Vorrei condividere con voi la mia esperienza personale e una riflessione, che ha trovato riscontro in alcune persone con cui ho condiviso il mio vissuto.
Entrare nel mondo della crescita personale può essere uno dei passi più entusiasmanti della vita di un individuo. La voglia di evoluzione trova terreno fertile in un mondo ricco di strumenti e riflessioni, che possono aiutare a migliorarci e migliorare le nostre vite.
All’inizio di un percorso evolutivo la persona comincia ad analizzarsi, a confrontarsi con le aree di sé e della propria vita che necessitano di essere più o meno trasformate. Cominciano ad emergere lacune, limiti e aspetti che si vorrebbero perfezionare. Così può accadere che le insoddisfazioni vengono a galla e che siano queste a fungere da carburante per il cambiamento.
Ma il cambiamento verso cosa? Sappiamo cosa non funziona ma come facciamo a capire la direzione da prendere?
Comincia ad emergere un immagine di un io ideale, una ideale (futura) versione di sè.
È in questo momento che diventa importante domandarsi: quanto questa immagine ci appartiene veramente? Da dove nasce? Dalle aspettative degli altri? Dal modello proposto dalla società?
A volte nasce della negazione delle parti di noi che non ci piacciono e non accettiamo. E non dico che non ci piacciano senza motivo, alcune parti necessitano di crescere e di cambiare. Ma rischiamo di puntare a un ideale che non riflette chi siamo e di approcciare il cambiamento come una sorta di punizione auto inflitta. Dalla guerra con noi stessi però non può nascere niente di buono, almeno questa è la mia esperienza.
C’è un’importante sottile linea di tensione, da scoprire e gestire, tra l’accettare noi stessi pienamente, per chi siamo nel momento presente, mentre allo stesso tempo ci spingiamo verso il miglioramento.
Vorrei accennare a due dei motivi per cui l’accettazione può fare paura:
In primo luogo, spesso, confondiamo l’accettazione con la resa. Se mi accetto per quello che sono vuol dire che rimarrò sempre uguale a me stesso. Dove troverò la forza per cambiare?
Inoltre l’accettazione di sé richiede una buona dose di vulnerabilità.
Essere vulnerabili vuol dire, tra le altre cose, entrare in contatto con tutte le parti di sé, anche quelle più scomode. Vuol dire sentire tutte le emozioni, anche quelle che ci mettono in difficoltà. Vuol dire entrare in contatto con le parti che sentiamo più fragili.
Possiamo voler cambiare semplici imperfezioni, abitudini o modelli e strutture che ci appartengono nel profondo. Per i più fortunati al mondo, di cui faccio parte io, perché c’è chi non si può permettere come me di investire in questa scelta, ci sono strumenti, percorsi e persone che possono sostenere questo processo. Ma è importante partire dall’accettazione, dall’alleanza con noi stessi. E dal prendersi cura, un po’ come se fossimo i genitori di noi stessi. Questo vuol dire alimentare una sana motivazione al cambiamento.
Del resto, se lo scopo è vivere in una condizione di maggiore benessere, non si può che partire da un atto di profondo benessere: accoglierci empaticamente, in tutte le nostre parti. Così avremo la possibilità di conoscere il nostro seme interiore e di nutrirlo con ciò di cui più ha bisogno per crescere.
Entrare nel mondo della crescita personale può essere uno dei passi più entusiasmanti della vita di un individuo. La voglia di evoluzione trova terreno fertile in un mondo ricco di strumenti e riflessioni, che possono aiutare a migliorarci e migliorare le nostre vite.
All’inizio di un percorso evolutivo la persona comincia ad analizzarsi, a confrontarsi con le aree di sé e della propria vita che necessitano di essere più o meno trasformate. Cominciano ad emergere lacune, limiti e aspetti che si vorrebbero perfezionare. Così può accadere che le insoddisfazioni vengono a galla e che siano queste a fungere da carburante per il cambiamento.
Ma il cambiamento verso cosa? Sappiamo cosa non funziona ma come facciamo a capire la direzione da prendere?
Comincia ad emergere un immagine di un io ideale, una ideale (futura) versione di sè.
È in questo momento che diventa importante domandarsi: quanto questa immagine ci appartiene veramente? Da dove nasce? Dalle aspettative degli altri? Dal modello proposto dalla società?
A volte nasce della negazione delle parti di noi che non ci piacciono e non accettiamo. E non dico che non ci piacciano senza motivo, alcune parti necessitano di crescere e di cambiare. Ma rischiamo di puntare a un ideale che non riflette chi siamo e di approcciare il cambiamento come una sorta di punizione auto inflitta. Dalla guerra con noi stessi però non può nascere niente di buono, almeno questa è la mia esperienza.
C’è un’importante sottile linea di tensione, da scoprire e gestire, tra l’accettare noi stessi pienamente, per chi siamo nel momento presente, mentre allo stesso tempo ci spingiamo verso il miglioramento.
Vorrei accennare a due dei motivi per cui l’accettazione può fare paura:
In primo luogo, spesso, confondiamo l’accettazione con la resa. Se mi accetto per quello che sono vuol dire che rimarrò sempre uguale a me stesso. Dove troverò la forza per cambiare?
Inoltre l’accettazione di sé richiede una buona dose di vulnerabilità.
Essere vulnerabili vuol dire, tra le altre cose, entrare in contatto con tutte le parti di sé, anche quelle più scomode. Vuol dire sentire tutte le emozioni, anche quelle che ci mettono in difficoltà. Vuol dire entrare in contatto con le parti che sentiamo più fragili.
Possiamo voler cambiare semplici imperfezioni, abitudini o modelli e strutture che ci appartengono nel profondo. Per i più fortunati al mondo, di cui faccio parte io, perché c’è chi non si può permettere come me di investire in questa scelta, ci sono strumenti, percorsi e persone che possono sostenere questo processo. Ma è importante partire dall’accettazione, dall’alleanza con noi stessi. E dal prendersi cura, un po’ come se fossimo i genitori di noi stessi. Questo vuol dire alimentare una sana motivazione al cambiamento.
Del resto, se lo scopo è vivere in una condizione di maggiore benessere, non si può che partire da un atto di profondo benessere: accoglierci empaticamente, in tutte le nostre parti. Così avremo la possibilità di conoscere il nostro seme interiore e di nutrirlo con ciò di cui più ha bisogno per crescere.