Mi guardo attorno e mi chiedo cosa sia la diversità. Osservo ascolto e noto come ci sia una sorta di filtro tra chi la diversità la vive, quotidianamente in tutte le sue pieghe e chi invece la vede come una cosa fastidiosa, dove in alcuni casi può diventare vera e propria intolleranza.
Questa piccola premessa è doverosa per l’argomento che voglio trattare. La diversità non è soltanto essere di colore diverso, piuttosto che essere etero o gay, la diversità è una miopia che colpisce chi non vuole vedere, non vuole ragionare, non vuole capire cosa c’è in un mondo che non è come il suo. Alla luce di queste poche righe vorrei condividere, con chi avrà la pazienza di leggere, l’esperienza da me appena conclusa, in un paese molto noto come località turistica, Livigno, dove da oramai 27 anni viene organizzata una manifestazione davvero interessante. In poche parole è una manifestazione dove per tre giorni ragazzi disabili, di qualsiasi disabilità sia cognitiva che fisica, compresi disabili in carrozzina, si cimentano in alcuni sport invernali, dallo slittino allo sci di fondo.
Al di la delle specialità paraolimpiche, perché proprio di paraolimpiadi si tratta o quanto meno il contesto sportivo viene contestualizzato in quell’ambito, ciò che mi ha colpito è stato tutto l’aspetto organizzativo. Curato nei minimi particolari, d'altronde 27 edizioni hanno dato esperienza e creato i presupposti per migliorare sempre di più la macchina organizzativa, ma soprattutto il coinvolgimento di tutto il paese, sia da parte delle autorità locali, scuole primarie e secondarie, albergatori che in collaborazione con il comune hanno creato tariffe agevolate, volontari che per tre giorni si dedicano alla macchina organizzativa per la riuscita della manifestazione. Nel vedere tutto ciò mi sono chiesto com’era possibile un tale coinvolgimento da parte di tutti. La risposta che mi sono dato vedendo, ma soprattutto vivendo in prima persona i momenti sportivi, culturali e ludici organizzati per i ragazzi, è stata la creazione di una cultura nel vedere la disabilità in modo diverso. Come si può cambiare una prospettiva, un retaggio culturale per non parlare di una cultura sociale, che non coglie la disabilità o peggio ancora manda messaggi come se la cosa non riguardasse tutta una società? Io credo dal mio punto di vista, che un cambio di prospettiva sia vivere assieme hai ragazzi momenti di aggregazione, in questo caso sportivi. Le gare sulla neve sono state create da volontari che si intendono di neve, sanno come creare un campo gara di slittino piuttosto che un percorso con le ciaspole, dando la pettorina numerata a ogni singolo ragazzo come ai grandi campioni di sci, in modo che i cronometristi potessero prendere i tempi, creando l’atmosfera dell’evento sportivo con tanto di speaker e bambini delle scuole primarie con i campanacci a tifare per loro, ma soprattutto facendo aiutare i ragazzi disabili dagli studenti delle scuole secondarie, dove con entusiasmo hanno dato il loro sostegno a tutti i ragazzi, nessuno escluso, affinché potessero vivere il loro momento di gloria. Il connubio disabilità e ragazzi in età scolare è a mio avviso vincente, perché crea la possibilità di vivere in prima persona la condizione del disabile, portando gli studenti a vedere queste persone meno fortunate, come individui che non sono diversi, mettendole sullo stesso piano e vivendo assieme a loro le difficoltà che quotidianamente questi individui vivono. L’esperienza diretta è la migliore maestra, più di qualsiasi spiegazione frontale, perché ti mette di fronte e ti coinvolge direttamente con il problema, perché la realtà vissuta è inopinabile.
Ogni associazione che ha partecipato all’evento aveva dei volontari che erano dei riferimenti per tutti quegli aspetti organizzativi che dovevano essere espletati. Questi volontari erano gli occhi, le orecchie e la bocca delegate dalla macchina organizzativa affinché tutto filasse liscio. A noi sono capitati Nicoletta e Vincenzo, persone che di mestiere fanno tutt’altro. Nicoletta lavora nelle attività imprenditoriali di famiglia e Vincenzo nel settore pubblico. Nicoletta ha iniziato a partecipare in giovanissima età alle edizioni Livignasche, complice uno zio disabile, Vincenzo Livignasco di adozione era la prima volta che faceva il volontario, ma entrambi hanno fatto sentire i ragazzi come a casa, come tutti i volontari delegati nelle altre associazioni. Non si percepiva la diversità, ne tra i volontari aggregati nella associazioni partecipanti, ne in paese che ha vissuto da parte di tutti i cittadini la manifestazione come un’opportunità di crescita.
La domanda a questo punto sorge spontanea: se in un angolo di mondo come Livigno tutto questo è possibile, creare cultura sociale nel vivere assieme a chi è meno fortunato l’esperienza della disabilità, per imparare che non c’è il normale e l’handicappato, ma solamente una diversa difficoltà a vivere la vita, se questo messaggio a Livigno è stato creato, è possibile esportarlo altrove?
Questa piccola premessa è doverosa per l’argomento che voglio trattare. La diversità non è soltanto essere di colore diverso, piuttosto che essere etero o gay, la diversità è una miopia che colpisce chi non vuole vedere, non vuole ragionare, non vuole capire cosa c’è in un mondo che non è come il suo. Alla luce di queste poche righe vorrei condividere, con chi avrà la pazienza di leggere, l’esperienza da me appena conclusa, in un paese molto noto come località turistica, Livigno, dove da oramai 27 anni viene organizzata una manifestazione davvero interessante. In poche parole è una manifestazione dove per tre giorni ragazzi disabili, di qualsiasi disabilità sia cognitiva che fisica, compresi disabili in carrozzina, si cimentano in alcuni sport invernali, dallo slittino allo sci di fondo.
Al di la delle specialità paraolimpiche, perché proprio di paraolimpiadi si tratta o quanto meno il contesto sportivo viene contestualizzato in quell’ambito, ciò che mi ha colpito è stato tutto l’aspetto organizzativo. Curato nei minimi particolari, d'altronde 27 edizioni hanno dato esperienza e creato i presupposti per migliorare sempre di più la macchina organizzativa, ma soprattutto il coinvolgimento di tutto il paese, sia da parte delle autorità locali, scuole primarie e secondarie, albergatori che in collaborazione con il comune hanno creato tariffe agevolate, volontari che per tre giorni si dedicano alla macchina organizzativa per la riuscita della manifestazione. Nel vedere tutto ciò mi sono chiesto com’era possibile un tale coinvolgimento da parte di tutti. La risposta che mi sono dato vedendo, ma soprattutto vivendo in prima persona i momenti sportivi, culturali e ludici organizzati per i ragazzi, è stata la creazione di una cultura nel vedere la disabilità in modo diverso. Come si può cambiare una prospettiva, un retaggio culturale per non parlare di una cultura sociale, che non coglie la disabilità o peggio ancora manda messaggi come se la cosa non riguardasse tutta una società? Io credo dal mio punto di vista, che un cambio di prospettiva sia vivere assieme hai ragazzi momenti di aggregazione, in questo caso sportivi. Le gare sulla neve sono state create da volontari che si intendono di neve, sanno come creare un campo gara di slittino piuttosto che un percorso con le ciaspole, dando la pettorina numerata a ogni singolo ragazzo come ai grandi campioni di sci, in modo che i cronometristi potessero prendere i tempi, creando l’atmosfera dell’evento sportivo con tanto di speaker e bambini delle scuole primarie con i campanacci a tifare per loro, ma soprattutto facendo aiutare i ragazzi disabili dagli studenti delle scuole secondarie, dove con entusiasmo hanno dato il loro sostegno a tutti i ragazzi, nessuno escluso, affinché potessero vivere il loro momento di gloria. Il connubio disabilità e ragazzi in età scolare è a mio avviso vincente, perché crea la possibilità di vivere in prima persona la condizione del disabile, portando gli studenti a vedere queste persone meno fortunate, come individui che non sono diversi, mettendole sullo stesso piano e vivendo assieme a loro le difficoltà che quotidianamente questi individui vivono. L’esperienza diretta è la migliore maestra, più di qualsiasi spiegazione frontale, perché ti mette di fronte e ti coinvolge direttamente con il problema, perché la realtà vissuta è inopinabile.
Ogni associazione che ha partecipato all’evento aveva dei volontari che erano dei riferimenti per tutti quegli aspetti organizzativi che dovevano essere espletati. Questi volontari erano gli occhi, le orecchie e la bocca delegate dalla macchina organizzativa affinché tutto filasse liscio. A noi sono capitati Nicoletta e Vincenzo, persone che di mestiere fanno tutt’altro. Nicoletta lavora nelle attività imprenditoriali di famiglia e Vincenzo nel settore pubblico. Nicoletta ha iniziato a partecipare in giovanissima età alle edizioni Livignasche, complice uno zio disabile, Vincenzo Livignasco di adozione era la prima volta che faceva il volontario, ma entrambi hanno fatto sentire i ragazzi come a casa, come tutti i volontari delegati nelle altre associazioni. Non si percepiva la diversità, ne tra i volontari aggregati nella associazioni partecipanti, ne in paese che ha vissuto da parte di tutti i cittadini la manifestazione come un’opportunità di crescita.
La domanda a questo punto sorge spontanea: se in un angolo di mondo come Livigno tutto questo è possibile, creare cultura sociale nel vivere assieme a chi è meno fortunato l’esperienza della disabilità, per imparare che non c’è il normale e l’handicappato, ma solamente una diversa difficoltà a vivere la vita, se questo messaggio a Livigno è stato creato, è possibile esportarlo altrove?