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Coaching Sportivo 'Il corpo muto: le prove che paralizzano' di Paola Negrini

13/6/2014

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Immagine
Le gare mi piacciono.
La competizione fa vivere forti emozioni. Mi mette in discussione; mi lancia nella mischia.
Stimola sensazioni e reazioni nel corpo e nel pensiero che avverto vibranti.

Successo o insuccesso? Giudizio o astensione?

Spesso, a bordo piscina, nella falsa quiete che precede una gara, si possono osservare gli atteggiamenti ed i gesti degli atleti di fronte a una prova che mette in gioco e allo stesso tempo, è il gioco!

L'ansia è palpabile.
I riti, la vestizione, le frasi che non creano aspettativa (‘oggi faccio poco … ’ , ‘non sono in gran forma … ’ , ‘penso mi fermerò ai cinquanta … ’ , ecc.).
Per non deludere, per lasciarsi una porta aperta, per poter fuggire del nostro stesso giudizio, che a volte può essere schiacciante e impedire la reazione. L'evoluzione!

Nell'apnea la calma è fondamentale.
Cercare una strategia che faccia rallentare i pensieri, che renda armoniosi i gesti.
L'abilità sta nel riuscire a contattarsi profondamente, lasciarsi abitare da ciò che dimora nella parte più nascosta, dove per pochi istanti prima di partire, possiamo sentirci bene, con forti sensazioni.

Una specie di spazio sospeso fra me e l'acqua che mi accoglie.
In quell'angolo prezioso conosco le mie aspettative, le mie profonde motivazioni (quelle che mi fan muovere le gambe), la conoscenza reale  del potenziale ma anche del limite, qualche volta invalicabile, di una mente che presto combatterà per farmi riemergere.

Eppure qualche volta qualcosa può andar storto. Quando sono sulla pedana di partenza sento le gambe tremolanti che si ribellano alla possibile delusione e tentano di correr via e di cercare il loro posto, a volte guardando altrove e fuggendo da loro stesse. A volte, invece, ritorte, comandate dalla ragione a collaborare, virano all'interno e le ginocchia sconsolate mi fan piangere i malleoli.

La schiena intanto, là dietro nel codino, si tende come un arco a cercare di liberarsi da tanta incapacità, dal peso insostenibile dell'ansia mal celata che in qualche modo cerca di ricacciare al mittente, con grande sforzo e poca comprensione.

Le braccia a “Pinocchio” sembrano inchiodate al busto come create in un secondo momento. Legnose e poco flessibili, non hanno alcuna intenzione di colloquiare con la schiena e con le scapole che a loro volta, se ne stanno lì sui tacchi, pungigliose come a corazzare una parte che proprio non vuol essere attaccata; proprio lì, dietro alla dignità.

Il respiro poi si fa prigioniero, corto come quello di un asino in salita e il diaframma diventa sordo e resistente alle richieste.
Resistenza di pensiero. Resistenza di muscoli e corpo osseo. Candidato allo specchio del giudizio a mutare la sua forma, modellandosi in silenzio come un guerriero dentro la sua armatura!

Che si tratti di una gara o di una situazione “asciutta”, dove dobbiamo esporci e trovare le nostre migliori risorse, non fa molta differenza.
La sensazione è sempre quella di due piccole me stesse: una cerca un varco per poter fuggire velocemente, l'altra che si muove nella direzione opposta a cercare una soluzione immediata.
Il risultato può essere paralizzante!

Nonostante i tentativi di sottrarsi da questo circo messo insieme da tante forze tumultuose, il corpo parla e parla fragorosamente.
Comunica a chi ci osserva, parla alle persone, dialoga con i nostri sentimenti e chiede se siamo disposti a lasciarci andare, a cercare quel contatto.

Nel divenire dell'apnea poi è tutto più semplice.
Se ho fatto bene i conti con i tasti che ho sfiorato e le leve dell'inganno, facilmente saprò starmi vicino.
Come se l'ombra che sta sotto di me nell'avanzamento, mi tenesse compagnia e mi riportasse a quel luogo sospeso che tanto bene ho avvicinato.
L'importante poi è non prendersi troppo sul serio; in fondo ogni prova sotto e fuori dall'acqua, è soltanto un gioco. 


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