Capita spesso di chiedersi se e come intervenire in soccorso delle persone che manifestano un bisogno.
Avendo gli strumenti, avendo acquisito un’esperienza siamo spesso chiamati a rispondere con suggerimenti e consigli anche in situazioni casuali. Lo dobbiamo fare?
La risposta è 'no!', perché dal punto di vista di una relazione seria la domanda della persona non è stata esplicitata.
E’ stato richiesto un ascolto, è stato richiesto un conforto, è stato richiesto uno spazio emotivo di sostegno, ma non è stata fatta una domanda esplicita come ad esempio: ‘sento questo e mi chiedo quest’altro’: mi puoi aiutare in modo professionale?’
Nel caso di dialoghi non strutturati, come accade comunemente ogni giorno, l’esperienza consiglia la cautela dell’intervento sia delle parole che della mimica: uno schermo neutrale che apre all'ascolto della domanda implicita e delle emozioni sottostanti, con la sola risonanza.
Se si percepisce un bisogno si interviene umanamente. L’amico o l’amica, infatti, nel chiedere un sostegno al proprio sentire, alle proprie strategie o ai propri dubbi, non richiedono di mettere mano ai propri costrutti personali. Chiedono 'solo' un conforto o un sostegno al proprio patire.
Se la domanda, che è frutto di una emergenza cosciente del proprio sentire, agire e reagire, non raggiunge la maturità di una richiesta esplicita, non può immergersi nel laboratorio creativo della relazione professionale.
Il cliente e il coach, insieme, si ritrovano a parlare il linguaggio della trasformazione quando c’è la disponibilità ad amalgamare le domande emergenti insieme alla esperienze professionali. Pertanto, solo al raggiungimento di una condizione consapevole del cliente è possibile intervenire.
Ogni altro intervento è stimolante, probabilmente motivante, raggiunge le forme dell’educare e dell’insegnare, ma non raggiunge la coscienza attiva o la meditazione che rende il cliente autonomo e creativo nella realizzazione delle sue nuove sintesi.
Avendo gli strumenti, avendo acquisito un’esperienza siamo spesso chiamati a rispondere con suggerimenti e consigli anche in situazioni casuali. Lo dobbiamo fare?
La risposta è 'no!', perché dal punto di vista di una relazione seria la domanda della persona non è stata esplicitata.
E’ stato richiesto un ascolto, è stato richiesto un conforto, è stato richiesto uno spazio emotivo di sostegno, ma non è stata fatta una domanda esplicita come ad esempio: ‘sento questo e mi chiedo quest’altro’: mi puoi aiutare in modo professionale?’
Nel caso di dialoghi non strutturati, come accade comunemente ogni giorno, l’esperienza consiglia la cautela dell’intervento sia delle parole che della mimica: uno schermo neutrale che apre all'ascolto della domanda implicita e delle emozioni sottostanti, con la sola risonanza.
Se si percepisce un bisogno si interviene umanamente. L’amico o l’amica, infatti, nel chiedere un sostegno al proprio sentire, alle proprie strategie o ai propri dubbi, non richiedono di mettere mano ai propri costrutti personali. Chiedono 'solo' un conforto o un sostegno al proprio patire.
Se la domanda, che è frutto di una emergenza cosciente del proprio sentire, agire e reagire, non raggiunge la maturità di una richiesta esplicita, non può immergersi nel laboratorio creativo della relazione professionale.
Il cliente e il coach, insieme, si ritrovano a parlare il linguaggio della trasformazione quando c’è la disponibilità ad amalgamare le domande emergenti insieme alla esperienze professionali. Pertanto, solo al raggiungimento di una condizione consapevole del cliente è possibile intervenire.
Ogni altro intervento è stimolante, probabilmente motivante, raggiunge le forme dell’educare e dell’insegnare, ma non raggiunge la coscienza attiva o la meditazione che rende il cliente autonomo e creativo nella realizzazione delle sue nuove sintesi.