Quando finisce una storia si rischia di impazzire, di non riconoscersi più e di identificare l’altro come un mostro insensibile e malvagio.
La pazzia inizia con la mancata previsione che certe cose succedono (un amore può finire), che lasciare una ‘casa viva’ è straziante, che vivere altrove è umida sopravvivenza e che le ombre del mondo invadono la propria esperienza.
Andiamo con ordine.
Quando ci innamoriamo investiamo tutto noi stessi in un progetto di vita. Ci adattiamo all’altro e un po’ desideriamo cambiarlo, ma soprattutto ci accomodiamo all’idea che quel progetto di vita sarà per sempre. Col passare degli anni si diventa fiduciosi di un futuro che sembra destinato ancorché desiderato. La sorpresa, lo shock? Che la compagnia non è sicurezza e che ci si disimpara a vicenda e tutto finisce in malo modo. E’ straziante. E’ pazzia.
Abbandonare una convivenza che è diventata famigliare, cose che sono diventate vive, una casa a cui si è dedicato anima e corpo, fa emergere il timbro della disperazione e della fatica di esistere e desiderare. Gli affetti, la casa, le cose diventano un prolungamento di se stessi e ogni gesto, ormai vano, spegne le vene e gela la pelle. E’ paralizzante. E’ pazzia.
Andare a vivere in una casa nuova senz’anima e senza istruzioni, è pura sopravvivenza. E’ una prigione. E’ pazzia.
Incolpare le ombre e se stessi di non avere previsto, non aver sfiorato l’idea che potesse accadere, è come toccare l’inferno e combattere con i mostri. E’ pazzia.
Nulla di tutto ciò può far ritornare a vivere un’anima calpestata. Eppure l’anima è bella e occorre ribaltare il cannocchiale della sofferenza.
La storia, negli ultimi anni, faticava. Gli oggetti (la casa, i beni) non sono animati, ma cose. La vita mostra nuove porte. E le ombre invitano alla consapevolezza.
E’ inutile darsi addosso e incolparsi. L’amore non muore mai di morte naturale. Muore di cecità, di errori e di tradimenti. Piuttosto, è utile prendersi il momento giusto per dire addio, raccogliere le valigie dell’orgoglio e atterrare nella distesa del cambiamento.
La pazzia inizia con la mancata previsione che certe cose succedono (un amore può finire), che lasciare una ‘casa viva’ è straziante, che vivere altrove è umida sopravvivenza e che le ombre del mondo invadono la propria esperienza.
Andiamo con ordine.
Quando ci innamoriamo investiamo tutto noi stessi in un progetto di vita. Ci adattiamo all’altro e un po’ desideriamo cambiarlo, ma soprattutto ci accomodiamo all’idea che quel progetto di vita sarà per sempre. Col passare degli anni si diventa fiduciosi di un futuro che sembra destinato ancorché desiderato. La sorpresa, lo shock? Che la compagnia non è sicurezza e che ci si disimpara a vicenda e tutto finisce in malo modo. E’ straziante. E’ pazzia.
Abbandonare una convivenza che è diventata famigliare, cose che sono diventate vive, una casa a cui si è dedicato anima e corpo, fa emergere il timbro della disperazione e della fatica di esistere e desiderare. Gli affetti, la casa, le cose diventano un prolungamento di se stessi e ogni gesto, ormai vano, spegne le vene e gela la pelle. E’ paralizzante. E’ pazzia.
Andare a vivere in una casa nuova senz’anima e senza istruzioni, è pura sopravvivenza. E’ una prigione. E’ pazzia.
Incolpare le ombre e se stessi di non avere previsto, non aver sfiorato l’idea che potesse accadere, è come toccare l’inferno e combattere con i mostri. E’ pazzia.
Nulla di tutto ciò può far ritornare a vivere un’anima calpestata. Eppure l’anima è bella e occorre ribaltare il cannocchiale della sofferenza.
La storia, negli ultimi anni, faticava. Gli oggetti (la casa, i beni) non sono animati, ma cose. La vita mostra nuove porte. E le ombre invitano alla consapevolezza.
E’ inutile darsi addosso e incolparsi. L’amore non muore mai di morte naturale. Muore di cecità, di errori e di tradimenti. Piuttosto, è utile prendersi il momento giusto per dire addio, raccogliere le valigie dell’orgoglio e atterrare nella distesa del cambiamento.