" ...I muri non hanno orecchie. Nella casa del tuo corpo, si. " (Thérèse Bertherat )
Cambiare è faticoso!
Qualche volta è un salto nel vuoto; un richiamo che si avverte innato, doveroso verso se stessi, ma niente prepara alla potenza degli eventi.
Si può iniziare un percorso personale pensando che sia quasi una fatalità, una serie di circostanze che spingono agli incontri e verso una direzione.
Invece è una voce foriera, una parola che chiede di essere ascoltata!
Sdraiata supina sul pavimento della mia stanza, eseguo gli esercizi quotidiani di rilassamento e di antiginnastica.
Scelgo questa postazione per avere le casse dello stereo appoggiate direttamente ai timpani e godermi il potente flusso musicale che mi investe, quasi a fare da tappetino alla mia seduta. Accende la stanza di un colore cangiante che vira i suoi toni a seconda che si tratti di note sottili e delicate, o di un brano dei "Rage against the machine".
Ciò che arriva, arriva! Io lo accolgo e intanto mi interrogo sul senso delle mie scelte, delle fatiche, dei possibili segnali e....attendo.
Il corpo è un'asse di legno, nodoso e apparentemente muto. Una di quelle assi da cantiere, che dopo anni di intemperie resta secca e curvata; una parabola di resistenza deformante!
Appoggiata su pochi spigoli di carne asimmetrica ascolto la mia parte destra che sempre cede, come anestetizzata. Come se qualcuno ogni mattina mi caricasse sulla clavicola un sacco di cemento e mi costringesse a calci, ad affrontare l'armatura! E in effetti è proprio così!
Cambiare significa dolore! E anche tanto!
Pesi che si sganciano dalla coscienza, giudizi che crollano sulle costruzioni intatte di una vita, convinzioni abusate; quella bella staccionata di controllo che tanto bene difendeva la mia casa, rasa al suolo come travolta da un caterpillar!
Nella tenda di allestimento dei lavori, sono profuga in cerca di un po' d'acqua per sciacquarmi i sensi dal sapore delle macerie e sul mio petto uno strato di polvere e calcinacci mi fa tremare di paura perché la mia casa sta cedendo sotto il peso di grandi forze che non so gestire.
Adesso per forza devo fare e fare meglio!
Sono ancora sdraiata sugli scogli aguzzi del mio corpo e mi aspetto un cambiamento eclatante, qualcosa che mi suggerisca che il lungo lavoro fatto nell'anima, passi direttamente alle carni e le risvegli, scollando tendini e legamenti e muscoli ancorati alla paura e al dolore, che invano chiedono spazio alla schiena, al collo ricurvo, a quelle braccia semi-sospese sugli appoggi ossei.
Mi aspetto da un istante all'altro di slegarmi, di liberarmi dal bozzolo e svolazzare per la stanza come una ballerina della Royal Ballet!
Insomma, l'agognata risposta al mio sforzo!
Nulla! Nulla di nulla!!! Non succede niente.
Insisto quasi accanita, alla ricerca del risultato tangibile, doveroso! Dovuto, dopo tanta strada fatta! Quasi mi arrabbio.
Eppure il mio corpo non mente!
Sembra tacere e invece racconta l'ostinata resistenza, la bugia del pensiero. E' una statua di diniego perché in effetti affrontare l'armatura, con i pesi che mi carico sulle vertebre, è un equilibrismo pericoloso e di grande fatica.
Devo riuscire ad ammettere le carenze strutturali, devo staccare dalle pareti quello strato di passato (l'ego) che utilizzo come scusa, devo impastare con l'umiltà una giusta dose di autostima; spezzare il tempo dell'approvazione, smettere di tergiversare nel parco giochi delle emozioni. E desiderarlo veramente!
E' facile sentirsi al sicuro nella vecchia struttura, coccolati dai riferimenti sedimentati.
Ma le travi scricchiolanti sono un segno inequivocabile che qualcosa potrebbe crollare clamorosamente! Forse chiudere le crepe ( e sentirsi un po' meglio, o un po' meno peggio), non è abbastanza!
Il mio corpo-abitazione chiede conoscenza nuova, intuizione; chiede di aprire nuove porte, creare spazi abitabili di sentimento, chiede una vista migliorata dalle finestre ampliate dell'anima.
A guardare in basso si può scorgere un baratro oppure nuove fondamenta; chissà che la mia dimora abbia il mare a pavimento e un tetto di stelle.
Il mio piede destro ora è leggermente abbandonato all'esterno, di pochi agognati centimetri o anche meno; potrebbe addirittura essere che la scapola abbia smesso di protestare.
Piccoli, esili segnali: forse un giorno sarò una ballerina.
Cambiare è faticoso!
Qualche volta è un salto nel vuoto; un richiamo che si avverte innato, doveroso verso se stessi, ma niente prepara alla potenza degli eventi.
Si può iniziare un percorso personale pensando che sia quasi una fatalità, una serie di circostanze che spingono agli incontri e verso una direzione.
Invece è una voce foriera, una parola che chiede di essere ascoltata!
Sdraiata supina sul pavimento della mia stanza, eseguo gli esercizi quotidiani di rilassamento e di antiginnastica.
Scelgo questa postazione per avere le casse dello stereo appoggiate direttamente ai timpani e godermi il potente flusso musicale che mi investe, quasi a fare da tappetino alla mia seduta. Accende la stanza di un colore cangiante che vira i suoi toni a seconda che si tratti di note sottili e delicate, o di un brano dei "Rage against the machine".
Ciò che arriva, arriva! Io lo accolgo e intanto mi interrogo sul senso delle mie scelte, delle fatiche, dei possibili segnali e....attendo.
Il corpo è un'asse di legno, nodoso e apparentemente muto. Una di quelle assi da cantiere, che dopo anni di intemperie resta secca e curvata; una parabola di resistenza deformante!
Appoggiata su pochi spigoli di carne asimmetrica ascolto la mia parte destra che sempre cede, come anestetizzata. Come se qualcuno ogni mattina mi caricasse sulla clavicola un sacco di cemento e mi costringesse a calci, ad affrontare l'armatura! E in effetti è proprio così!
Cambiare significa dolore! E anche tanto!
Pesi che si sganciano dalla coscienza, giudizi che crollano sulle costruzioni intatte di una vita, convinzioni abusate; quella bella staccionata di controllo che tanto bene difendeva la mia casa, rasa al suolo come travolta da un caterpillar!
Nella tenda di allestimento dei lavori, sono profuga in cerca di un po' d'acqua per sciacquarmi i sensi dal sapore delle macerie e sul mio petto uno strato di polvere e calcinacci mi fa tremare di paura perché la mia casa sta cedendo sotto il peso di grandi forze che non so gestire.
Adesso per forza devo fare e fare meglio!
Sono ancora sdraiata sugli scogli aguzzi del mio corpo e mi aspetto un cambiamento eclatante, qualcosa che mi suggerisca che il lungo lavoro fatto nell'anima, passi direttamente alle carni e le risvegli, scollando tendini e legamenti e muscoli ancorati alla paura e al dolore, che invano chiedono spazio alla schiena, al collo ricurvo, a quelle braccia semi-sospese sugli appoggi ossei.
Mi aspetto da un istante all'altro di slegarmi, di liberarmi dal bozzolo e svolazzare per la stanza come una ballerina della Royal Ballet!
Insomma, l'agognata risposta al mio sforzo!
Nulla! Nulla di nulla!!! Non succede niente.
Insisto quasi accanita, alla ricerca del risultato tangibile, doveroso! Dovuto, dopo tanta strada fatta! Quasi mi arrabbio.
Eppure il mio corpo non mente!
Sembra tacere e invece racconta l'ostinata resistenza, la bugia del pensiero. E' una statua di diniego perché in effetti affrontare l'armatura, con i pesi che mi carico sulle vertebre, è un equilibrismo pericoloso e di grande fatica.
Devo riuscire ad ammettere le carenze strutturali, devo staccare dalle pareti quello strato di passato (l'ego) che utilizzo come scusa, devo impastare con l'umiltà una giusta dose di autostima; spezzare il tempo dell'approvazione, smettere di tergiversare nel parco giochi delle emozioni. E desiderarlo veramente!
E' facile sentirsi al sicuro nella vecchia struttura, coccolati dai riferimenti sedimentati.
Ma le travi scricchiolanti sono un segno inequivocabile che qualcosa potrebbe crollare clamorosamente! Forse chiudere le crepe ( e sentirsi un po' meglio, o un po' meno peggio), non è abbastanza!
Il mio corpo-abitazione chiede conoscenza nuova, intuizione; chiede di aprire nuove porte, creare spazi abitabili di sentimento, chiede una vista migliorata dalle finestre ampliate dell'anima.
A guardare in basso si può scorgere un baratro oppure nuove fondamenta; chissà che la mia dimora abbia il mare a pavimento e un tetto di stelle.
Il mio piede destro ora è leggermente abbandonato all'esterno, di pochi agognati centimetri o anche meno; potrebbe addirittura essere che la scapola abbia smesso di protestare.
Piccoli, esili segnali: forse un giorno sarò una ballerina.