In quest’atmosfera di festa che si respira per il Natale imminente mi fermo e il pensiero vola veloce verso la felicità, sì la felicità quello stato magico e soggettivo a cui tutti o quasi aspiriamo.
Il dizionario Zingarelli dice che è felice ”chi è pienamente appagato nei suoi desideri”, quindi la felicità richiede la soddisfazione di bisogni, desideri, aspettative. Un tale concetto lo potremmo analizzare su diversi livelli: sul piano biologico chiedendoci quali bisogni devono essere soddisfatti per essere felici; su quello psico-sociale ragionando su cosa condiziona i bisogni e i desideri, o se la felicità ha caratteristiche individuali o uguali per tutti, o ancora quali condizioni psicologiche occorrono per essere felici; sul piano filosofico ci dovremmo chiedere cosa è la felicità e se esiste veramente; infine potremmo considerare questa emozione sul piano spirituale, dove viene fatta una netta distinzione tra il piacere legato alle cose materiali e la felicità in senso spirituale, quella che si raggiunge con capacità interiori e legate alla trascendenza.
La gioia invece, nel linguaggio comune, è associata ad un'emozione, a uno stato interno di forte attivazione psico-fisica piacevole. Proviamo gioia per un evento, di fronte a una sorpresa piacevole, in una situazione in cui ci sentiamo veramente bene. Potremmo dire che sperimentare spesso l’emozione della gioia dovrebbe portare alla felicità, ossia a quello stato emotivo di benessere durevole e di fondo tanto cercato e agognato. Eppure non sempre è così semplice.
Diciamo quindi che la felicità è uno stato interiore prolungato, uno stato-base emotivo di benessere, mentre la gioia è l’emozione positiva, scatenata da un evento o situazione, che ci vitalizza e attiva anche nella componente fisiologica, oltre che interiore, che spesso descriviamo con espressioni tipo “fare salti di gioia” o “non stare nella pelle dalla gioia”. Non è facile parlare della gioia senza toccare il tema della felicità; pur essendo due concetti non coincidenti si richiamano e si rinforzano reciprocamente.
Cosa ci procura gioia?
Oggi si collega molto facilmente la felicità al benessere materiale come se il benessere interiore ne fosse soltanto la conseguenza. Per molti la gioia è legata al possedere, all’ottenimento di un bene desiderato: la fonte del nostro benessere sembra collocarsi all’esterno, prendendo spesso la forma di un cellulare, di un’automobile, un vestito griffato, o altro. Oppure, spostandoci su un piano diverso, proviamo gioia nei rapporti interpersonali quando usciamo trionfanti dal confronto con gli altri, nel riconoscimento della nostra superiorità, nel sentirci onnipotenti o vincenti, annebbiati dal nostro narcisismo e dal nostro ego smisurato.
Fortunatamente anche nel campo della ricerca qualcuno riesce a confutare questa visione: M. Csikszentmihalyi, psicologo e famoso teorico della felicità e del benessere, ha sviluppato il suo lavoro intorno all’osservazione che nonostante oggi le ricchezze e i mezzi siano maggiori che nel passato, ciò non ci garantisce la felicità e questo perché la felicità non deriva dalla fortuna, dal caso o da eventi esterni ma è strettamente legata alla nostra volontà e dipende da come ciascuno di noi interpreta gli eventi e le esperienze.
Il nostro modo di interpretare ed elaborare l’esperienza e gli accadimenti, a sua volta dipende non tanto dall'età o dal sesso, tantomeno dalla bellezza, dalla ricchezza o dalla cultura, ma da caratteristiche della personalità quali ad esempio l’estroversione, la fiducia in se stessi, l’avere una sensazione di gestione/controllo su di sè e sulla propria vita.
“La gioia è indicibilmente di più della felicità; la felicità irrompe sugli uomini, la felicità è destino; la gioia gli uomini la fanno fiorire dentro di sé, la gioia è semplicemente una buona stagione sopra il cuore; la gioia è la cosa massima che gli uomini abbiano in loro potere”. (Tratto da una lettera di Rainer Maria Rilke)
Il dizionario Zingarelli dice che è felice ”chi è pienamente appagato nei suoi desideri”, quindi la felicità richiede la soddisfazione di bisogni, desideri, aspettative. Un tale concetto lo potremmo analizzare su diversi livelli: sul piano biologico chiedendoci quali bisogni devono essere soddisfatti per essere felici; su quello psico-sociale ragionando su cosa condiziona i bisogni e i desideri, o se la felicità ha caratteristiche individuali o uguali per tutti, o ancora quali condizioni psicologiche occorrono per essere felici; sul piano filosofico ci dovremmo chiedere cosa è la felicità e se esiste veramente; infine potremmo considerare questa emozione sul piano spirituale, dove viene fatta una netta distinzione tra il piacere legato alle cose materiali e la felicità in senso spirituale, quella che si raggiunge con capacità interiori e legate alla trascendenza.
La gioia invece, nel linguaggio comune, è associata ad un'emozione, a uno stato interno di forte attivazione psico-fisica piacevole. Proviamo gioia per un evento, di fronte a una sorpresa piacevole, in una situazione in cui ci sentiamo veramente bene. Potremmo dire che sperimentare spesso l’emozione della gioia dovrebbe portare alla felicità, ossia a quello stato emotivo di benessere durevole e di fondo tanto cercato e agognato. Eppure non sempre è così semplice.
Diciamo quindi che la felicità è uno stato interiore prolungato, uno stato-base emotivo di benessere, mentre la gioia è l’emozione positiva, scatenata da un evento o situazione, che ci vitalizza e attiva anche nella componente fisiologica, oltre che interiore, che spesso descriviamo con espressioni tipo “fare salti di gioia” o “non stare nella pelle dalla gioia”. Non è facile parlare della gioia senza toccare il tema della felicità; pur essendo due concetti non coincidenti si richiamano e si rinforzano reciprocamente.
Cosa ci procura gioia?
Oggi si collega molto facilmente la felicità al benessere materiale come se il benessere interiore ne fosse soltanto la conseguenza. Per molti la gioia è legata al possedere, all’ottenimento di un bene desiderato: la fonte del nostro benessere sembra collocarsi all’esterno, prendendo spesso la forma di un cellulare, di un’automobile, un vestito griffato, o altro. Oppure, spostandoci su un piano diverso, proviamo gioia nei rapporti interpersonali quando usciamo trionfanti dal confronto con gli altri, nel riconoscimento della nostra superiorità, nel sentirci onnipotenti o vincenti, annebbiati dal nostro narcisismo e dal nostro ego smisurato.
Fortunatamente anche nel campo della ricerca qualcuno riesce a confutare questa visione: M. Csikszentmihalyi, psicologo e famoso teorico della felicità e del benessere, ha sviluppato il suo lavoro intorno all’osservazione che nonostante oggi le ricchezze e i mezzi siano maggiori che nel passato, ciò non ci garantisce la felicità e questo perché la felicità non deriva dalla fortuna, dal caso o da eventi esterni ma è strettamente legata alla nostra volontà e dipende da come ciascuno di noi interpreta gli eventi e le esperienze.
Il nostro modo di interpretare ed elaborare l’esperienza e gli accadimenti, a sua volta dipende non tanto dall'età o dal sesso, tantomeno dalla bellezza, dalla ricchezza o dalla cultura, ma da caratteristiche della personalità quali ad esempio l’estroversione, la fiducia in se stessi, l’avere una sensazione di gestione/controllo su di sè e sulla propria vita.
“La gioia è indicibilmente di più della felicità; la felicità irrompe sugli uomini, la felicità è destino; la gioia gli uomini la fanno fiorire dentro di sé, la gioia è semplicemente una buona stagione sopra il cuore; la gioia è la cosa massima che gli uomini abbiano in loro potere”. (Tratto da una lettera di Rainer Maria Rilke)