Lo sappiamo, viviamo in un continuo confronto. La maggior parte del tempo siamo in relazione con l’altro, ci troviamo ad agire, a prendere spazio, prendere posto, spesso volendoci affermare sugli altri. Una bella scena di teatro se guardata da fuori, dove l’attore protagonista è l’immagine che abbiamo costruito di noi.
In realtà abbiamo tante immagini di noi, e alla bisogna le peschiamo e buttiamo lì, sul palcoscenico, a dimostrare chi sono e per quale motivo sono degne degli applausi. Se osserviamo questo spettacolo non vediamo altro che un ologramma di noi che durante i vari atti prende diverse forme, cambia, si modella, si stravolge. A volte assume sembianze nuove, a volte sembianze note più o meno apprezzate. Segue un copione conosciuto, a determinate battute e situazioni si risponde con frasi, azioni ed emozioni corrispondenti, già studiati e collaudati. Siamo un po’ questo personaggio, un po’ quello, a seconda della situazione e di cosa gli altri attori dicono e fanno.
L’improvvisazione non è ammessa. Ma non tanto perché troppo rischiosa, quanto perché siamo talmente focalizzati sulla performance e il suo risultato, cioè mostrare la bellezza del nostro personaggio per ricevere l’acclamazione e gli applausi finali, che non ci rendiamo nemmeno quasi conto di essere sul palco.
Analogamente anche nella nostra vita molto spesso i pensieri che ci arrivano, le emozioni che proviamo, le reazioni che abbiamo sono gestite non dalla nostra volontà libera ma da quello che ci succede attorno e da ciò che altri dicono o fanno.
La spinta? Mostrare all’altro quello che crediamo di essere. Agirlo e metterlo in pratica. Per affermarci, essere riconosciuti, apprezzati e stare bene. Le circostanze fuori di noi muovono la nostra mano e disegnano la nostra immagine da mostrare in quell’occasione, come pittori intenti a creare il più bel quadro di noi possibile.
Ma… Se provassimo a credere per un attimo che in questo modo stiamo vivendo uno spettacolo di teatro? Se provassimo a vedere che in fin dei conti lì sul palco non siamo proprio noi a decidere cosa pensare, quali emozioni provare e come reagire? Se provassimo a scendere un attimo dal palcoscenico, a sederci in platea e ad osservarci? Ci vedremmo muovere, agire, sentire, così come vediamo gli altri attori fare. Stando fuori dalla scena, su questa poltrona, saremmo comodi, sereni, senza coinvolgimento emotivo. Saremmo lucidi e vedremmo chiaramente cosa stona e cosa si ripete in automatico. Potremmo addirittura suggerire a quelli sul palco delle battute nuove, dei movimenti diversi, creare un nuovo spettacolo, nel quale il regista di noi siamo noi stessi, semplicemente dislocato ad un paio di metri di distanza.
Non è cosa poi così difficile…. Basta provare a fermarsi un attimo e osservarci dall’esterno. Essere noi ma allo stesso tempo chi osserva noi. Automaticamente ci troveremmo che stiamo impugnando il telecomando delle nostre emozioni, pensieri e azioni. E potremmo decidere quali prossime battute interpretare, potremmo finalmente improvvisare. E lo possiamo fare in tutti i momenti della giornata.
L’unico sforzo è quello di ricordarsi di fermarci, osservarci, e dirci “alt, cosa sta succedendo? Cosa sto facendo? Cosa sto provando? Come mi sento?” E il gioco è fatto.
Con un po’ di allenamento viene sempre più facile…
Quindi… Pronti via! Che il teatro dell’improvvisazione abbia inizio.
In realtà abbiamo tante immagini di noi, e alla bisogna le peschiamo e buttiamo lì, sul palcoscenico, a dimostrare chi sono e per quale motivo sono degne degli applausi. Se osserviamo questo spettacolo non vediamo altro che un ologramma di noi che durante i vari atti prende diverse forme, cambia, si modella, si stravolge. A volte assume sembianze nuove, a volte sembianze note più o meno apprezzate. Segue un copione conosciuto, a determinate battute e situazioni si risponde con frasi, azioni ed emozioni corrispondenti, già studiati e collaudati. Siamo un po’ questo personaggio, un po’ quello, a seconda della situazione e di cosa gli altri attori dicono e fanno.
L’improvvisazione non è ammessa. Ma non tanto perché troppo rischiosa, quanto perché siamo talmente focalizzati sulla performance e il suo risultato, cioè mostrare la bellezza del nostro personaggio per ricevere l’acclamazione e gli applausi finali, che non ci rendiamo nemmeno quasi conto di essere sul palco.
Analogamente anche nella nostra vita molto spesso i pensieri che ci arrivano, le emozioni che proviamo, le reazioni che abbiamo sono gestite non dalla nostra volontà libera ma da quello che ci succede attorno e da ciò che altri dicono o fanno.
La spinta? Mostrare all’altro quello che crediamo di essere. Agirlo e metterlo in pratica. Per affermarci, essere riconosciuti, apprezzati e stare bene. Le circostanze fuori di noi muovono la nostra mano e disegnano la nostra immagine da mostrare in quell’occasione, come pittori intenti a creare il più bel quadro di noi possibile.
Ma… Se provassimo a credere per un attimo che in questo modo stiamo vivendo uno spettacolo di teatro? Se provassimo a vedere che in fin dei conti lì sul palco non siamo proprio noi a decidere cosa pensare, quali emozioni provare e come reagire? Se provassimo a scendere un attimo dal palcoscenico, a sederci in platea e ad osservarci? Ci vedremmo muovere, agire, sentire, così come vediamo gli altri attori fare. Stando fuori dalla scena, su questa poltrona, saremmo comodi, sereni, senza coinvolgimento emotivo. Saremmo lucidi e vedremmo chiaramente cosa stona e cosa si ripete in automatico. Potremmo addirittura suggerire a quelli sul palco delle battute nuove, dei movimenti diversi, creare un nuovo spettacolo, nel quale il regista di noi siamo noi stessi, semplicemente dislocato ad un paio di metri di distanza.
Non è cosa poi così difficile…. Basta provare a fermarsi un attimo e osservarci dall’esterno. Essere noi ma allo stesso tempo chi osserva noi. Automaticamente ci troveremmo che stiamo impugnando il telecomando delle nostre emozioni, pensieri e azioni. E potremmo decidere quali prossime battute interpretare, potremmo finalmente improvvisare. E lo possiamo fare in tutti i momenti della giornata.
L’unico sforzo è quello di ricordarsi di fermarci, osservarci, e dirci “alt, cosa sta succedendo? Cosa sto facendo? Cosa sto provando? Come mi sento?” E il gioco è fatto.
Con un po’ di allenamento viene sempre più facile…
Quindi… Pronti via! Che il teatro dell’improvvisazione abbia inizio.