Il coaching è per definizione una strategia di formazione che, partendo dall’unicità dell'individuo, si propone di operare un cambiamento, una trasformazione che possa migliorare e amplificare le proprie specifiche potenzialità per raggiungere obiettivi personali, di team, manageriali e/o sportivi.
È una relazione processuale, che si propone di individuare quegli ‘strumenti’ che facilitino il riconoscimento e la elaborazione di determinati obiettivi, rinforzando la propria efficacia e la propria prestazione.
Il presupposto di base e di partenza è che ogni persona abbia in sé delle potenzialità latenti. L’obiettivo del coach unitamente al coachee, è quello di favorire l’ emergere di tali risorse, configurarle, incrementarle, organizzarle, renderle sempre più efficaci, espanderle per poterle utilizzare al meglio attraverso un processo autonomo di apprendimento, che consenta l’avvio di nuove azioni efficaci nell’ interazione con l’ambiente nel quale si genera la domanda.
Il coaching deve tener conto di questa unicità rispetto alla domanda di cambiamento che il coachee porta nella sua richiesta di aiuto, supportando la rivisitazione di alcuni suoi ‘abiti mentali ed emotivi’ e per favorire un nuovo senso di auto-efficacia grazie alla messa in discussione dei già pre-esistenti paradigmi cognitivo-emozionali che possono rappresentare limiti ad uno sguardo che tende a proiettarsi in un panorama nuovo e più ampio.
Ho voluto focalizzare l’attenzione sui meccanismi di difesa in quanto questi intervengono costantemente - volontariamente e ancor più involontariamente - in qualsiasi processo di cambiamento, in quanto ciò implica anche il coinvolgimento e la messa in discussione di sistemi interni di ‘sicurezza’ che si sono edificati e stabilizzati nel corso della propria esistenza - mobilitando a questo scopo molta energia -, come ad esempio strutture difensive relative all’ansia o alla paura di far fronte a situazioni nuove.
Questi ‘sistemi’ rappresentano spesso impedimenti verso il cambiamento e il raggiungimento degli obiettivi prefissi, seppure motivati e percepiti come una urgenza alla quale diventa difficile non dare udienza. La difesa nasce e alberga proprio dalla sensazione di pericolo e dalla esigenza di proteggere qualche cosa da questo pericolo. Il meccanismo difensivo inoltre, è in sé un modo ‘abituale’ del soggetto, di porsi di fronte alle proprie difficoltà, una specie di coazione a ripetere, che si può facilmente evidenziare mettendo a confronto i suoi analoghi comportamenti in differenti situazioni.
Recenti ricerche neuro-scientifiche spiegano come i pensieri più frequenti creano nel nostro cervello una sorta di ‘autostrada preferenziale neuronale’, aumentando la probabilità che si propongano invariati nel tempo, così che si ripresentino ogni volta nelle stesse circostanze. Proprio per questa ragione diventa difficile cambiare il proprio punto di vista, così come è sempre difficoltoso affrontare un cambiamento di qualsiasi genere.
In questa prospettiva il ‘lavoro’ del coach sarà quello di individuare una formulazione delle domande cosiddette ‘aperte’ che stimolino all’apertura del pensiero che spinga verso la considerazione di nuove possibilità non ancora valutate e che di conseguenza aumentino il livello di consapevolezza e di funzionalità nell’interazione con i propri pensieri e con gli altri.
È facile dunque capire come nel processo di coaching, le domande efficaci siano quelle che riescono a portare il coachee verso nuove visioni, verso considerazioni non ancora valutate, nuove idee non ancora pensate, non eludendo di evidenziare presupposti, pregiudizi e credenze nascoste che tendono a chiudere il pensiero divergente stesso.
Un processo creativo dunque, che colloca il coach in una posizione quasi ‘eversiva’ nel portare il cliente in una fase di ‘spaesamento’ rispetto ad una territorio conosciuto, attivando domande che facilitino questo processo circolare tra riflessione e nuova costruzione, entrando in una dinamica narrativa ed emotiva con l’esperienza vissuta dal coachee muovendosi tra i ‘perché’ che producono le spiegazioni e i ‘che cosa’ che portano alla comprensione, all’analisi delle variabili, alla rivisitazione del problema e quindi alle possibilità del cambiamento.
Caratteristica del processo di coaching quindi, è quella di sviluppare un processo di pensiero divergente che stimoli la riflessione sull’effettiva efficacia dei propri schemi difensivi e sulla possibilità di affrontare in modo differente la ricerca delle soluzioni ai problemi, sgretolando eventuali idee stereotipate, pensieri irrigiditi e standardizzati.
È una relazione processuale, che si propone di individuare quegli ‘strumenti’ che facilitino il riconoscimento e la elaborazione di determinati obiettivi, rinforzando la propria efficacia e la propria prestazione.
Il presupposto di base e di partenza è che ogni persona abbia in sé delle potenzialità latenti. L’obiettivo del coach unitamente al coachee, è quello di favorire l’ emergere di tali risorse, configurarle, incrementarle, organizzarle, renderle sempre più efficaci, espanderle per poterle utilizzare al meglio attraverso un processo autonomo di apprendimento, che consenta l’avvio di nuove azioni efficaci nell’ interazione con l’ambiente nel quale si genera la domanda.
Il coaching deve tener conto di questa unicità rispetto alla domanda di cambiamento che il coachee porta nella sua richiesta di aiuto, supportando la rivisitazione di alcuni suoi ‘abiti mentali ed emotivi’ e per favorire un nuovo senso di auto-efficacia grazie alla messa in discussione dei già pre-esistenti paradigmi cognitivo-emozionali che possono rappresentare limiti ad uno sguardo che tende a proiettarsi in un panorama nuovo e più ampio.
Ho voluto focalizzare l’attenzione sui meccanismi di difesa in quanto questi intervengono costantemente - volontariamente e ancor più involontariamente - in qualsiasi processo di cambiamento, in quanto ciò implica anche il coinvolgimento e la messa in discussione di sistemi interni di ‘sicurezza’ che si sono edificati e stabilizzati nel corso della propria esistenza - mobilitando a questo scopo molta energia -, come ad esempio strutture difensive relative all’ansia o alla paura di far fronte a situazioni nuove.
Questi ‘sistemi’ rappresentano spesso impedimenti verso il cambiamento e il raggiungimento degli obiettivi prefissi, seppure motivati e percepiti come una urgenza alla quale diventa difficile non dare udienza. La difesa nasce e alberga proprio dalla sensazione di pericolo e dalla esigenza di proteggere qualche cosa da questo pericolo. Il meccanismo difensivo inoltre, è in sé un modo ‘abituale’ del soggetto, di porsi di fronte alle proprie difficoltà, una specie di coazione a ripetere, che si può facilmente evidenziare mettendo a confronto i suoi analoghi comportamenti in differenti situazioni.
Recenti ricerche neuro-scientifiche spiegano come i pensieri più frequenti creano nel nostro cervello una sorta di ‘autostrada preferenziale neuronale’, aumentando la probabilità che si propongano invariati nel tempo, così che si ripresentino ogni volta nelle stesse circostanze. Proprio per questa ragione diventa difficile cambiare il proprio punto di vista, così come è sempre difficoltoso affrontare un cambiamento di qualsiasi genere.
In questa prospettiva il ‘lavoro’ del coach sarà quello di individuare una formulazione delle domande cosiddette ‘aperte’ che stimolino all’apertura del pensiero che spinga verso la considerazione di nuove possibilità non ancora valutate e che di conseguenza aumentino il livello di consapevolezza e di funzionalità nell’interazione con i propri pensieri e con gli altri.
È facile dunque capire come nel processo di coaching, le domande efficaci siano quelle che riescono a portare il coachee verso nuove visioni, verso considerazioni non ancora valutate, nuove idee non ancora pensate, non eludendo di evidenziare presupposti, pregiudizi e credenze nascoste che tendono a chiudere il pensiero divergente stesso.
Un processo creativo dunque, che colloca il coach in una posizione quasi ‘eversiva’ nel portare il cliente in una fase di ‘spaesamento’ rispetto ad una territorio conosciuto, attivando domande che facilitino questo processo circolare tra riflessione e nuova costruzione, entrando in una dinamica narrativa ed emotiva con l’esperienza vissuta dal coachee muovendosi tra i ‘perché’ che producono le spiegazioni e i ‘che cosa’ che portano alla comprensione, all’analisi delle variabili, alla rivisitazione del problema e quindi alle possibilità del cambiamento.
Caratteristica del processo di coaching quindi, è quella di sviluppare un processo di pensiero divergente che stimoli la riflessione sull’effettiva efficacia dei propri schemi difensivi e sulla possibilità di affrontare in modo differente la ricerca delle soluzioni ai problemi, sgretolando eventuali idee stereotipate, pensieri irrigiditi e standardizzati.