
Le convinzioni che le persone maturano su di sé, influenzano in modo fondamentale la propria condotta e le proprie prestazioni. Non si tratta “semplicemente” della fiducia in sé stessi o dell’immagine di sé, ma di un costrutto molto più articolato, “ l’Autoefficacia”, teorizzato dallo psicologo canadese Albert Bandura. Egli utilizza il suggestivo termine “agenticità” (human agency), come la capacità di agire attivamente e di saper trasformare e influenzare il contesto in cui si opera.
Siamo noi con la convinzione che mettiamo nell’ affrontare gli eventi , nel superare gli ostacoli, nel pensare di riuscire nelle nostre attività che incidiamo sul risultato. “A parità di competenze possedute, la percezione della propria autoefficacia influenza gli obiettivi che le persone stabiliscono per se stesse e i rischi che sono disposte ad affrontare: quanto maggiore è l’autoefficacia, tanto maggiori saranno gli obiettivi che sceglieranno e tanto più intensi saranno l’impegno e la perseveranza con cui li porteranno a compimento”. (Bandura 2000)
Questi concetti presentano un interessante ed evidente collegamento con l’attività di coaching, nel quale gli obiettivi partono, già al momento della loro definizione, dal senso di efficacia posseduto dal coachee. Infatti le persone con un elevato senso di efficacia puntano ad obiettivi ambiziosi, mentre quelle con efficacia scarsa, si autolimitano anche nelle proprie aspirazioni. Nella relazione di coaching, lavorare sulla valutazione della propria autoefficacia costituisce, quindi, il primo motore di tutta l’attività.
Secondo Adani, Fabiano (Diventare Coach, 2009) “Per ogni risultato da raggiungere, dobbiamo identificare le azioni (una o diverse) che porteranno al traguardo, identificandone le alternative e le conseguenze, formulandone le priorità”
Diventa fondamentale cogliere l’impatto che le convinzioni esercitano su di noi, in quanto andranno ad influenzare, oltre alla scelta degli obiettivi, anche l’impegno che sarà profuso e la perseveranza nel raggiungimento dell’obiettivo stesso. Le proprie convinzioni di efficacia possono infatti inibire o facilitare la spinta al cambiamento e quindi farci vivere il cambiamento come una sfida da vincere o un ostacolo insuperabile.
Seligman (1996) parla analogamente di “stile di attribuzione” mettendo l’accento sul modo pessimista o ottimista di pensare e di conseguenza orientare il proprio comportamento.
Le persone con visione pessimista credono meno in se stesse, si impegnano meno per raggiungere i propri obiettivi e abbandonano più facilmente il campo. Le persone che hanno una visione più ottimista invece hanno più fiducia nelle loro capacità, di fronte agli ostacoli sono più perseveranti e dopo gli insuccessi si riprendono con più facilità. L’atteggiamento ottimista è quindi a parità di condizione legato a risultati migliori.
Ma come nasce il concetto di autoefficacia? Come costruiamo queste convinzioni nel corso della nostra vita? Secondo Bandura, Il concetto di autoefficacia si fonda su 4 tipologie di esperienza
Qualche suggestione sorge dalla stessa teoria di Bandura. Durante l’incontro di coaching, potremmo evidenziare al nostro cliente come le attività che svolgiamo siano frutto di abilità, che possiamo apprendere e migliorare e non statiche acquisizioni. Stimolare poi l’immaginazione, circa se stessi, impegnati nel superamento di situazioni difficili, allenando la mente a farne esperienza.
Durante un esercizio di focalizzazione, potremmo aiutarlo a “selezionare” proprio i suoi migliori successi, considerandoli frutto dell’impegno personale e non elementi casuali o scontati. Lavorando parallelamente al processo di recupero di fronte gli insuccessi. In questi casi può essere indotta una ristrutturazione cognitiva rispetto ai fallimenti, per darne una lettura più obiettiva e funzionale.
Molti sono gli stimoli ad hoc che possiamo proporre al nostro cochee, in termini di apprendimento vicario, qualora fosse per lui utile apprendere da modelli efficaci: la lettura o la narrazione di fatti concreti ed esperienze, la proiezione di filmati, nei quali sia contenuto il comportamento e l’atteggiamento che vorremmo far apprendere al nostro cliente, ecc.
Per ciò che riguarda la persuasione non dimentichiamo che il coach costituisce “ possibilmente” per il cliente una fonte autorevole. Può essere dunque strumentale “rinforzarlo” nelle sue manifestazioni di efficacia ed evidenziare insieme a lui i suoi punti di forza e le leve che può meglio utilizzare per raggiungere i suoi obiettivi.
Infine potremmo strutturare le attività di raggiungimento degli obiettivi in passaggi per lui gestibili con successo, “a passi di bimbo”, in modo da infondergli fiducia, lavorando sugli stati emotivi che li accompagnano. L’autoefficacia riveste infatti un ruolo importante nel controllo degli stress ambientali e dell’ insorgenza dell’ansia. Sebbene il coaching non si debba confondere con la psicoterapia è indubbio che alcune sessioni di coaching possono costituire un’ottima palestra emozionale, protetta, all’interno della quale sperimentare e sperimentarsi.
Bandura A. (1997) Autoefficacia: teoria e applicazione (ed. Erikson)
Seligman M. 1996 Imparare l’ottimismo( Ed. Giunti)
Adani L, Fabiani M 2009 (ed. franco Angeli)
Siamo noi con la convinzione che mettiamo nell’ affrontare gli eventi , nel superare gli ostacoli, nel pensare di riuscire nelle nostre attività che incidiamo sul risultato. “A parità di competenze possedute, la percezione della propria autoefficacia influenza gli obiettivi che le persone stabiliscono per se stesse e i rischi che sono disposte ad affrontare: quanto maggiore è l’autoefficacia, tanto maggiori saranno gli obiettivi che sceglieranno e tanto più intensi saranno l’impegno e la perseveranza con cui li porteranno a compimento”. (Bandura 2000)
Questi concetti presentano un interessante ed evidente collegamento con l’attività di coaching, nel quale gli obiettivi partono, già al momento della loro definizione, dal senso di efficacia posseduto dal coachee. Infatti le persone con un elevato senso di efficacia puntano ad obiettivi ambiziosi, mentre quelle con efficacia scarsa, si autolimitano anche nelle proprie aspirazioni. Nella relazione di coaching, lavorare sulla valutazione della propria autoefficacia costituisce, quindi, il primo motore di tutta l’attività.
Secondo Adani, Fabiano (Diventare Coach, 2009) “Per ogni risultato da raggiungere, dobbiamo identificare le azioni (una o diverse) che porteranno al traguardo, identificandone le alternative e le conseguenze, formulandone le priorità”
Diventa fondamentale cogliere l’impatto che le convinzioni esercitano su di noi, in quanto andranno ad influenzare, oltre alla scelta degli obiettivi, anche l’impegno che sarà profuso e la perseveranza nel raggiungimento dell’obiettivo stesso. Le proprie convinzioni di efficacia possono infatti inibire o facilitare la spinta al cambiamento e quindi farci vivere il cambiamento come una sfida da vincere o un ostacolo insuperabile.
Seligman (1996) parla analogamente di “stile di attribuzione” mettendo l’accento sul modo pessimista o ottimista di pensare e di conseguenza orientare il proprio comportamento.
Le persone con visione pessimista credono meno in se stesse, si impegnano meno per raggiungere i propri obiettivi e abbandonano più facilmente il campo. Le persone che hanno una visione più ottimista invece hanno più fiducia nelle loro capacità, di fronte agli ostacoli sono più perseveranti e dopo gli insuccessi si riprendono con più facilità. L’atteggiamento ottimista è quindi a parità di condizione legato a risultati migliori.
Ma come nasce il concetto di autoefficacia? Come costruiamo queste convinzioni nel corso della nostra vita? Secondo Bandura, Il concetto di autoefficacia si fonda su 4 tipologie di esperienza
- Le nostre esperienze dirette, attraverso le quali ci siamo percepiti come efficaci o inefficaci. In sostanza i nostri successi o insuccessi.
- L’osservazione delle esperienze degli altri (vicarie e di modellamento), dunque il confrontarsi con altre persone di riferimento.
- La persuasione verbale da parte di altre persone, come ad esempio gli apprezzamenti o le rassicurazioni da parte di persone autorevoli .
- Gli stati fisiologici e affettivi e l’interpretazione che ne diamo alla luce di una prestazione. Ad esempio l’attivazione fisiologica prima di una prova, vissuta come stato ansioso e segno di debolezza.
Qualche suggestione sorge dalla stessa teoria di Bandura. Durante l’incontro di coaching, potremmo evidenziare al nostro cliente come le attività che svolgiamo siano frutto di abilità, che possiamo apprendere e migliorare e non statiche acquisizioni. Stimolare poi l’immaginazione, circa se stessi, impegnati nel superamento di situazioni difficili, allenando la mente a farne esperienza.
Durante un esercizio di focalizzazione, potremmo aiutarlo a “selezionare” proprio i suoi migliori successi, considerandoli frutto dell’impegno personale e non elementi casuali o scontati. Lavorando parallelamente al processo di recupero di fronte gli insuccessi. In questi casi può essere indotta una ristrutturazione cognitiva rispetto ai fallimenti, per darne una lettura più obiettiva e funzionale.
Molti sono gli stimoli ad hoc che possiamo proporre al nostro cochee, in termini di apprendimento vicario, qualora fosse per lui utile apprendere da modelli efficaci: la lettura o la narrazione di fatti concreti ed esperienze, la proiezione di filmati, nei quali sia contenuto il comportamento e l’atteggiamento che vorremmo far apprendere al nostro cliente, ecc.
Per ciò che riguarda la persuasione non dimentichiamo che il coach costituisce “ possibilmente” per il cliente una fonte autorevole. Può essere dunque strumentale “rinforzarlo” nelle sue manifestazioni di efficacia ed evidenziare insieme a lui i suoi punti di forza e le leve che può meglio utilizzare per raggiungere i suoi obiettivi.
Infine potremmo strutturare le attività di raggiungimento degli obiettivi in passaggi per lui gestibili con successo, “a passi di bimbo”, in modo da infondergli fiducia, lavorando sugli stati emotivi che li accompagnano. L’autoefficacia riveste infatti un ruolo importante nel controllo degli stress ambientali e dell’ insorgenza dell’ansia. Sebbene il coaching non si debba confondere con la psicoterapia è indubbio che alcune sessioni di coaching possono costituire un’ottima palestra emozionale, protetta, all’interno della quale sperimentare e sperimentarsi.
Bandura A. (1997) Autoefficacia: teoria e applicazione (ed. Erikson)
Seligman M. 1996 Imparare l’ottimismo( Ed. Giunti)
Adani L, Fabiani M 2009 (ed. franco Angeli)