Uno dei motivi che può portare una persona ad iniziare un percorso di coaching è il desiderio di parlare di qualcosa che si sta vivendo in modo difficoltoso.
Può essere una relazione affettiva, un’esperienza di lavoro, un fermo e un calo di rendimento nello sport, qualsiasi sia la natura del disagio che si vive, emerge il desiderio di parlarne, di condividere.
Nella vita quotidiana le persone, quando provano ad esternare i loro pensieri e i loro stati d’animo, trovano platee di ascolto non sempre rispondenti alle loro aspettative, vuoi per differenze di età, sesso, di esperienze, di interessi ma soprattutto perché spesso si incontrano punti di vista differenti e arrivano modalità di ascolto o di risposte che più che dar sollievo, lasciano la sensazione di non aver trovato l’accoglienza desiderata.
Nei primi colloqui di coaching, l’ambiente e la relazione con il coach offrono un posto speciale al cliente che ha desiderio che le sue parole non solo vengano udite ma anche ascoltate, comprese e accolte.
La persona qui, dopo aver rotto il ghiaccio con l’imbarazzo iniziale, si accorge che mentre parla può sperimentare un ascolto attento e partecipe da parte del coach, che si caratterizza per il non giudizio, la neutralità di prospettive e punti di vista.
Il coach comprende così il mondo del suo cliente, i pensieri, le emozioni e le credenze che lo popolano.
Piano piano ci si lascia andare, il corpo fa conoscenza con la poltrona, il controllo dei pensieri cessa, le parole escono fluide, autentiche. Non vengono solo narrate, ma si fanno cariche di significati importanti che tracciano un collegamento chiaro con ciò che la persona vive e prova nell’animo.
A tratti, il dialogo viene interrotto da pause e la narrazione lascia spazio al silenzio, momento in cui si continua a comunicare, ma su un piano diverso e i messaggi del corpo e le emozioni prendono la parola. Può essere un silenzio che parla di rabbia, di vergogna, di paura, di tristezza o di gioia. Può scendere una lacrima o arrivare un sorriso sul volto.
In ogni caso, questo è un silenzio che comprende, elabora e manifesta ciò che si è rappresentato con le parole durante il colloquio.
Il coaching, quindi, è sì un ambito di crescita e consapevolezza, di messa a fuoco di competenze, risorse e obiettivi, ma come per altre professioni che si stanno affermando parallelamente, quali il counseling, è prima di tutto un ambiente dove una persona può sperimentare fiducia, ascolto e attenzione.
Può essere una relazione affettiva, un’esperienza di lavoro, un fermo e un calo di rendimento nello sport, qualsiasi sia la natura del disagio che si vive, emerge il desiderio di parlarne, di condividere.
Nella vita quotidiana le persone, quando provano ad esternare i loro pensieri e i loro stati d’animo, trovano platee di ascolto non sempre rispondenti alle loro aspettative, vuoi per differenze di età, sesso, di esperienze, di interessi ma soprattutto perché spesso si incontrano punti di vista differenti e arrivano modalità di ascolto o di risposte che più che dar sollievo, lasciano la sensazione di non aver trovato l’accoglienza desiderata.
Nei primi colloqui di coaching, l’ambiente e la relazione con il coach offrono un posto speciale al cliente che ha desiderio che le sue parole non solo vengano udite ma anche ascoltate, comprese e accolte.
La persona qui, dopo aver rotto il ghiaccio con l’imbarazzo iniziale, si accorge che mentre parla può sperimentare un ascolto attento e partecipe da parte del coach, che si caratterizza per il non giudizio, la neutralità di prospettive e punti di vista.
Il coach comprende così il mondo del suo cliente, i pensieri, le emozioni e le credenze che lo popolano.
Piano piano ci si lascia andare, il corpo fa conoscenza con la poltrona, il controllo dei pensieri cessa, le parole escono fluide, autentiche. Non vengono solo narrate, ma si fanno cariche di significati importanti che tracciano un collegamento chiaro con ciò che la persona vive e prova nell’animo.
A tratti, il dialogo viene interrotto da pause e la narrazione lascia spazio al silenzio, momento in cui si continua a comunicare, ma su un piano diverso e i messaggi del corpo e le emozioni prendono la parola. Può essere un silenzio che parla di rabbia, di vergogna, di paura, di tristezza o di gioia. Può scendere una lacrima o arrivare un sorriso sul volto.
In ogni caso, questo è un silenzio che comprende, elabora e manifesta ciò che si è rappresentato con le parole durante il colloquio.
Il coaching, quindi, è sì un ambito di crescita e consapevolezza, di messa a fuoco di competenze, risorse e obiettivi, ma come per altre professioni che si stanno affermando parallelamente, quali il counseling, è prima di tutto un ambiente dove una persona può sperimentare fiducia, ascolto e attenzione.