‘Consapevolezza’ e ‘presenza a se stessi’ sono termini molto utilizzati nel coaching, nel counseling e in tutti gli ambiti di crescita personale.
Qui si apre uno scenario di definizioni e interpretazioni che toccano aree quali la psicologia, le neuroscienze, la spiritualità, le pratiche meditative, quali lo Yoga e il Qi Gong, e molto altro.
Dal mio punto di vista, per le esperienze fatte, c’è un comune denominatore che sta alla base della pratica della ‘consapevolezza’ ed è: vivere interiormente l’esperienza esterna.
Per iniziare a vivere in modo equilibrato e armonioso le circostanze della vita e le relazioni è necessario rivolgere l’attenzione a noi stessi, ma non nella maniera comune di semplice analisi del pensiero, quanto di una più ampia comunicazione con tutte le parti coinvolte.
Di fronte ad un evento esterno che ci stimola a rispondere sempre in un certo modo, spesso poco flessibile e a ‘circuito mentale chiuso’, si potrebbe ampliare il campo d’azione e reazione, promuovendo un cambiamento dei processi mentali e quindi di risultati.
Per fare questo si inizia ad essere ‘presenti a se stessi’, cioè si entra in contatto con i pensieri, con il proprio corpo, con le sensazioni più viscerali e…si ascolta ciò che emerge.
Si può portare l’attenzione al respiro, immaginandolo come un’onda che si espande e che man mano fa spazio nella nostra mente, spegnendo per un attimo il fuoco mentale.
Si lascia agire il silenzio e con esso s’impara a fare nuova esperienza di noi stessi e dei fatti esterni.
Allenandosi nella pratica, si crea distacco emotivo dall’esperienza e maggior contatto con noi stessi, promuovendo nuove modalità comunicative che nutrono le relazioni, e aprendosi a nuove prospettive di azione per raggiungere i nostri obiettivi.
L’autoconsapevolezza crea equilibrio ‘in’ noi, ‘tra’ noi e con l’ambiente esterno.
Qui si apre uno scenario di definizioni e interpretazioni che toccano aree quali la psicologia, le neuroscienze, la spiritualità, le pratiche meditative, quali lo Yoga e il Qi Gong, e molto altro.
Dal mio punto di vista, per le esperienze fatte, c’è un comune denominatore che sta alla base della pratica della ‘consapevolezza’ ed è: vivere interiormente l’esperienza esterna.
Per iniziare a vivere in modo equilibrato e armonioso le circostanze della vita e le relazioni è necessario rivolgere l’attenzione a noi stessi, ma non nella maniera comune di semplice analisi del pensiero, quanto di una più ampia comunicazione con tutte le parti coinvolte.
Di fronte ad un evento esterno che ci stimola a rispondere sempre in un certo modo, spesso poco flessibile e a ‘circuito mentale chiuso’, si potrebbe ampliare il campo d’azione e reazione, promuovendo un cambiamento dei processi mentali e quindi di risultati.
Per fare questo si inizia ad essere ‘presenti a se stessi’, cioè si entra in contatto con i pensieri, con il proprio corpo, con le sensazioni più viscerali e…si ascolta ciò che emerge.
Si può portare l’attenzione al respiro, immaginandolo come un’onda che si espande e che man mano fa spazio nella nostra mente, spegnendo per un attimo il fuoco mentale.
Si lascia agire il silenzio e con esso s’impara a fare nuova esperienza di noi stessi e dei fatti esterni.
Allenandosi nella pratica, si crea distacco emotivo dall’esperienza e maggior contatto con noi stessi, promuovendo nuove modalità comunicative che nutrono le relazioni, e aprendosi a nuove prospettive di azione per raggiungere i nostri obiettivi.
L’autoconsapevolezza crea equilibrio ‘in’ noi, ‘tra’ noi e con l’ambiente esterno.