Il coaching affronta i problemi con una metodologia da investigatore che non si ferma finché non ha individuato la sua traccia.
Adotta mezzi leciti e non leciti, filosofia e scienza, per capire i sistemi complessi delle persone e dei gruppi, e far funzionare, meglio, quegli insiemi.
L’atteggiamento di fondo è la ricerca di una scienza pragmatica. Tutti la cerchiamo. L’unica vera differenza è la visione operativa. Sia che adotti un sistema naif o un sistema esperto, scientifico, il coach si differenzia per la sua conoscenza, competenza e prospettiva.
Certo fanno stizzire quei coach (e sono tanti, spesso inseriti in ruoli importanti della società) che sono palesemente disarmati non solo di visione, ma di strategie e di capacità. Di strumenti minimi.
La visione olistica cosa concepisce rispetto ad altre prospettive che tendono invece alla specializzazione?
La profondità olistica è rappresentata dal cerchio. Non da una strada diritta. Da una parte, definisce l’applicazione di un metodo scientifico, come nelle emergenze psicologiche, mediche o professionali che siano, individuandone un sistema funzionale, dall’altra ritiene necessario utilizzare metodi ampiamente interdisciplinari e multidisciplinari.
Non divide, ma affronta la complessità, la vuole scoprire. Quindi, si nutre di ricerca scientifica, cerca le interazioni nei comportamenti per comprenderne la forza e apprende attraverso le risposte degli atteggiamenti. Attraverso il feedback, cerca di capire cosa funziona, ma soprattutto come funziona un intero sistema. Per migliorarlo.
Il coaching cerca l’intelligenza del fare e la cerca in una prospettiva ampia, la più ampia: quella collettiva. Non c’è da stupirsi, quindi, che insegnanti, allenatori, maestri, professionisti, vogliano mettersi il costume e immergersi in questo flusso di coscienza ‘termale’.
Adotta mezzi leciti e non leciti, filosofia e scienza, per capire i sistemi complessi delle persone e dei gruppi, e far funzionare, meglio, quegli insiemi.
L’atteggiamento di fondo è la ricerca di una scienza pragmatica. Tutti la cerchiamo. L’unica vera differenza è la visione operativa. Sia che adotti un sistema naif o un sistema esperto, scientifico, il coach si differenzia per la sua conoscenza, competenza e prospettiva.
Certo fanno stizzire quei coach (e sono tanti, spesso inseriti in ruoli importanti della società) che sono palesemente disarmati non solo di visione, ma di strategie e di capacità. Di strumenti minimi.
La visione olistica cosa concepisce rispetto ad altre prospettive che tendono invece alla specializzazione?
La profondità olistica è rappresentata dal cerchio. Non da una strada diritta. Da una parte, definisce l’applicazione di un metodo scientifico, come nelle emergenze psicologiche, mediche o professionali che siano, individuandone un sistema funzionale, dall’altra ritiene necessario utilizzare metodi ampiamente interdisciplinari e multidisciplinari.
Non divide, ma affronta la complessità, la vuole scoprire. Quindi, si nutre di ricerca scientifica, cerca le interazioni nei comportamenti per comprenderne la forza e apprende attraverso le risposte degli atteggiamenti. Attraverso il feedback, cerca di capire cosa funziona, ma soprattutto come funziona un intero sistema. Per migliorarlo.
Il coaching cerca l’intelligenza del fare e la cerca in una prospettiva ampia, la più ampia: quella collettiva. Non c’è da stupirsi, quindi, che insegnanti, allenatori, maestri, professionisti, vogliano mettersi il costume e immergersi in questo flusso di coscienza ‘termale’.