“Gli uomini si fidano delle orecchie meno che degli occhi”. (Erodoto)
L’arte di ascoltare è una vera e propria raffinatezza dello Spirito. Ci vuole volontà, ci vuole pazienza. Quando siamo di fronte al nostro interlocutore, ci sintonizziamo su due frequenze: la nostra, egoicamente (se così si può dire) in prima linea, e quella dell’Altro, di cui “sentiamo” parole ordinate a comporre un discorso, una risposta oppure una domanda o una richiesta di aiuto. “Tendiamo l’orecchio” e ci mettiamo “in ascolto”.
Così il Coach si pone in totale apertura auditiva nei confronti del Coachee, lasciando da parte “i propri mondi interiori”, per entrare in empatia con chi gli sta raccontando una traccia di Sé. Una delle competenze richieste al “facilitatore esistenziale” è quella di osservare mentre ascolta, ovverosia di “leggere messaggi” nascosti tra le pieghe della pelle, sulla fronte corrucciata, nella mimica, nel timbro della voce. Sono segnali di un linguaggio, quello corporeo, che svela “verità che tentano di rimanere nascoste”, in realtà emergono e si mostrano in tutta la loro franchezza agli occhi di chi “deve guardare senza giudicare”.
L’80% della nostra comunicazione appartiene alla sfera del “non verbale” dove vibrano sfumature del nostro Essere rivelatrici di segreti ben celati, custoditi in fondo all’anima, come grovigli emotivi che si manifestano in una improvvisa accelerazione cardiaca oppure in un cambio repentino di posizione o, ancora, in una nevrotica o lenta gestualità. E, paradossalmente, il più eloquente messaggero dei nostri intimi pensieri è proprio lui, il Silenzio. La “Non risposta” risuona, parla a gran voce, racconta, si lascia interpretare.
Nel gestire una “relazione di aiuto” è importante saper cogliere il valore delle pause alla stessa stregua di quello dei flussi di parole che sembrano sgorgare senza tregua, come fiumi impetuosi che non vedono l’ora di arrivare alla foce, tradotti in confessioni, ammissioni, sguardi in cerca di un appiglio, mani che si tendono per essere strette.
Il linguaggio del corpo o “Non verbale” è un mondo affascinante, che va curato con attenzione, evitando di voler “sapere a priori”, di giudicare, di farsi “cacciatori di sensazioni”. In realtà è un grande ponte tra Noi e il nostro interlocutore, da attraversare con delicatezza e sensibilità.
Siamo costituiti da “psiche” e “soma”, “anima” e “parte corporale”. L’una è depositaria dell’altra e viceversa, “la fisicità” diventa veicolo della nostra “spiritualità” fusa in “moduli emozionali” di varia intensità. Il Coach li intercetta, li guarda a fondo, li smaschera per convertirli in risorse e bacini energetici da cui il Coachee può attingere, riproducendo nuova linfa e per rigenerarsi.
Ascoltare “le parole che non si dicono” è un’esperienza Umana di apprendimento che i libri non insegnano, demandata alla Maestra più severa e seducente, la Vita.
L’arte di ascoltare è una vera e propria raffinatezza dello Spirito. Ci vuole volontà, ci vuole pazienza. Quando siamo di fronte al nostro interlocutore, ci sintonizziamo su due frequenze: la nostra, egoicamente (se così si può dire) in prima linea, e quella dell’Altro, di cui “sentiamo” parole ordinate a comporre un discorso, una risposta oppure una domanda o una richiesta di aiuto. “Tendiamo l’orecchio” e ci mettiamo “in ascolto”.
Così il Coach si pone in totale apertura auditiva nei confronti del Coachee, lasciando da parte “i propri mondi interiori”, per entrare in empatia con chi gli sta raccontando una traccia di Sé. Una delle competenze richieste al “facilitatore esistenziale” è quella di osservare mentre ascolta, ovverosia di “leggere messaggi” nascosti tra le pieghe della pelle, sulla fronte corrucciata, nella mimica, nel timbro della voce. Sono segnali di un linguaggio, quello corporeo, che svela “verità che tentano di rimanere nascoste”, in realtà emergono e si mostrano in tutta la loro franchezza agli occhi di chi “deve guardare senza giudicare”.
L’80% della nostra comunicazione appartiene alla sfera del “non verbale” dove vibrano sfumature del nostro Essere rivelatrici di segreti ben celati, custoditi in fondo all’anima, come grovigli emotivi che si manifestano in una improvvisa accelerazione cardiaca oppure in un cambio repentino di posizione o, ancora, in una nevrotica o lenta gestualità. E, paradossalmente, il più eloquente messaggero dei nostri intimi pensieri è proprio lui, il Silenzio. La “Non risposta” risuona, parla a gran voce, racconta, si lascia interpretare.
Nel gestire una “relazione di aiuto” è importante saper cogliere il valore delle pause alla stessa stregua di quello dei flussi di parole che sembrano sgorgare senza tregua, come fiumi impetuosi che non vedono l’ora di arrivare alla foce, tradotti in confessioni, ammissioni, sguardi in cerca di un appiglio, mani che si tendono per essere strette.
Il linguaggio del corpo o “Non verbale” è un mondo affascinante, che va curato con attenzione, evitando di voler “sapere a priori”, di giudicare, di farsi “cacciatori di sensazioni”. In realtà è un grande ponte tra Noi e il nostro interlocutore, da attraversare con delicatezza e sensibilità.
Siamo costituiti da “psiche” e “soma”, “anima” e “parte corporale”. L’una è depositaria dell’altra e viceversa, “la fisicità” diventa veicolo della nostra “spiritualità” fusa in “moduli emozionali” di varia intensità. Il Coach li intercetta, li guarda a fondo, li smaschera per convertirli in risorse e bacini energetici da cui il Coachee può attingere, riproducendo nuova linfa e per rigenerarsi.
Ascoltare “le parole che non si dicono” è un’esperienza Umana di apprendimento che i libri non insegnano, demandata alla Maestra più severa e seducente, la Vita.