla visione della realtà del cliente che invece è la geografia all’interno della quale si deve muovere per scoprire le risorse che gli servono al raggiungimento dei suoi scopi.
Il raggiungimento di questo stato di NON INTERFERENZA è il punto di eccellenza e di arrivo nella preparazione di un coach, è la sintesi di un processo di crescita personale che lo vede come meta a cui ambire per poter realmente immaginare di operare all’interno di una relazione di aiuto apportando quel contributo che possa realmente agevolare un processo evolutivo in un’altra persona.
Il tipo di rapporto a cui faccio riferimento può essere sintetizzato attraverso un termine:
NON INTERFERENZA
La NON INTERFERENZA è quindi il picco assoluto di rispetto dell’etica professionale in quanto racchiude in se il significa del tipo di apporto che un coach dovrebbe tenere all’interno di una relazione di aiuto con il suo coachee.
In una relazione, di qualsiasi natura, le personalità dei protagonisti si contaminano attraverso la comunicazione, che sia verbale o non verbale, influenzandosi continuamente tra approvazione, giudizio, critica.
L’ego cerca continuamente di emergere cercando di manifestarsi alla ricerca di approvazione per poter appagare la propria autostima e celebrarsi quale parte migliore e forte rispetto all’altro.
Questo avviene anche in maniera sottile, attraverso semplici gesti, o sottolineature alle parole o posture corporali. Apparenti innocui atteggiamenti possono influenzare l’equilibrio tra gli attori e generare o stati inconsapevoli di disagio e deviare il flusso di pensiero verso mete non desiderate. La conseguenza di questi apporti voluti dall’ego potrebbe avere conseguenze nefaste all’interno della relazione di aiuto portando fuori rotta il coachee rispetto al processo di pensiero intrapreso.
Il coach quindi , nell’applicare la NON INTERFERENZA, deve porsi in una posizione di neutralità assoluta, deve essere nel campo senza apportare nessuna modificazione, deve essere una presenza – non presenza, in modo da non violare i processi spontanei che si stanno compiendo nella mente del suo cliente.
Per poter arrivare a questa eccellenza occorre imparare a dominarsi, a controllarsi, a rispettare in maniera totalizzante il processo evolutivo del cliente. Occorre violentarsi e mettere in parcheggio il proprio ego che continuamente spinge per manifestare la propria magnificenza e posizione di superiorità alla ricerca di autoglorificazione sterile all’interno del setting di coaching. Come coach non siamo di fronte al nostro cochee per dimostrargli quanto siamo preparati, ma per agevolarlo nel suo processo volto al raggiungimento del suo obiettivo. Siamo al suo servizio e per farlo non abbiamo bisogno che lui ci gratifichi l’autostima…quella è già stata riconosciuta ed è a posto con se stessa attraverso il lavoro che sta a monte della preparazione professionale di un coach…il focus è il cliente ed i suoi bisogni.
Il setting deve vederci neutri, il nostro apporto deve essere limitato alla funzione di accettazione e guida secondo tempi e percorsi utili al nostro cochee, la nostra presenza deve essere metaforicamente come un caldo abbraccio accogliente e fiducioso ma non interferente.
Dobbiamo essere consapevoli che siamo al servizio di un processo evolutivo e qualsiasi cosa facciamo potrebbe mutarne le sorti, di conseguenza ciò che facciamo e che dobbiamo fare deve essere nell’ottica del rispetto del cliente e della non contaminazione egoica. Siamo uno specchio positivo di fronte al quale il cochee possa vedersi e confrontarsi come se fosse da solo ma allo stesso tempo confortato e rassicurato nel percorso che sta compiendo alla scoperta dei mezzi che già possiede utili al raggiungimento del suo scopo.
La NON INTERFERNZA contempla come diretta conseguenza anche la NON URGENZA che significa il rispetto dei tempi di processo evolutivo del cochee. Ciò che a noi magari potrebbe apparire chiaro e risolutivo, non è detto che sia lo stesso per il nostro cochee. Secondo la PNL ogni individuo ha la sua mappa del mondo e la mappa non è il territorio…è il mondo individuale di chi l’ha disegnata. E’ frutto di una realtà individuale plasmata da condizionamenti subiti dall’ambiente in cui si è immersi, quindi filtrata secondo una individuale e unica visione.
Di conseguenza, essendo anche noi coach all’interno di questo sistema di filtraggio della realtà, il nostro apporto interferente sarebbe figlio della nostra mappa del mondo e quindi contaminante rispetto alla visione della realtà del cliente che invece è la geografia all’interno della quale si deve muovere per scoprire le risorse che gli servono al raggiungimento dei suoi scopi.
Il raggiungimento di questo stato di NON INTERFERENZA è il punto di eccellenza e di arrivo nella preparazione di un coach, è la sintesi di un processo di crescita personale che lo vede come meta a cui ambire per poter realmente immaginare di operare all’interno di una relazione di aiuto apportando quel contributo che possa realmente agevolare un processo evolutivo in un’altra persona.