Comunicare non significa solo inviare informazioni all'indirizzo di un'altra persona. Significa creare negli altri un'esperienza, coinvolgerli totalmente, fisicamente e mentalmente, e questa è un'abilità emotiva.
(Daniel Goleman)
Le emozioni
Qual è il significato di “emozione”? Scorrendo tra le righe dell’ormai immancabile Wikipedia, si legge:
Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. In termini evolutivi, o darwiniani, la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell'individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza, reazione che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazione cosciente. Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione auto-regolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d'animo.
Mi soffermo sulla prima riga dove si legge “ Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologiche […]. Paura, angoscia, gioia, ansia, felicità sono alcune delle emozioni più intense che ci accompagnano. Sono potenzialmente in noi, laddove Freud[1] insegna che siamo pervasi, nel nostro Inconscio inferiore, da pulsioni di Vita (Eros) e pulsioni di Morte (Tanatos). Jung e, in linea con il suo pensiero Roberto Assagioli, padre della Psicosintesi, vanno oltre e parlano di stadi intermedi e superiori dell’Inconscio e di sub personalità ovverosia i nostri “tanti Sé” che reclamano un posto da primi attori sul Palcoscenico della nostra Coscienza. Un mondo complesso, il nostro, così tanto indagato e ancora non del tutto inesplorato. E noi ci portiamo appresso i nostri ricordi, le nostre esperienze, i nostri sogni e anche le nostre delusioni, i pianti, le sofferenze. Proviamo un’emozione di rabbia, ma l’educazione ci ha insegnato a reprimerla perché “non si fa”, per far posto all’obiettività e al “comportarsi secondo le regole”: dovremmo chiederci, quali regole? Le nostre o quelle degli altri? Quelle de “si” impersonale o quelle che ci siamo costruiti da una nostra diretta percezione del mondo? Difficile questo argomento, ma interessante nel momento in cui ci troviamo a combattere contro o in nome del nostro pathos più profondo. La Psicosomatica interviene a segnalare al mondo della Psicologia, della Psicoanalisi, della Scienza, che esiste un’unitarietà tra Psiche e Soma (corpo), in una visione Olistica dell’Uomo e dell’Universo, considerando la salute come un “armonico funzionamento dell’uomo”, inteso nella sua unità di psiche e soma, inserito nel proprio ambiente, nel rispetto delle caratteristiche funzionali del corpo, dei suoi ritmi, dell’intensità e della sua capacità di autoregolazione, detta “omeostasi”. Esiste, dunque, un’intima interconnessione fra vita psichica e biologica, tesa a riscoprire la dimensione più intima e spirituale dell’individuo, fatta di emozioni, passioni, stati d’animo, vissuti depositati in quello spazio buio e inconscio che pulsa dentro di noi. Diventa, quindi, fondamentale comprendere che, dietro la malattia, esiste un “soggetto sofferente”, che ne disegna i contorni, li definisce, fino a immedesimarsi in quel dolore che, probabilmente, viene da molto lontano e ha una storia da raccontare. Citando gli autori Frigoli, Cavallari e Ottolenghi.. “ripropone in chiave scientifica l’importanza delle interferenze della psiche sul soma e viceversa, per arrivare a una prevenzione , terapia e riabilitazione profondamente rinnovate, in quanto al centro dell’interesse si situa non più la malattia, bensì l’ammalato”[2]. Così, il quadro clinico di un paziente si definisce attraverso il legame tra il funzionamento psichico, la situazione che questi attraversa nella vita e la sua modalità di relazione. Affrontando le ragioni emotive personali alla base di un disagio esistenziale, si possono trovare modalità per poterne cogliere gli estremi e capire da dove partire per ricostruire ogni singola parte. Il processo di ascolto delle proprie emozioni[3] e di se stessi richiede tempo, pazienza, costanza. Può essere un percorso doloroso, ma vale la pensa provarci per conoscere meglio se stessi e la modalità con cui osserviamo ciò che ci accade, per eventualmente migliorarla o cambiarne semplicemente la prospettiva. Ciò che “in noi pulsa” non può essere messo a tacere perché, in quanto “energia” necessita di un canale di sfogo. Il corpo è accarezzato e solleticato dalle emozioni positive, quelle che ci fanno ridere e ci fanno piangere dalla gioia, ne ricava grandi benefici anche terapeutici. Il dolore anche fisico, invece, in presenza di passioni negative che ci attraversano prende forma e, spesso, non ci fa dormire la notte, ci rende inquieti, insonni, costruisce mattoni dentro il nostro stomaco, ci mette “una mano” attorno al collo e la stringe. Le circostanze in cui ci troviamo a vivere e a viverci, a contatto con gli altri e con noi stessi continuamente causano tumulti, ci abituano a porci domande, difficilmente, a volte, ci aiutano a trovare risposte. E intanto diventiamo schiavi di questi sentimenti, nel cosiddetto “sequestro emotivo”: il rimuginare prende forma, la testa gira, si è fissi lì su quell’idea che non se ne va e continuiamo a disperdere calore, a disintegrare la nostra lucidità. Passa il momento e tutto sembra essersi sistemato. Avremmo voglia di urlare, ma non lo facciamo. Avremo voglia di ribellarci, ma non ci riusciamo oppure non lo vogliamo e guardiamo avanti. I sentimenti repressi, le “cose che non vanno” si alimentano e giorno, dopo giorno, ristagnano come “buchi neri” dentro di noi. E il corpo, ad un certo punto, parla e racconta quello che sta accadendo di cui noi non siamo consapevoli, eppure ci siamo passati sopra convinti di esserne usciti sani e salvi.
Dietro a ogni malattia parla una saggezza del corpo che invita l’Io, pur dolorosamente, a una presa di coscienza. L’organo leso rinvia al valore della sua funzione[4].
E ancora, da un brano di Louise Hay[5]:
Accettare le nostre emozioni, concederci di viverle e imparare a comunicarle in modo costruttivo e equilibrato, fa sì che scorrano facilmente e naturalmente attraverso di noi. Così la forza vitale fluisce, senza impedimenti, attraverso il corpo fisico, e produce la guarigione emozionale e fisica[6].
Secondo l’approccio psicosomatico, lo stato di salute non si definisce solamente con la definizione di “assenza di malattia”, ma rimanda a un equilibrio interiore che può essere compromesso se non ci “Prendiamo cura di noi”.
Il respiro
Nell’opinione comune, il respiro è semplicemente un atto meccanico e ripetitivo che permette all’uomo di sopravvivere. In realtà l’ “alito vitale”, così definito dai grandi maestri d’Oriente, racchiude un significato simbolico, che rimanda a uno scambio continuo tra noi e ciò che ci circonda attraverso il ciclo inspirazione/espirazione.
Nell’intera storia dell’evoluzione umana, il respiro è stato considerato come la manifestazione fondamentale della vita[7] in ogni sua forma intima e razionale. Così il manifestarsi di un’emozione porta con sé anche un’alterazione del ritmo o della profondità della Respirazione. Un ritmo respiratorio bloccato e affannoso nasconde una evidente difficoltà ad accettare la realtà e le esperienze nel loro divenire, proiezione di un radicato disagio emotivo. Rabbia, ansia, frustrazione agiscono con spinte depressive sul sistema endocrino e cardiovascolare, provocando nell’organismo uno stato di allarme tale per cui aumenta la frequenza del battito cardiaco e del respiro che diventa irregolare, se non strozzato e si entra nelle cosiddette “Onde Gamma”. Contrariamente, gioia e soddisfazione sono emozioni alle quali si accompagna una respirazione ampia e vibrante.
Il tipo di ambiente in cui viviamo, dal punto di vista climatico, sociale e famigliare sollecita differenti re-azioni emotive espresse con un proprio “schema respiratorio” ovvero una modalità di respirazione che riflette come stiamo, diventa il “termometro” del nostro ben-essere più profondo[8]. La respirazione interviene nella dinamica della vita emotiva in maniera assai complessa. L’intera dimensione psicologica oscilla tra due poli opposti: da un lato, la liberazione pulsionale, il libero flusso dell’energia, dall’altro la repressione che porta a inibire i sentimenti e spinge il soggetto a chiudersi in un doloroso desiderio di fuga da se stesso, dal mondo[9]. Una riappropriazione del proprio Respiro diventa uno dei primi passi per intraprendere un cammino alla “riscoperta di Sé”, partendo dal presupposto che, miglioriamo il rapporto con noi stessi nel momento in cui incominciamo a fare le cose più semplici come ascoltare e percepire i nostri sensi.
Per riflettere
Comunicare non è soltanto un’azione rivolta ad altri, ma è un dovere verso noi stessi.
Come comunichiamo a noi stessi? Cosa ci raccontiamo? Prima di tutto, ci ascoltiamo?
Rimanere in silenzio per cogliere ciò che si agita in noi o per capire come stiamo respirando, ad esempio, è un’azione così banale, apparentemente, invece si riempie di significato nel momento in cui apprezziamo il valore del “qui e ora” alla base della disciplina della Mindfulness che sta spopolando e che richiama l’Uomo a una presa di coscienza del momento presente, quella sperimentato dalla Coscienza attiva e dal pensiero creativo.
Se impariamo a comunicare con noi stessi, mettendo a nudo le nostre intenzioni, le nostre passioni, le nostre paure, nostri desideri, le domande che popolano il nostro cervello, poniamo un primo, fondamentale mattone necessario alla costruzione della nostra “casa” simbolicamente la nostra consapevolezza di ciò che siamo e di cosa vogliamo.
Nella vita reale, confusa e caotica, costellata di “dover fare” o “dover essere” o ancora “non dover fare” e “non dover essere”, schemi di vita legati al tema dell’obbligo, in positivo e in negativo, noi finiamo con il sentirci svuotati, perché? Forse ci allontaniamo da qualcuno? Qualcosa? Dal nostro “centro”, la nostra vera Natura?
[1] C.G.Jung, Freud e la psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1973
[2]D.Frigolli, G.Cavallari, D.Ottolenghi, La Psicosomatica, il significato e il senso della malattia, Xenia, Milano 2000
[3] D.Goleman, Intelligenza Emotiva, Bur, Milano, 1995
[4] D.Frigolli, G.Cavallari, D.Ottolenghi, La Psicosomatica, il significato e il senso della malattia, Xenia, Milano 2000
[5]L. Hay, Il potere è in te, Cde, Milano, 1992
[6]L. Hay, Il potere è in te, Cde, Milano, 1992
[7] A. De Luca, Rebirthing. La terapia della rinascita, Xenia, Milano, 1995
[8] M.Screem, Rebirthing. Respirare per rinascere, Armenia, Milano, 1993
[9] A. De Luca, Rebirthing. La terapia della rinascita, Xenia, Milano, 1995
(Daniel Goleman)
Le emozioni
Qual è il significato di “emozione”? Scorrendo tra le righe dell’ormai immancabile Wikipedia, si legge:
Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. In termini evolutivi, o darwiniani, la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell'individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza, reazione che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazione cosciente. Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione auto-regolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d'animo.
Mi soffermo sulla prima riga dove si legge “ Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologiche […]. Paura, angoscia, gioia, ansia, felicità sono alcune delle emozioni più intense che ci accompagnano. Sono potenzialmente in noi, laddove Freud[1] insegna che siamo pervasi, nel nostro Inconscio inferiore, da pulsioni di Vita (Eros) e pulsioni di Morte (Tanatos). Jung e, in linea con il suo pensiero Roberto Assagioli, padre della Psicosintesi, vanno oltre e parlano di stadi intermedi e superiori dell’Inconscio e di sub personalità ovverosia i nostri “tanti Sé” che reclamano un posto da primi attori sul Palcoscenico della nostra Coscienza. Un mondo complesso, il nostro, così tanto indagato e ancora non del tutto inesplorato. E noi ci portiamo appresso i nostri ricordi, le nostre esperienze, i nostri sogni e anche le nostre delusioni, i pianti, le sofferenze. Proviamo un’emozione di rabbia, ma l’educazione ci ha insegnato a reprimerla perché “non si fa”, per far posto all’obiettività e al “comportarsi secondo le regole”: dovremmo chiederci, quali regole? Le nostre o quelle degli altri? Quelle de “si” impersonale o quelle che ci siamo costruiti da una nostra diretta percezione del mondo? Difficile questo argomento, ma interessante nel momento in cui ci troviamo a combattere contro o in nome del nostro pathos più profondo. La Psicosomatica interviene a segnalare al mondo della Psicologia, della Psicoanalisi, della Scienza, che esiste un’unitarietà tra Psiche e Soma (corpo), in una visione Olistica dell’Uomo e dell’Universo, considerando la salute come un “armonico funzionamento dell’uomo”, inteso nella sua unità di psiche e soma, inserito nel proprio ambiente, nel rispetto delle caratteristiche funzionali del corpo, dei suoi ritmi, dell’intensità e della sua capacità di autoregolazione, detta “omeostasi”. Esiste, dunque, un’intima interconnessione fra vita psichica e biologica, tesa a riscoprire la dimensione più intima e spirituale dell’individuo, fatta di emozioni, passioni, stati d’animo, vissuti depositati in quello spazio buio e inconscio che pulsa dentro di noi. Diventa, quindi, fondamentale comprendere che, dietro la malattia, esiste un “soggetto sofferente”, che ne disegna i contorni, li definisce, fino a immedesimarsi in quel dolore che, probabilmente, viene da molto lontano e ha una storia da raccontare. Citando gli autori Frigoli, Cavallari e Ottolenghi.. “ripropone in chiave scientifica l’importanza delle interferenze della psiche sul soma e viceversa, per arrivare a una prevenzione , terapia e riabilitazione profondamente rinnovate, in quanto al centro dell’interesse si situa non più la malattia, bensì l’ammalato”[2]. Così, il quadro clinico di un paziente si definisce attraverso il legame tra il funzionamento psichico, la situazione che questi attraversa nella vita e la sua modalità di relazione. Affrontando le ragioni emotive personali alla base di un disagio esistenziale, si possono trovare modalità per poterne cogliere gli estremi e capire da dove partire per ricostruire ogni singola parte. Il processo di ascolto delle proprie emozioni[3] e di se stessi richiede tempo, pazienza, costanza. Può essere un percorso doloroso, ma vale la pensa provarci per conoscere meglio se stessi e la modalità con cui osserviamo ciò che ci accade, per eventualmente migliorarla o cambiarne semplicemente la prospettiva. Ciò che “in noi pulsa” non può essere messo a tacere perché, in quanto “energia” necessita di un canale di sfogo. Il corpo è accarezzato e solleticato dalle emozioni positive, quelle che ci fanno ridere e ci fanno piangere dalla gioia, ne ricava grandi benefici anche terapeutici. Il dolore anche fisico, invece, in presenza di passioni negative che ci attraversano prende forma e, spesso, non ci fa dormire la notte, ci rende inquieti, insonni, costruisce mattoni dentro il nostro stomaco, ci mette “una mano” attorno al collo e la stringe. Le circostanze in cui ci troviamo a vivere e a viverci, a contatto con gli altri e con noi stessi continuamente causano tumulti, ci abituano a porci domande, difficilmente, a volte, ci aiutano a trovare risposte. E intanto diventiamo schiavi di questi sentimenti, nel cosiddetto “sequestro emotivo”: il rimuginare prende forma, la testa gira, si è fissi lì su quell’idea che non se ne va e continuiamo a disperdere calore, a disintegrare la nostra lucidità. Passa il momento e tutto sembra essersi sistemato. Avremmo voglia di urlare, ma non lo facciamo. Avremo voglia di ribellarci, ma non ci riusciamo oppure non lo vogliamo e guardiamo avanti. I sentimenti repressi, le “cose che non vanno” si alimentano e giorno, dopo giorno, ristagnano come “buchi neri” dentro di noi. E il corpo, ad un certo punto, parla e racconta quello che sta accadendo di cui noi non siamo consapevoli, eppure ci siamo passati sopra convinti di esserne usciti sani e salvi.
Dietro a ogni malattia parla una saggezza del corpo che invita l’Io, pur dolorosamente, a una presa di coscienza. L’organo leso rinvia al valore della sua funzione[4].
E ancora, da un brano di Louise Hay[5]:
Accettare le nostre emozioni, concederci di viverle e imparare a comunicarle in modo costruttivo e equilibrato, fa sì che scorrano facilmente e naturalmente attraverso di noi. Così la forza vitale fluisce, senza impedimenti, attraverso il corpo fisico, e produce la guarigione emozionale e fisica[6].
Secondo l’approccio psicosomatico, lo stato di salute non si definisce solamente con la definizione di “assenza di malattia”, ma rimanda a un equilibrio interiore che può essere compromesso se non ci “Prendiamo cura di noi”.
Il respiro
Nell’opinione comune, il respiro è semplicemente un atto meccanico e ripetitivo che permette all’uomo di sopravvivere. In realtà l’ “alito vitale”, così definito dai grandi maestri d’Oriente, racchiude un significato simbolico, che rimanda a uno scambio continuo tra noi e ciò che ci circonda attraverso il ciclo inspirazione/espirazione.
Nell’intera storia dell’evoluzione umana, il respiro è stato considerato come la manifestazione fondamentale della vita[7] in ogni sua forma intima e razionale. Così il manifestarsi di un’emozione porta con sé anche un’alterazione del ritmo o della profondità della Respirazione. Un ritmo respiratorio bloccato e affannoso nasconde una evidente difficoltà ad accettare la realtà e le esperienze nel loro divenire, proiezione di un radicato disagio emotivo. Rabbia, ansia, frustrazione agiscono con spinte depressive sul sistema endocrino e cardiovascolare, provocando nell’organismo uno stato di allarme tale per cui aumenta la frequenza del battito cardiaco e del respiro che diventa irregolare, se non strozzato e si entra nelle cosiddette “Onde Gamma”. Contrariamente, gioia e soddisfazione sono emozioni alle quali si accompagna una respirazione ampia e vibrante.
Il tipo di ambiente in cui viviamo, dal punto di vista climatico, sociale e famigliare sollecita differenti re-azioni emotive espresse con un proprio “schema respiratorio” ovvero una modalità di respirazione che riflette come stiamo, diventa il “termometro” del nostro ben-essere più profondo[8]. La respirazione interviene nella dinamica della vita emotiva in maniera assai complessa. L’intera dimensione psicologica oscilla tra due poli opposti: da un lato, la liberazione pulsionale, il libero flusso dell’energia, dall’altro la repressione che porta a inibire i sentimenti e spinge il soggetto a chiudersi in un doloroso desiderio di fuga da se stesso, dal mondo[9]. Una riappropriazione del proprio Respiro diventa uno dei primi passi per intraprendere un cammino alla “riscoperta di Sé”, partendo dal presupposto che, miglioriamo il rapporto con noi stessi nel momento in cui incominciamo a fare le cose più semplici come ascoltare e percepire i nostri sensi.
Per riflettere
Comunicare non è soltanto un’azione rivolta ad altri, ma è un dovere verso noi stessi.
Come comunichiamo a noi stessi? Cosa ci raccontiamo? Prima di tutto, ci ascoltiamo?
Rimanere in silenzio per cogliere ciò che si agita in noi o per capire come stiamo respirando, ad esempio, è un’azione così banale, apparentemente, invece si riempie di significato nel momento in cui apprezziamo il valore del “qui e ora” alla base della disciplina della Mindfulness che sta spopolando e che richiama l’Uomo a una presa di coscienza del momento presente, quella sperimentato dalla Coscienza attiva e dal pensiero creativo.
Se impariamo a comunicare con noi stessi, mettendo a nudo le nostre intenzioni, le nostre passioni, le nostre paure, nostri desideri, le domande che popolano il nostro cervello, poniamo un primo, fondamentale mattone necessario alla costruzione della nostra “casa” simbolicamente la nostra consapevolezza di ciò che siamo e di cosa vogliamo.
Nella vita reale, confusa e caotica, costellata di “dover fare” o “dover essere” o ancora “non dover fare” e “non dover essere”, schemi di vita legati al tema dell’obbligo, in positivo e in negativo, noi finiamo con il sentirci svuotati, perché? Forse ci allontaniamo da qualcuno? Qualcosa? Dal nostro “centro”, la nostra vera Natura?
[1] C.G.Jung, Freud e la psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1973
[2]D.Frigolli, G.Cavallari, D.Ottolenghi, La Psicosomatica, il significato e il senso della malattia, Xenia, Milano 2000
[3] D.Goleman, Intelligenza Emotiva, Bur, Milano, 1995
[4] D.Frigolli, G.Cavallari, D.Ottolenghi, La Psicosomatica, il significato e il senso della malattia, Xenia, Milano 2000
[5]L. Hay, Il potere è in te, Cde, Milano, 1992
[6]L. Hay, Il potere è in te, Cde, Milano, 1992
[7] A. De Luca, Rebirthing. La terapia della rinascita, Xenia, Milano, 1995
[8] M.Screem, Rebirthing. Respirare per rinascere, Armenia, Milano, 1993
[9] A. De Luca, Rebirthing. La terapia della rinascita, Xenia, Milano, 1995