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'P.P.P.P.P.P.P.P.' di Francesca Dalpasso

11/4/2021

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“Pensa, poi parla. Perché parole poco pensate portano pena”
​
Solo l’essere umano è dotato della possibilità di comunicare
con un suo simile, attraverso una comunicazione logica e puntuale.
La parola racchiude in sé immagini, suoni, proiezioni di un oggetto e inserita
Correttamente all’interno di una frase attraverso uno schema metrico adeguato,
ne diviene concetto.
Dietro ogni parola c’è quindi ben oltre una semplice successioni di suoni.
La parola ha definito nuovi territori, usanze e tradizioni.
Con essa, vista la varietà, si sono creati confini, diversità e culture.
 
E’ un forte strumento di potere, di contrattazione, di persuasione,
Di espressione sentimentale.
La parola ci definisce, ci rende diversi e sono l’essere uomo è caratterizzato da questo.
Eppure,
è uno strumento che spesso viene utilizzato come arma che ferisce più di qualsiasi altra arma materiale.
La parola, inserita in contesto di valori, di etica, di coscienza forma gruppi, amicizie, famiglie.
La parola, usata come arma di potere divide e disintegra.
Ma spesso che credo che l’uomo di comando, di dittatura, non si soffermi su ciò a cui è destinato.
La parola “solitudine”.
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'Micro e macro obiettivi' di Matteo Bonollo

10/4/2021

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Spesso e volentieri ci giochiamo il tutto per tutto nel raggiungimento di un obiettivo, che esso sia lavorativo, sportivo o di vita quotidiana.

Ci facciamo assorbire completamente, quasi ossessionati da questo e molte volte trascuriamo parti importanti nonché fondamentali per arrivare a tale scopo.

Ma questa ossessione quanto realmente è produttiva al fine del nostro risultato?

Sicuramente avere il “faro” ben chiaro davanti è fondamentale per portare a termine ciò che ci siamo prefissati, l’identificazione dell’obiettivo e la visualizzazione di esso in uno stato compiuto sono due fattori essenziali, se non ci crediamo noi chi lo può fare al posto nostro?? Ma molto spesso tutto questo non è abbastanza senza aver prima individuato dei piccoli passi quotidiani che portino alla costruzione di tutto ciò.

Fissare dei micro obiettivi diventa vitale per mantenere alta la nostra motivazione e il nostro credo in quello che stiamo facendo.

Per uno sportivo l’allenamento a volte può sembrare noioso, ripetitivo o poco funzionale ai fini del suo scopo. Dobbiamo raggiungere la consapevolezza che senza quel tassello, senza la preparazione muscolare, senza quel movimento provato e riprovato 100 volte, non è possibile arrivare ad una meta più grande o a una performance migliore.

Prendo l’esempio del calciatore, essendolo stato anch’ io, quanti allenamenti sulla coordinazione, sui riflessi, sulla stabilità, sull’ elasticità e resistenza vengono fatti e per cosa? Semplicemente per arrivare prima su un pallone, vincere un tackle o avere la lucidità di eseguire a perfezione un gesto tecnico anche dopo la stanchezza di un’ora e più di gioco.

Ogni singolo allenamento in questo caso lo dobbiamo vedere come un micro obiettivo ma trattare come fosse un macro obiettivo, dove il miglioramento di ogni singolo esercizio diventa fondamentale per migliorare la nostra performance finale. Quando il perfezionare ogni esercizio sarà il nostro principale scopo, la conseguenza naturale sarà sicuramente, quando arriverà il momento della gara, una prestazione positiva e soddisfacente.

Discorso a mio avviso molto scontato ma proprio per questo troppo spesso trascurato.

Esempio diverso in ambito lavorativo e vendita: vediamo solo il numero là in alto, il fatturato, il risultato, le medie mensili. Ma per costruirlo servono piccoli passi, a partire da una presenza adeguata alla situazione, concentrarsi nella pianificazione giornaliera, ma soprattutto ad imporsi piccoli step quotidiani da raggiungere.

Focalizzarci inizialmente sul contattare un certo numero di potenziali cliente al giorno è il primo passo, fissarsi un numero e fare di tutto per rispettarlo. Successivamente visitare ed esporre quello che stiamo proponendo a questi potenziali clienti sempre con un obiettivo giornaliero prefissato ben chiaro e per finire, una volta creato un terreno fertile, avremo davanti tutte le opportunità per perfezionarci su una trattativa vincente. Inizialmente i conti non torneranno, avremo difficoltà nel contattare e fissare appuntamenti al numero di clienti che pensavamo, ma la costanza e la determinazione ci farà diventare maestri nel farlo e questo ci porterà ad arrivare al nostro fine in modo naturale.

In questo caso il nostro macro obiettivo non dovrà essere la vendita finale ma diventare bravi nel creare le opportunità perché ciò avvenga.

Non basta buttare dei semi perché cresca un raccolto, bisogna preparare meticolosamente la terra, zapparla, innaffiarla costantemente e la conseguenza sarà il raccolto che tanto desideriamo.

Dobbiamo scollegarci per un po' dal nostro macro obiettivo e fissarci dei micro obiettivi più semplici ed immediati. Questo ci aiuta sia a prendere più fiducia in noi stessi e più dimestichezza in quello che stiamo facendo, sia perfezionarci in quei piccoli dettagli che sono fondamentali per il compimento della nostra mission.

Mi colpì durante la visione di un film del quale non ricordo il titolo, la frase dove riportavano la regola delle 5P (Pianificare-Prima-Previene-Pessime-Performance).
​
Quando diventeremo maestri nel pianificare e nel raggiungere piccoli step giornalieri, arriveremo al risultato senza l’ansia da prestazione che ci attanaglia, in quanto il risultato è una naturale evoluzione di una meticolosa preparazione.
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'Il valore dell'accoglienza' di Alessandra Stocco

9/4/2021

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Mai come in questo periodo mi sono trovata a riflettere e ad ascoltarmi in profondità sul tema dell’accoglienza. Accogliere, essere accolta, sono temi su cui mi sono molto interrogata negli ultimi anni, partendo dal chiedermi che significato profondo abbiano per me, per arrivare a comprendere che non esiste un’unica risposta, perché la vita è cambiamento e cambiano anche i significati che diamo alla vita stessa... e credo che da un anno a questa parte tutti noi abbiamo sperimentato quanto la vita, per come la conosciamo, possa cambiare in modo così “drastico”.

Per me, nel qui e ora, l’accogliere è legato alla piccola vita che sta crescendo dentro di me e che esiste proprio perché mi sono permessa ad un livello molto profondo di poterla accogliere. E questo è un grandissimo miracolo, soprattutto perché mi ero convinta che non potesse accedere, di non essere “accogliente” ad un livello psico-fisico profondo.

Mi piace pensare a me stessa come ad una persona accogliente, sicuramente sento di esserlo a livello fisico, una stretta di mano presente, un abbraccio sentito, un sorriso aperto, sono tutte caratteristiche che riconosco in me stessa e che mi sono state riportate più volte da chi mi circonda. Poi c’è l’accoglienza più profonda, quella che non giudica chi si ha davanti, quella che ha a che fare con l’empatia, con l’ascolto, con il rispetto profondo dell’altro, che può essere possibile solo dopo aver imparato ad accogliere veramente e profondamente noi stessi. E questa è tutta un’altra storia, una storia che si può imparare a mettere in pratica se con costanza e onestà si ha il coraggio e la perseveranza di guardarsi dentro per conoscere chi davvero siamo, al di là della nostra storia, delle nostre convinzioni, dei condizionamenti e anche delle definizioni che diamo di noi stessi.

Spesso infatti portiamo avanti appellativi che da soli ci siamo dati molto tempo fa e che ormai non hanno più niente a che fare con il presente, ma il nostro cervello li ha registrati e li porta avanti.

Una delle mie convinzioni è sempre stata che il femminile fosse legato alla passività e alla debolezza, a quella parte bisognosa incapace di stare in piedi con le proprie gambe. Grazie ai percorsi personali e alla scuola di counseling ho fatto una scoperta che per me ha significato una svolta: il femminile è legato alla forza, alla potenza (in primis della creazione) che si esprimono a partire dal permettersi di essere vulnerabili, che non significa essere deboli.
Ho imparato che nel permettermi di farmi vedere vulnerabile c’è invece una grandissima forza, come dire “si, se mi colpisci sanguino, se mi offendi soffro e non ho bisogno di farti credere il contrario né di aggredirti per difendermi. Così è”. Avendo sempre pensato alla vulnerabilità come ad un aspetto negativo, riconoscerla, legittimarla ed accoglierla è stato forse il primo passo per imparare ad accogliere per prima me stessa, e poi l’altro per ciò che è, non per ciò che io mi aspetto sia e anche questo fa parte del potere legato al femminile (l’accoglienza è una delle caratteristiche principali del femminile).

Accogliere l’altro significa permettergli di essere ciò che è, non seguire le nostre aspettative o immagini mentali, aprirsi a qualcuno senza giudizio e renderlo libero di esprimersi seguendo solo la sua natura.

Penso al colloquio di counseling e di coaching: quando una persona sente di trovarsi in un ambiente “protetto” cioè di fronte a qualcuno che non lo sta giudicando, ma al contrario è curioso di conoscerlo, allora si sente libero di esprimere ciò che davvero ha dentro, anche quello che egli stesso giudica “cattivo” e il counselor (o coach) stesso si sentirà a sua volta più legittimato a fare la stessa cosa nella sua vita perché è testimone che questo funziona.

Carl Rogers parla di accettazione incondizionata: “l’accettazione dei vissuti e delle esperienze, astenendosi da ogni forma di interpretazione e /o giudizio, accettare la realtà esistenziale dell’altro e valorizzare l’altro per ciò che è. Accettazione non vuol dire condivisione o approvazione incondizionata di idee, opinioni e sentimenti diversi dai nostri, bensì il riconoscere all’altro la libertà di provarli; è una forma di rispetto profondo dell’altro da sé, un modo di essere dell’agevolatore che contribuisce a dare alla relazione la qualità imprescindibile della comprensione profonda”.
“Esiste un curioso paradosso, quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare”.
​
Tornando al mio qui e ora ciò che forse mi ha più emozionata nell’ultimo periodo è stato dare la notizia alle persone a me care: le reazioni sono state le più svariate, dall’incredulità alla meraviglia, dall’euforia al disorientamento… ma l’emozione comune che ho percepito è stata la gioia. Gioia partecipe della mia gioia. Ho sentito la vicinanza emotiva nonostante la distanza fisica. Ho ricevuto tantissime offerte d’aiuto sia materiale che emotivo, ho sentito più volte  la frase “conta su di me, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno... io ci sono” e questo mi ha fatto sentire accolta, oltre che legittimata nel permettermi di chiedere aiuto. E anche questo è un grande passo avanti nel riconoscere la mia vulnerabilità e nel permettermi di accogliere tutte le parti di me.
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'Quanto mi costano 90 secondi?' di Gian Luca Capuzzo

8/4/2021

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Questa sera proprio non ne ho….
Non ce la faccio…
Lo so già che tanto esco presto…
Ho la testa altrove…
Non ho la concentrazione giusta…
E’ proprio un periodo no…
E ma…

Quante giustificazioni ci vengono in mente quando è ora di prepararci e partire per un’apnea che richiede un minimo di impegno Tecnico - Fisico - Mentale - Apneistico.

In questa stagione agonistica “mozza”, come lo è stata la scorsa, per via di questa situazione di emergenza sanitaria che ci affligge sotto ogni punto di vista da oltre 12 mesi, tutto sembra più complesso, siamo costretti ad accelerare un poco i tempi se vogliamo comunque rendere utile ed attivo il nostro piano di allenamenti ed arrivare a fine stagione con un’accresciuta consapevolezza dei nostri limiti e, magari, averli superati. I programmi sono stati stravolti e la nostra consuetudine di conseguenza è andata a farsi friggere.

Le situazioni che viviamo a casa, sul lavoro, in smart-working ed in tutte le mutate situazioni che si sono venute a creare, ci fanno traballare, le diversità ci destabilizzano così tanto che anche solo concentrarsi per 90 secondi diventa impossibile.

Ma quanto costano 90 secondi di concentrazione?
Quanto durano 90 secondi?
Cosa serve quando ogni motivazione per non fare ciò che siamo venuti a fare sembra davvero valida?
Mancano davvero quei 90 secondi per essere soddisfatti a pieno di ciò che abbiamo fatto?
Forse sì forse no, la risposta è dentro di noi, come sempre in apnea e nella vita di tutti i giorni il “QUI ED ORA” risuona con vigore ed essere capaci di viverlo per quei 90 secondi forse ci mette nella condizione di poter portare a casa una prova, un allenamento che ci motiva, ci rende fieri di noi stessi, ci fa improvvisamente cambiare tutte le ipotesi iniziali:

Questa sera ce l’ho fatta!
Ce la faccio!
Sono certo che farò del mio meglio!
Sono Qui ed ora!
Ho la concentrazione giusta!
Questo allenamento me lo porto a casa!
Non mi invento scuse, lo faccio e basta!

Ed ecco che quei 90 secondi diventano motivo di orgoglio, perché in un momento difficile, non ho mollato, perché una volta ancora quella manciata di tic-tac che al di fuori della vasca valgono un semaforo rosso o il tempo di scaldare una tazza di the al micro-onde mi hanno reso fiero di me.

Sono solo 90 secondi, ma come dico sempre ai miei atleti, i problemi che potete avere al di fuori di qui, lì sono quando entrate in piscina e li ritroverete tali quando uscirete, magari se l’allenamento lo avete fatto andare bene, li vedrete con colori meno forti. Per tanto teniamoci sempre 90 secondi di “Qui ed Ora” di riserva in un cassetto della mente, così da usarli quando serve, diventeranno un’arma fortissima per vincere su tante situazioni diverse.
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90 secondi di qui ed ora…
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'Quando  deludiamo le aspettative di un altro e quello che vede  in noi non sempre ci rispecchia'  di Silvia Camporese

29/3/2021

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Vi e mai capitato di  trovarvi in una situazione, dove un'altra persona  vi dice di aver fatto meno ad patto  e  aver deluso le sue aspettative ? E per questo, non siete una persona su cui fare affidamento, perché in voi aveva visto delle capacità e dei potenziali e avete creato una delusione, ma non vi riconoscete in questa affermazione?   

Analizzando la questione, vi rendete conto, che non avevate stretto nessun patto, ma parlato di sogni  e possibilità,  niente di concreto, e non vi riconoscete in quelle qualità e capacità. 
Penso che ad ognuno di noi, almeno una volta nella vita, sia capitato di stare da una o dall'altra parte.

Quale reazione, ha creato in noi, che sentimenti ha toccato questa affermazione?
Una svariata miriade di risposte mi sono arrivate, dal sentirsi ferita,  arrabbiata, in colpa ,giudicata, privata della libertà, incastrata in un circuito e chi più ne ha più ne mette. Ma in realtà, analizzando a mente fredda questa affermazione, quanto di noi c'è dentro? Sono le nostre aspettative ad essere state deluse o le aspettative dell'altro?

Sicuramente, la parte incolpata, ha una parte in questa aspettativa, un errore di comunicazione, verbale o non, ha creato il presupposto per questa illusione. Questo è il suo pezzetto di responsabilità. 

Quanto alla parte  incolpante, che si e sentita delusa, in lui  invece è  stata l'illusione o la speranza dell'altro di creare,  realizzare, un  desiderio, dove l'altro poteva essere il  mezzo o un co protagonista. Molto spesso c’è quella fase illusoria dove creiamo delle aspettative ma sono all’interno di noi, le riversiamo nell'altro incolpandolo di non essere stato fedele ad un patto, ma quel patto e quella speranza l'abbiamo co-creata.

​Quanto siamo in grado di ascoltare i nostri sentimenti ed entrare nel profondo della delusione dell'altro per capire quale 'ruolo' attribuirci?
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Io e “Il Piccolo Principe” di Elisa Fraboni

24/3/2021

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“Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano”
 
Ci prendiamo troppo sul serio?
Ci comportiamo in base alla data anagrafica?
Ci comportiamo perchè ci hanno detto che bisogna fare così?
Cosa significa essere “grande”?
Saint-Expury ebbe nel 1935 una grave avaria in pieno deserto del Sahara , qui sul pianeta Terra nel 2021 la grave avaria si chiama Covid-19 e mi trovo improvvisamente nel “deserto”e mi si presenta un’altra parte di me che ho avuto la fortuna di incontrare e chi mi è appartenuta tanti anni fa e che proviene da un altro pianeta e che spesso , come succede ai grandi, finisce per essere dimenticata, come l’immaginazione, la creatività, l’espressività  e la ludicità che porta con sè.
Così quando la bambina mi chiede di  disegnare una pecora, recupero un vecchio disegno dove riconosco l’incapacità dei grandi di capire e comprendere da soli l’autenticità, la spontaneità e la capacità interpretativa del mondo dei bambini  e come, i bambini stessi, si stancano a spiegargli tutto ogni volta; e fu allora che decisi di scegliere un’altra strada più riconoscibile e accettabile per gli altri e meno spontanea per me, ma era l’unica strada che conoscevo per ottenere l’affetto di cui avevo bisogno.
“E quando incontravo una persona grande che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era una persona veramente comprensiva. Ma chiunque mi rispondeva: “è un cappello”. “
 
Il piccolo principe proveniva da un asteroide B 612 , un mondo meraviglioso fatto di poche cose ma tutte importanti ed essenziali, ma non senza difficoltà. Ma ai grandi interessano più le cifre che le cose essenziali: Che età ha? Quanto guadagna il padre? E non si domandano mai : Qual è il tono della sua voce?  Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?
E così mia madre ci confezionava, a me e mia sorella, dei vestiti “ a festa” per la messa della domenica, il pranzo in famiglia con i nonni e gli zii, la passeggiata in “centro” a Bologna contenta e fiera; più attenta alla forma che alla sostanza non ha mai colto la sensazione di fastidio e imbarazzo vissuto da noi nell’indossare sempre vestiti simili e che a volte manco ci piacevano.  Mio padre ci portava al parco a giocare , vestite a festa si tornava a casa malconce ma felici: “ mamma abbiamo fatto le capriole giù per la collina e abbiamo raccolto le margherite per te!”. Vi lascio immaginare la reazione di mia madre, dietro al suo sorriso si celava la delusione.
“Sono fatti così. Non c’è da prendersela. I bambini devono essere indulgenti coi grandi. Ma certo noi che comprendiamo la vita ce ne infischiamo dei numeri!”
 
“E’ un grande dispiacere per me descrivere questi ricordi ... e io cerco di descriverli per non dimenticare... e posso anche io diventare  come i grandi che non si interessano più che di cifre.”
Ed è per questo che da un paio di anni ho comprato diari e penne colorate e appena ho l’ispirazione scrivo, scarabocchio, abbozzo (perchè a disegnare sono una schiappa!), coloro figure, parole, frasi, tratti, linee e curve; a volte tentenno , mentre altre , come questa volta,  mi sento un fiume in piena; a volte mi sbaglio e altre cerco di non tralasciare alcun minimo particolare.  E mi sento molto seria in quel momento.
“Può darsi che io sia un pò come i grandi. Devo essere invecchiata.”
Non può darsi , è così , mi prendo troppo sul serio e perdo di vista i particolari, i dettagli , l’essenziale. Proprio l’altro giorno ho incontrato un mio carissimo amico , un fratello acquisito, che  ha vissuto un momento di sospensione ,da poco nell’attesa di un responso medico  importante e mi ha detto: “Elisa abbiamo finito di vivere, no abbiamo vissuto l’essenziale”. 
Le domande sorgono spontanee: Noi grandi ci permettiamo di vivere l’essenziale solo se ci manca il fiato? Cosa è superficiale, in-essenziale e cosa essenziale?  Essenziale è sinonimo di serio?
“Sul pianeta del piccolo principe ci sono come su tutti i pianeti le erbe buone e quelle cattive. Di conseguenza : dei buoni semi di erbe buone e dei semi cattivi di erbe cattive. Ma i semi sono invisibili. Dormono nel segreto della Terra fino a che all’uno o all’altro piglila fantasia di risvegliarsi. Se si tratta di ramoscello di ravanello o di rosaio, si può lasciare spuntare come vuole. Ma se si tratta di una pianta cattiva, bisogna strapparla subito, appena la si riconosce...se si arriva troppo tardi, non si riesce più a sbarazzare. Ingombra tutto il pianeta. Lo trapassa con le sue radici. Quando si ha finito di lavarsi al mattino, bisonga fare con cura la pulizia del pianeta... è un lavoro molto noioso, ma facile.”
Qualcuno una volta mi disse: “raccogli ciò che semini”; quanto di più vero, ma ancor più vero “dei semi buoni di erbe cattive, dei semi cattivi erbe cattive”.
Immediatamente mi viene da pensare : basta eliminare i semi cattivi.
La mia domanda è : qualcuno c’è riuscito? E soprattutto se si sono insidiate nelle nostre radici, come facciamo a pulirle?
In questi ultimi anni ho imparato l’importanza di una lettera (alfabetica) che fa cambiare immediatamente prospettiva  alle cose, facendone rilevare i diversi punti di vista e favorendo sia un processo di integrazione delle varie parti di sè che di pulizia.
È la lettera E da sostituire alla lettera O altrimenti, come dice Saint-Expury, potrebbe capitare che se si arriva troppo tardi non si riesce più  a sbarazzarsene ... sono convinzioni, credenze, schemi mentali, difese di noi grandi.
In quella lettera E c’è l’integrazione dei semi buoni e di quelli cattivi, c’è il riconoscimento e l’accettazione, così ogni mattina mi alzo pronta per prendermi cura del mio pianeta , senza sensi di colpa.
 
“Io conosco un pianeta su cui c’è un signor Chermisi. Non ha mai respirato un fiore. Non ha mai guardato una stella. Non ha mai voluto bene a nessuno. Non  fa altro che addizioni. E tutto il giorno ripete come te “Io sono un uomo serio!” “Io sono un uomo serio!” e si gonfia di orgoglio. Ma non è un uomo , è un fungo!”
Per i miei genitori io ero quella più fisica, meno intellettuale rispetto a mia sorella e mi sono portata dietro questa convinzione per tanti anni, a partire dalla scelta degli indirizzi scolastici fino alla scelta lavorativa, inciampando in fallimenti che ho vissuto più come una delusione e sgarbo fatto ai miei genitori con relativo senso di colpa, che come momento di crescita; per non parlare del fatto che in qualità di “collaboratrice sportiva”, termine coniato dalla pandemia, mentre io preferisco definirmi un “educatrice sportiva”, per i miei genitori non è mai stato un “lavoro serio” perchè mancante di un contratto previdenziale con tutti i benefici del caso.
Mi sono presa anche troppo sul serio a fare addizioni per altri e per troppo tempo:  ora vivo in campagna, guardo le stelle, sono circondata da piante e fiori di cui mi prendo cura, sono circondata da persone che amo , amo il mio lavoro e ne riconosco i benefici e sono una persona seria. Saluto il Signor Chermisi e gli auguro buona vita.
 
“Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare. L’autorità riposa, prima di tutto, sulla ragione. Se tu ordini al tuo popolo di andare a gettarsi in mare, farà la rivoluzione. Ho il diritto di esigere l’ubbudienza perchè i miei ordini sono ragionevoli.”
“L’avrai il tuo tramonto , lo esigerò , ma nella mia sapienza di governo, aspetterò che le condizioni siano favorevoli.”
Presa dalla routine quotidiana, con i suoi tempi , compiti e ruoli,  mi  perdo di vista con il rischio di pretendere da me molto di più di quello che posso dare e soprattutto di dare, dare, dare e non trovare alcuna soddisfazione e piacere perchè spinta solo da un senso del dovere.
Se mi fossi affidata alla sapienza di qualche saggio “re” , sarei riuscita a trovare le condizioni per avere “il mio tramonto”; ma l’affidarsi è un mio punto  vulnerabile, consapevole che ricontatterei quella parte bambina che ha bisogno di ritrovare sorrisi liberi di cui ha un ricordo vivido e piacevole.
“Giudicherai te stesso. È la cosa più difficile. È molto più difficile giudicare se stessi che gli altri. Se riesci a guidicarti bene è segno che sei veramente saggio.”
 
“Decisamene i grandi sono bizzarri, diceva con semplicità a se stesso, durante il suo viaggio”
 
“Faccio un mestiere terribile. Una volta era ragionaevole. Accendevo al mattino e spegnevo alla sera, e avevo il resto del giorno per riposarmi e il resto della notte per dormire...”
“E dopo la consegna è cambiata?...”
“La consegna non è cambiata”, disse il lampionaio, “è proprio questo il dramma. Il pianeta di anno in anno ha girato sempre più in fretta e la consegna non è stata cambiata!”
Chi decide a quale velocità deve girare il proprio pianeta, quando noi grandi ci ritroviamo a dire , tanto per dire, “non mi bastano 24 ore” , ma soprattutto “la consegna non è cambiata!”.
Sono le responsabilità da grandi, è l’idea di non farci mancare niente,  è il dover produrre per un mondo migliore, non possiamo perdere tempo ... e ci troviamo dentro a logiche abitudinarie conformistiche difficili da scardinare ... eppure la consegna non è cambiata!!
E se invece di cambiare le abitudini , cambiassimo la consegna!!
 
“Decisamente  i grandi sono proprio straordinari” si disse durante il viaggio il piccolo principe.”
 
“Che cosa vuol dire effimero?”
“Vuol dire che è minacciato di scomparire in un tempo breve.”
Tutto quanto è transitorio, di breve durata , ma accattivante.  Il Piccolo Principe si preoccupa per il suo fiore che è destinato a scomparire , quindi effimero, e che ha lasciato solo a diferndersi dal mondo con le sue 4 spine, ma pur sempre accattivante, a cui porgere sempre un pensiero.
Ennesima domanda: con quale qualità coltiviamo e ci prendiamo cura del nostro fiore , destinato a durare poco? E di quanti fiori è fatta la nostra esistenza?
 
“Se i due miliardi di abitanti che popolano la terra stessero in piedi e un pò serrati , come per un comizio, troverebbero posto facilmente in una piazza di ventimila metri di lunghezza per ventimila di larghezza. Si potrebbe ammucchiare l’umanità su un qualsiasi isolotto del Pacifico.” (Saint-Expury non sapeva che una pandemia avrebbe vietato comizi  e assembramenti nelle piazze!)
“Naturalmente i grandi non ci crederebbero. Si immaginano di occupare molto posto. Si vedono importanti con i baobab. Consigliategli allora di fare dei calcoli, adorano le cifre e gli piacerà molto. Ma non perdete tempo con questo pensiero , è inutile, visto che avete fiducia in me.”
Purezza, desideri,sogni,  autenticità, emozione, spontaneità, domande, sostanza, candore, curiosità, fiducia, pianti e sorrisi, ginocchia sbucciate, confronto, stimoli,  il bello e il brutto, istinto, intuito, corporeità, amici ... CONTRO logiche, razionalità, mente, corazza, difese, resistenze, diffidenza, convinzioni, giudizi, difetti , compiti, ruoli, apparenza, pretese, aspettative, obblighi , doveri, conoscenti, affronto, risposte, ...
(ognuno di voi può divertirsi ad aggiungere, togliere, modificare, invertire).
Vi invito a fare questo gioco e cercare di sentire quella parte “bambina” dentro di voi  a cui volete dare voce.
“Noi grandi siamo così ingombranti!”
 
“Non posso giocare con te” disse la volpe, “non sono addomesticata”.
“Ah! Scusa” disse il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione aggiunse:
“Che cosa vuol dire addomesticare?”
“Che cosa cerchi?” disse la volpe.
... “Cerco gli uomini” rispose il piccolo principe.
“Cerco degli amici”. “Che cosa vuol dire addomesticare?”
“E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire “CREARE DEI LEGAMI”...
“Tu finora per me non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te e neppure tu di me. ... Ma se mi addomestichi , NOI avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu per me sarai unico al mondo e io sarò per l’unica al mondo.”...
...“Se tu mi addomestichi la mia vita sarà come illuminata.”
...”Non si conoscono che le cose che si addomesticano” disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono amici mercanti, gli uomini non hanno più amici. Se vuoi un amico addomesticami. “
“Che cosa bisogna fare?” domanda il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti.  In principio ti sederai lontano da me e non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno potrai sederti sempre più vicino. ... “
 
Chi meglio di me ha adottato la strategia dell’avvicinamento graduale verso  gli altri e lo ritengo un mio punto di forza se non fosse che non si tratta di pazienza ma  di diffidenza;  e da grande si è amplificata consapevole del fatto che mi ha allontanato (o non mi ha fatto avvicinare) da belle persone e  che mi ha frenato /fregato nel creare nuovi legami.
Non ho mai avuto una migliore amica/migliore amico, e devo dire che non mi piace nemmeno come modo di dire, ho creato legami forti indissolubili con poche persone, si contano sulle dita di una mano, ma che nemmeno la distanza e l’assenza possono scalfire , ma riconosco che appartengono tutti ad un periodo della mia vita , forse quando non mi prendevo troppo sul serio!
Ho ritrovato e riprovato le sensazioni di quei legami con alcune persone conosciute da qualche anno , mi hanno fatto sentire anche nuove vibrazioni  e un nuovo piacere e, come dice la volpe, voglio assumermi la responsabilità di aver creato questo legame e “coltivarlo con il cuore”anche da lontano.
Solo ora capisco perchè i bambini hanno bisogno del “miglior amico/a” vissuto con semplicità e lealtà consapevoli che si possono allontanare per un anno senza perderne la fedeltà .
“Ecco ciò che mi commuove di più in questo piccolo principe addormentato: è la sua fedeltà a un fiore, è l’immagine di una rosa che risplende in lui come la fiamma di una lampada, anche quando dorme...”
 
E noi grandi partiamo e torniamo, di tutta fretta saettiamo sui nostri asteroidi/bolidi a testa bassa con gli occhi che fissano la strada e così “non inseguiamo nulla” , “solamente i bambini schiacciano il naso contro il vetro,  perchè solo loro sanno quello che cercano” , anche se ultimamente stanno prendendo le nostre sembianze e posture e dovremmo dare un buon esempio magari schiacciando il naso contro il vetro, fare la bolla di vapore per scriverci dentro.
Io voglio di nuovo , ancora e ancora sentire quella risata , quel sentimento irreparabile, voglio viaggiare con il naso schiacciato e farmi sorprendere, addomesticare una rosa, guardare le stelle e trovarne una per me con cui ridere, avvicinarmi sempre un pò di più e aprire il mio cuore, mentre gli altri “grandi” mi prenderanno per pazza.
 
“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”
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'Il mistero quotidiano' di Vincenzo Sangiovanni

21/3/2021

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Potrei iniziare questo argomento da differenti incipit. Quello che mi interessa è trasmettere la pervasività del mistero nella vita quotidiana partendo dalla mia esperienza diretta.. Ecco una buona partenza che interessa il coaching e rappresenta anche una provocazione logica: “Se lo spazio soluzione è più grande dello spazio problema, il problema tenderà a risolversi, se lo spazio soluzione è infinito il problema tenderà a svanire..”. L’infinito è una delle rappresentazioni classiche del mistero e della spiritualità. Si può sperimentare l’infinito o semplicemente immaginare?

Facciamo un passo indietro. Il mio rapporto con il Mistero parte da lontano. Avevo trai 5 e i 6 anni quando fui pervaso da una sorta di visione totalizzante; ero in un grande prato e stavo guardando gli altri bambini che giocavano.. ad un certo punto tutto si fermò e mi parve lontano, sospeso ed insignificante.. il tempo e lo spazio si dilatarono scolpendo nella memoria un attimo di eterno infinito.. Naturalmente questa è una interpretazione posteriore, per dare un senso a quello che avevo vissuto. Ora la memoria mi catapulta circa 15-20 anni avanti quando in una uggiosa serata di fine estate sentii i passi di mio padre risuonare nel viottolo polveroso che portava alla casa dei nonni. Lì usualmente soggiornavamo durante le “vacanze al Paese”. In quel momento fui travolto da una sensazione opprimente di morte e vidi mio padre avvolto da un alone teatrale di ineluttabile oblio. Era calato il sipario sulla sua vita.. Almeno era quello che ho vissuto e come un virus infetta la memoria e la percezione di mio padre e della morte, onnipresente compagna di viaggio.

In quegli anni di gioventù sentivo urgente per la mia salute mentale dare un senso agli eccessi di umore, dalla tristezza cosmica all’euforia allucinogena. Emozioni violente, spiazzanti, alienanti.. Molte volte mi sentii vicino all’abisso della follia o della depressione.. La fantasia e la scrittura di poesie aiutavano a dare uno spazio di espressione alle pulsioni emotive ma erano solo contenitori dove spostare l’alienazione o lo stupore. Scatole di orrori e meraviglie. Proprio allora iniziai a frequentare assiduamente un gruppo culturale con cui condividevamo corsi, viaggi, esperienze curiose e “spirituali”. Lo studio dell’antropologia, dell’arte e delle religioni mi aiutò molto ad indirizzare l’enorme curiosità verso il mondo ed il mistero. In una di quelle bizzarre esperienze percorremmo all’alba un “labirinto”, almeno era quella la nostra intenzione.. Entrare nel celeberrimo labirinto di Porsenna! In realtà si trattava probabilmente di una tomba etrusca (Poggio la Gaiella?), abbandonata nella campagna toscana.. Fu allora che maturai una straordinaria attenzione per i Luoghi insoliti e misteriosi, testimonianze di antica sapienza ed energia tellurica, non solo necropoli, templi, strade antiche, resti archeologi di varia natura ma anche giardini e parchi e siti naturali bizzarri e sublimi..

La salvezza definitiva dalla confusione arrivò con la nascita delle mie figlie. Il mistero della paternità e dell’espansione di esseri viventi in altri esseri viventi. L’immersione nella quotidianità di pianti, pannolini e rigurgiti vari.. mi radicò al ruolo di compagno, padre e lavoratore. Non c’è niente di più potente di una famiglia per ancorarci alla faticosa e meravigliosa realtà quotidiana.

Ma la pulsione per il Mistero continuava a risuonare nella mente.. finché finalmente riuscì a realizzare uno splendido viaggio esperienziale in alcune delle principali cattedrali gotiche francesi. Era l’Aprile del 2003. Tra tutti luoghi visitati la magnifica Chartres, Acropoli di Francia, la mia Shamballa... Studiai le vetrate istoriate della cattedrale una per una finché mi avvicinai all’idea originaria dei costruttori di creare un tempio cosmico, espressione compiuta dell’umano e del divino.. Documentai quel viaggio in un libro fotografico.. Poteva essere una svolta epocale nella mia vita.. Nonostante qualche altro viaggio successivo la spinta di ricerca dei luoghi si affievolì, riposi il libro nel cassetto e ripresi la ricerca in altri territori. Il percorso del Counselling mi portò verso il Mistero definitivo, la Relazione con Sé e con l’Altro.. Usai questa esperienza per ritornare allo studio del Mistero. Mi avvicinai al Counselling spirituale ed iniziai ad organizzare seminari esperienziali sul “Senso della Vita”. Il primo passo fu ripercorrere il tema della spiritualità da differenti prospettive e tramutarlo in esperienza sacra passando dalla ricerca di significati alla ricerca del Senso. Il senso in quanto necessario e mutevole è pervaso di mistero. Ma questa è un’altra storia non ancora matura da raccontarvi.

Ogni giorno della mia vita è immerso nel mistero della Relazione con me stesso. Non so chi sono, non so perché sono, non so dove sto andando. Ma in ogni istante costruisco senso che cerco di condividere. Ogni giorno della mia vita è immerso nel mistero della Relazione con l’Altro. Non so chi siete, da dove venite, cosa volete realmente per voi stessi, cosa volete realmente da me, dove state andando, dove stiamo andando, per chi o per che cosa. Infinite, eterne domande che non hanno risposta?   
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'Il lavoro, lo trovi o lo cerchi? Se no?

21/3/2021

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Chi si affaccia al mondo del lavoro scopre che cercarlo è già un lavoro. Soprattutto in questo periodo. Emoziona, turba e non si è mai sufficientemente preparati. Alla ricerca ingenua di interlocutori disponibili o di clienti affezionati, si può sbattere contro un muro di sfiducia, sospetto, diffidenza. Ahimè, ho visto molte persone deprimersi nella ricerca della cosa giusta da intraprendere per mancanza di esperienza e conoscenza di come va il mondo.

Chi cerca un lavoro, oggi, non lo trova se non caccia, o piuttosto se non pesca tra le opportunità. Il mondo così come lo conosciamo, ha reso inutili arco e frecce ed è diventato liquido. Per questo occorre fare un bel tuffo dentro di sé e scoprire, trovare e recuperare, il ‘pesce d’oro’.

Per la stragrande maggioranza dei ‘cercatori d’oro’, un diploma o la laurea, da sole, non bastano più a trovare un lavoro o a costruirsi una reputazione. Figuriamoci per chi ha solo un diploma e scarse competenze tecnico-professionali. Oppure chi non ha maturato una buona dose di competenze trasversali come l’autocontrollo, la fiducia in sé, la flessibilità o la capacità di allineare i propri comportamenti alle necessità.

Direi che non si va molto lontano senza requisiti minimi!

Infatti, troviamo ragazzi con buoni curriculum, con tanti sogni e il desiderio di vivere una vita di qualità superiore, ma che non hanno le idee chiare su come individuare il lavoro ’ottimale’.
Trovare un lavoro, quindi, per chi cerca un lavoro o desidera riqualificarlo, è in sé una prova. Individuare il proprio profilo professionale e aggiornare il proprio curriculum, è certamente un modo per ‘agganciare’ possibili opportunità. Ma formarsi e crescere come persone è il vero carburante delle proprie aspirazioni.

Il problema allora è come fare esperienza di come vanno le cose dentro di sé.

Alzarsi la mattina, buttare giù la propria lista dei ‘cosa so fare’ e di cosa ci rende un po’ speciali, è un buon inizio. Telefonare a persone interessanti, che migliorano la rete delle conoscenze personali, può aiutare a migliorare i propri progetti e idee. Fare qualcosa che piace, ogni giorno, aiuta a dare concretezza all’espressione creativa di sé.

Alcune di queste cose le abbiamo certamente in nota, ma si tratta di metterle in pratica capendo in che modo potremo essere utili, agendo da persone motivate, in grado di spiegare a chiunque qual è il nostro progetto e cosa siamo intenzionati a fare.

Ci va di tenere un piano operativo? Di comunicare con persone di qualità? E dedicarci a cose che ci piacciono e che siamo in grado di tradurre in opportunità?  Se è così, metà lavoro è fatto! Siamo dalla parte di chi il lavoro lo cerca. E probabilmente lo trova. 
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'La scelta' di Lorenzo Manfredini

14/3/2021

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Quando si incontra l’amore si vive un’esperienza travolgente a cui non si può dire di no. Si percepisce una forza dirompente, trascinante, magica.
E non ci si sente in colpa verso il marito o la moglie traditi, perché non è tradimento, ma rapimento, non è contro qualcuno, figli o compagna, è estasi, trance, contemplazione.

Quando però la parabola dell’amore cerca radici e si impongono scelte, tutto si trasforma.
Ogni amante sa che la strategia di ‘vivere momento per momento’ può durare mesi e anni, ma sa anche che prima o poi, si tocca il freno delle responsabilità.
E dentro la cornice della responsabilità ci sono da gestire tante cose: i comportamenti e le reazioni dell’amata, ma anche le angosce di scelte interiori molto difficili.

Separazione dall’amore, quindi? O separazione dai legami strutturati?
Come superare la paura di far soffrire l’altro o gli altri’? Come affrontare le pene d’amore che si trasformano in mostri, in virago, come la separazione, il lutto dell’altro e il lutto da sé.
Felicità e sofferenza vanno insieme, ma come si possono sacrificare la sensibilità, l’umanità e la partecipazione di una vita?
Scelte difficili, dunque, se la situazione non evolve.

Da una parte ci si sente fermi, la vita non procede e si cercano nuove definizioni: siamo amanti o cosa siamo? Dall’altra, c’è la recita dell’armonia.

La domanda diventa allora, come piacerebbe che evolvesse tutto questo?

Come prepararsi a diversi possibili scenari che, comunque vada, sono il lutto di qualcosa di molto importante?

L’amore è libero e deve permettere di crescere, ma quando l’amore si esaurisce nelle domande, quando stanca e fa soffrire … è cominciato un altro film: inizia il tempo del superamento della dipendenza emotiva.
 
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'Quì e Ora' di Michela Dresseno

12/3/2021

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È da un po' di tempo che di queste tre parole ne sto facendo il perno centrante su cui ruotare , o meglio aggiustare, i miei pensieri.

“Qui e Ora” mi dico quando i pensieri galoppano furiosi e indomabili verso scene e prospettive pesanti e pessimiste, “ Qui e Ora” mi ripeto quando la mia impazienza mi porta lontano col desiderio di vedere già fatto e finito un qualsiasi lavoro o progetto, “Qui e Ora”mi grido quando mi lascio scappare un attimo, un incontro, una possibilità.

Si rifà al principio del “ carpe diem” di Orazio , cogli l'attimo , dove Qui e Ora significa vivere nel momento presente, non intrappolati nel passato e nel futuro.

Oltre che ai filosofi antichi, questo assunto interessa molto alla psicologia tanto che, un' importante corrente (la Gestalt) ne farà il centro del suo pensiero.

La Gestalt, o Psicologia della Forma, nasce agli inizi del ' 900 in Germania e ha un approccio fenomenolgico, cioè descrive i fenomeni così come sono nella realtà, nel presente,  precisamente nel Qui e Ora.

Viene data molta importanza alla percezione, al modo in cui essa sia soggettiva e influenzi l'esperienza e i comportamenti: è il modo di percepire la realtà, quella realtà del momento, che condizionerà una  risposta , un comportamento piuttosto che un altro.

La percezione è un fatto estremamente soggettivo, e la psicologia pone nuovamente l'attenzione sul singolo individuo, sul vissuto della persona, sul suo mondo interno.

Quindi la Gestalt, con l'assunto Qui e Ora , resterà sul presente ed esplorerà tutti gli aspetti percettivi che la persona vive, vede, sente, e sono in lei nel presente.
Va da sé che il pensiero corre al colloquio di Counseling e Coaching , cogliendone l'origine così di uno dei suoi principi basilari: IL PRESENTE.

Durante il colloquio, infatti, il Coach o il Counselor si occupa del presente, del Qui e Ora del cliente.
In senso allargato quindi ci si occupa di un fatto o di un obbiettivo che la persona intende vedere o raggiungere nell' immediato, ci si occupa di capire quali sono i pensieri, le azioni che la persona fa in “questo” momento, come vive il suo presente .

Nel colloquio si vanno poi ad individuare le risorse, le potenzialità che  il cliente ha “ ora, quindi cosa può mettere in campo per realizzare un obbiettivo domani, ma partendo da quello che c'è proprio Qui ed Ora..
E' proprio questo aspetto pragmatico e lineare che , a mio avviso, fa del colloquio di Coaching un colloquio che risulta essere sempre efficacie e produttivo.
È partire dalla semplice analisi di quello che c'è , che sento, che respiro, che vivo in quel momento, che mi fa sentire di esistere pienamente.
Ancora una volta , la natura mi ha risposto nel modo più semplice e diretto, come solo lei sa fare!

Stai nel “ Qui e Ora” mi ripeto da un po' di tempo a questa parte, come dicevo sopra, una specie di mantra che non sempre da i suoi risultati: si sa , non sempre riusciamo a padroneggiare il nostro pensiero.
Ma potare le viti....che grande insegnamento del Qui e Ora!

Non c'è stato bisogno che la mia mente si sforzasse di portarmi in quella direzione, era nello stato naturale delle cose, dell'essere.
​
Per potare una vite, c'è bisogno di attenzione, di osservazione, di precisione, di ascolto e di amore e non si vorrebbe proprio essere da nessuna altra parte e in nessun altro momento e quindi ecco fatto: il mio Qui e Ora, il mio ancoraggio, il mio intento, il mio respiro.
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"Scrivere un bel po'st" di Lorenzo Manfredini

7/3/2021

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In ogni master chiediamo ai partecipanti di scrivere dei post (minimo tre) in libertà, per analizzare, per scavare più a fondo, per rivivere, per riflettere e per associare nuove idee tra loro. E’ un compito che serve a dare una cornice ai propri pensieri ed esperienze. Serve a comunicare cosa emoziona e appassiona. 

All’inizio ci sono molti dubbi: ’di cosa parlo? A chi mi rivolgo? Non sarà banale? Etc.’

Successivamente emerge però qualcosa di speciale. Scrivendo, si comincia a riconoscere di poter vivere in due luoghi: quello della realtà concreta di ogni giorno, e poi con ciò che balla in testa tra futuro e passato, tra emozioni e pensieri, tra scoperte e illuminazioni.

Scrivendo in effetti accade tutto questo. Ad un certo punto si scopre che scrivere è restringere, setacciare, ma soprattutto cercare. E’ un fissare, tra la porta e la finestra, un pensiero che va avanti e indietro e che si pone queste domande: ’è questo che voglio dire? Dovrei dirlo in altro modo? Arriverà il mio messaggio? E se fosse … o no?  E se è così importante, allora che altro?
Insomma, da un disordine psicologico, silenzioso e immobile, si entra più in profondità, con il desiderio di dire la cosa giusta e affermare qualcosa che ci trasformerà.

Scrivere rappresenta tante cose. Un momento di tranquillità con se stessi, un modo di meditare sulla propria esperienza, alla  ricerca, nelle proprie zone out, di quel pensiero che chiarisce. Trasmettere delle emozioni sulla carta è come guardare attraverso il buco della serratura dei pensieri, è un aprirsi all’autenticità e alla scoperta di cosa ci guida nella vita.

Scrivere, è davvero un pensare.

Anche nella ripetizione di idee e trame che suonano simili ad altre migliaia, e che sembrano noiose e inutili ripetizioni, possiamo esplorare diverse angolazioni, con enfasi e con più o meno gradi di certezza, cioè liberi di esprimere le nostre differenze.
​
Quello che ci piacerebbe venisse alla luce è l’ascolto raffinato dei rumori di fondo dei pensieri, quelli selvaggi, dilaganti e inclini a correre ad alte velocità, tra le sottili ondulazioni di un destino personale che viene avanti e che ci rispecchia nelle parole che comunichiamo.
 
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'L'importanza di esserci' di Marika Pesce

3/3/2021

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Esserci, essere nel mondo e averne cura.
Vorrei essere presente per me e per le persone che fanno parte della mia vita e a cui tengo.
Vorrei esserci con umiltà, senza giudizio, in ascolto e comprensione; vorrei esserci con empatia, vorrei poter aiutare prestando attenzione a chi mi circonda, imparando a sentire e a riconoscere le emozioni e a lasciarle fluire.
Per questo sono in cammino.
Voglio esserci per il mio primo amore con tenerezza e passione, voglio esserci per la mia famiglia, per i miei amici, voglio esserci per il mio lavoro e per tutte le anime che incontrerò sul mio cammino.
Voglio esserci nei momenti felici e nei momenti difficili.
La vita è un viaggio imprevedibile, si può dire che io sia ancora piuttosto all’inizio di questo viaggio ma specie nell’ultimo anno trascorso ho dovuto superare tanti step e a causa del mio carattere introverso e timido ho fatto molta fatica a vedere il bello e il positivo nelle cose che mi sono successe.
Ma la vita ci mette intorno le persone giuste, le persone che con la loro presenza e il loro saper ascoltare senza giudicare ti danno gli input giusti e la forza per superare gli ostacoli e crescere.
Ognuno di noi nasce con delle determinate caratteristiche, ognuno di noi ha dei pregi e dei difetti.
Se ci guardiamo bene ci sono sempre delle cose per cui lamentarci.
Vorrei che diventasse il mio mantra la storia dell’ape e della mosca.
L’ape che vola su bellissimi prati ma anche su luoghi coperti di immondizia, cerca sempre il fiore e in ogni fiore ne cerca l’essenza, rimane concentrata sulla ricerca del nettare e ci insegna l’arte di focalizzarci sugli aspetti positivi e affrontare in modo opportuno le carenze di ognuno. Così dobbiamo sempre cercare le buone qualità in noi e nelle persone che ci circondano.
La mosca invece rappresenta un altro tipo di modalità di rapporto con gli altri. Proprio la mosca, infatti, può attraversare sterminati campi di fiori pieni di nettare ma non sarà attratta dal loro profumo bensì si concentrerà sempre a cercare e a succhiare la spazzatura.
Ecco che analizzando il comportamento dell’ape e della mosca dobbiamo trovare l’esempio per migliorare la qualità della nostra vita.
Non so ancora come sarà la mia vita, cosa mi riserverà il futuro e cosa diventerò, ci vuole una vita intera per diventare quello che siamo, ma mi auguro di esserci nel senso positivo e quindi come l’ape e di capire che ogni gioia, ogni avversità e ogni dolore contribuiscono a farmi diventare quello che sono destinata ad essere fin dal principio. 
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'Idee grandiose' di Lorenzo Manfredini

28/2/2021

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Ogni giornata può essere ricca di stimoli. Ogni libro può fornirci spunti di riflessione. Ogni corso cui partecipiamo può migliorare le nostre abitudini. Dobbiamo avere le antenne alzate e buoni sistemi di rilevazione per trovare stimoli veramente importanti.

Infatti, ogni giornata può passare senza avere imparato nulla di nuovo, possiamo aver letto un libro senza ricordare nulla di significativo, un corso può averci lasciato solo qualche informazione e poche motivazioni.

E allora, in mezzo all’accumulo di stimoli e possibilità, dobbiamo tenere alta la guardia su due cose: sull’ottenere il massimo dalla giornata, da un libro o da un corso, e renderlo pratico nel modo più focalizzato e rapido possibile.

Come farlo?
Si tratta di selezionare quella importantissima idea che da sola premia quell’associazione, quella lettura, quell’investimento. Dobbiamo individuare quel modello, quella tecnica o quel processo, che da solo valga il biglietto della ‘giornata’.

Può essere, a titolo di esempio, che ‘il contenuto che scrivo in un post, in una lettera o in un libro, risulti ricco di stimoli, ma diventi noioso se non riesco a creare una buona connessione’.
Il problema in questo caso diventa: ‘come posso trasferire l’idea di connessione alla mia vita, al mio lavoro, alla mia crescita, agli altri?’

Se riesco a creare un ‘carattere’ che esprima una forte personalità e che traspaia nei post, nelle mail, nella frequenza di un corso, può essere l’idea vincente che mi ripaga delle energie impiegate.

Naturalmente, quell’unico concetto, quella strategia, quel processo, diventano d’oro se si trasformano in azioni e risultati. Si tratta ‘solo’ di assecondare gli sviluppi di scelta e intuizione, metterli in pratica e diventare maestri di buone idee.
​
E tu, ‘quale grandiosa idea ti appresti a scoprire oggi?’
 
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Non sai cosa fare? Non sappiamo cosa fare? Scrivendo, si può chiarire che cosa fare! Un esempio personale' di Lorenzo Manfredini

21/2/2021

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Non sai cosa fare, non sai come cominciare. Non sai come procedere. Sei impantanato in progetti da cui ti senti in trappola. Comincia da qui!
Quante volte ci ritroviamo a chiederci: cosa faccio adesso?
Non è che manchino le cose da fare, anzi, ma che strada prendere se non si sa dove andare?
Non basta fare. Anche se le cose sono sempre tante e quando incombono serve una discreta energia per smaltirle, occorre individuare una strada. La mia, la tua, la nostra. Altrimenti la strada la decidono gli altri o le circostanze e a un certo punto si respira male in un territorio dai colori stonati.

Partiamo dai fondamentali: fare, va bene. Essere produttivi, va bene. Le attiività devono essere messe in fila e completate, va bene. L’autocontrollo va bene, serve per non procrastinare. Ma occorrono due altre cose basilari che illuminano il percorso: 1. avere uno scopo più elevato che guidi le nostre azioni e 2. percepire, una volta realizzate, un piccolo o grande brivido di soddisfazione e felicità.

Sintetizziamo: non basta fare o sopravvivere per avere uno scopo nella vita, prima o poi la segnaletica interiore ci confonde.

Occorre avere uno scopo elevato, sentire che quello che facciamo muove emozioni che ci fanno appassionare, e soddisfazioni che alimentano la nostra creatività.

Ti faccio un esempio personale. Ho completato un sacco di progetti (corsi) che mi hanno affascinato nella vita e adesso devo capire che forma dar loro, come divulgarli e soprattutto se è ciò che veramente voglio.
Farli fruttare, mettendoli a disposizione di persone e professionisti, o semplicemente riprodurli per figli e nipoti alla scadenza della vita?
Ecco sono qui, con una decisione e una direzione da prendere.

I valori che mi hanno accompagnato nel lavoro nell’ultimo periodo sono stati: realizzazione, creatività e ricerca.
E mi dico, questo lockdown è stato ricchissimo di stimoli.
Fare quello che ho fatto in questo periodo, mi ha dato soddisfazione e piacere nell’aver prodotto qualcosa di assolutamente inedito per me. Una bella sfida.

Ma qual è lo scopo più ‘alto’, di cui sono alla ricerca in questo periodo?
Se mi guardo indietro, uno scopo martellante l’ho trovato nella realizzazione di obiettivi: sport, studio, professione, famiglia, associazioni, scrittura. Oggi psicoterapia, formazione, video corsi.

Qual è il disegno che emerge dai pezzi di questo puzzle?
Quali sono le costanti che mi hanno guidato e da cui ho tratto utili insegnamenti?

Posso riassumerli in questo:
  • Puntare un obiettivo e raggiungerlo, a qualsiasi costo. Penso allo sport e allo studio.
  • Fare qualcosa ‘adesso, ora’, non si sa mai (ricordo la patente degli autobus, mai usata o della patente nautica, ancora da usare).
  • Seguire il mio intuito (nei momenti difficili: separazioni, lutti, fallimenti, sapendo cogliere segnali interiori; e nei momenti gratificanti: matrimoni, figli, realizzazioni, sapendo chi seguire, dentro e fuori, e scegliendo buone guide)
  • Accettare quello che viene, traducendolo in azioni costruttive, senza perdermi d’animo, nei fallimenti di cui sono stato testimone, e altre cose che al momento mi sfuggono.
Ma qual è stata la costante in tutto questo? E’ stata la realizzazione! Portare a termine qualcosa e farlo crescere.
E che cosa mi ha fatto bene, facendo questo? Cosa mi ha dato piacere e soddisfazione? Dare alle cose una forma e farle muovere, danzare. Lanciare il sasso nell’acqua per vederne le onde e la loro propagazione.
Se penso a questo, la cosa che unisce la mia ricerca è la meditazione.
La mia frase guida allora può essere questa: ‘meditare sulle cose e vederne l’espansione’.

Rumble, rumble. Sai cosa cosa ho capito oggi, scrivendo e riflettendo?
​
Che scrivere e riflettere invita a fare: comincio a mettere on line le mie iniziative con lo scopo di vederle diffondere. Non importa se tanto o poco. Quello che viene andrà bene.
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'Sostegno, sostenere, sostenersi' di Elisa Fraboni

19/2/2021

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Queste tre parole hanno tutte la stessa etimologia: dal latino sustinere con il prefisso sub=sotto, poi ne indicano un modo transitivo: mantenere una persona in posizione eretta affinchè non cada, sorreggere; un modo riflessivo: mantenersi diritto in piedi, sorreggersi sulle proprie gambe; e un modo oggettivo: elemento o struttura che serve a sorreggere come per esempio una trave o pilastro.
In tutte e tre le accezioni quello che le accomuna è quel suffisso sub=sotto , che sia un qualcosa o qualcuno , che siano le proprie gambe o la madre terra, la domanda è: c’è sempre qualcosa o qualcuno che mi sotiene, ci sostiene volenti o nolenti?

Perchè questa domanda, perchè le parole fanno quello che dicono (grazie Victor!) e da quando la parola sostegno è entrata nel mio DNA mi ha messo in contatto con nuove sensazioni, nuove risorse, nuove prospettive, nuove consapevolezze facendo pulizia di preconcetti, giudizi e credenze insinuati in me e a volte totalizzanti.
​
Andando sempre a cercare il significato delle parole, mi ha colpito l’accezione del termine sostegno riportata dall’enciclopedia Treccani nel giardinaggio, cito testualmente:
“In agraria e giardinaggio, sostegno (o anche tutore), ogni elemento (albero, palo, fusto di canna, ecc.) utilizzato per sostenere le piante, particolarm. quelle giovani e quelle scandenti, o per proteggerle dall’azione meccanica del vento e della pioggia: s. vivi, costituiti da alberi vivi (acero, olmo, frassino, ecc.) sui quali si appoggiano le piante, per es. la vite; s. morti, costituiti di norma da pali di legno o da fusti della canna comune, ai quali con legatura larga vengono assicurate le piante.”

Mi ha colpito l’aspetto spontaneo e naturale del sostegno, di un albero che sorregge un’altra pianta per la sua sopravvivenza ma non solo per proteggerla dalle intemperie ma come naturale appoggio alla sua vita, al suo sviluppo, al suo percorso. Qualcosa di cui non ne puoi fare a meno e devi accettarlo.

Finora avevo confuso,  mal interpretato  o mi faceva comodo interpretare tutto questo nelle credenze: “Io non ho bisogno”, “Io ce la faccio da sola” , anzi “Io devo sostenere gli altri” facendomi carico di fardelli incommensurabili, come il mito di Atlante, perdendo e disperdendo le mani protese verso di me, l’energia e il nutrimento della madre terra, non mi sono fidata e affidata agli altri, ma soprattutto ad altre risorse convinta di essere già in equilibrio.
Poi è bastato un soffio di vento per cadere e percepire che i miei appoggi non erano sufficienti, nutrienti ed esaustivi e gli equilibri instabili e tremolanti. E proprio mentre giacevo a terra, mi sono fermata in pausa come in un video, in una sospensione dalla routine, dalle abitudini, dal “si deve fare così” e mi sono catapultata , nel vero senso della parola, in una nuova realtà, in un nuovo percorso consapevole che mi avrebbe fatto traballare ancora di più perchè ignoto. Inizialmente ho vissuto un mix di sensazioni, emozioni e pensieri contraddittori: ero attratta dall’ignoto che continuava a farmi sentire in quella posizione “sospesa” con sensazioni ed emozioni mai provate prima e allo stesso tempo sentivo il bisogno di tornare sul divano di casa, nella mia zona  di comfort.

E questo mix è durato finchè sono riuscita ad accettare, accogliere e integrare  i nuovi “sostegni” interni ed esterni , consapevolizzare  e consolidare quelli che c’erano già e soprattutto rispondendo alla domanda di prima: “volente o nolente c’è sempre qualcosa o qualcuno che mi sostiene, anche quando sono a terra”.

E la qualità del mio sostenere e del mio dare ne ha giovato, si sta piano piano sganciando dalla credenza in cui si era cristallizzata, un sostegno espresso nel senso del dovere, apprezzabile e sostenibile finchè diventa estenuante, gravoso e doloroso, perchè privo di piacere, di godimento, asettico se non addirittura tossico.

Cosa c’è di spontaneo e naturale in tale sostegno? come può un sostegno del genere dare un appoggio alla vita, allo sviluppo, alla costruzione di un percorso personale o di un’ altra creatura?

In questo periodo di lock down, di restrizioni, di lontananza, di chiusura , ognuno di noi ha dovuto inevitabilmente fare i conti con i propri sostegni , magari attingendo a risorse un po' sedate che aspettavano solo il momento opportuno per essere risvegliate dal torpore della routine, forse della pigrizia,  e attingere a sostegni esterni abbandonati o  rimossi. Abbiamo tutti bisogno di un “albero” e della terra che ci sostengono  nel nostro percorso e  poi arrivano mani, sorrisi, abbracci, anche dei no e rifiuti con la stessa intenzione, ma rimane il fatto che volenti o nolenti c’è sempre qualcosa o qualcuno che ci sostiene.
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"L'Impermanenza nella vita - Evoluzione dei rapporti ai tempi del COVID" di Francesca Dalpasso

15/2/2021

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Una lezione forte per me in questi giorni.
Mi sono interrogata per settimane sul perchè alcune amicizie,
che ritenevo fondamentali nella vita,
siano mutate repentinamente, quasi scomparse,in questo periodo limitante.
Sarà che lo scambio interpersonale ci è stato negato e con esso anche il desiderio di mantenere vivi certi legami anche a distanza?
Oppure, il COVID tenebroso ha fatto luce sulla reale natura del rapporto?
Forse ciò che io consideravo fondamentale, era "abitudine", scappatoia dal solito "tram tram" della vita, senza però della solide basi. Una scappatoia.
Come se.. "Tanto e superficiale"
 
E come mai, al contario, i rapporti che prima della pandemia erano sconnessi, lontani, altalenanti si sono rafforzati a tal punto da sorprendermi di quanto sano buon sentimento ci sta dietro?
Come se... "Poco e profondo"
 
Mi sono riproposta di non aggrapparmi per la paura di perdere.
Di lasciar andare le persone come sono arrivate, rendendomi conto che sono state un dono, per il momento in cui ci sono state.
Una persona, un giorno, mi ha portato a riflettere.
"Francesca, le persone ti vengono messe sul cammino per farti capire a che punto sei del percorso.
Se nel tuo viaggio hai fatto sempre la stessa strada, girando in tondo. di cosa hai bisogno.
Lo stesso vale per te, che sei stata messa sulla via di qualcuno per farlo evolvere"
 
Ecco la lezione.
Ogni persona  che incontriamo è qui per noi, e noi per lei.
Avviene uno scambio e se ne andrà quando entrambi le parti, le anime, si sono scambiate ciò che in quel momento serviva.
 
"Osserva con amore chi arriva e ringrazia dal cuore chi va."
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'Chi sono io?' di Ingrid Maddalena

11/2/2021

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"Ci sono tre cose estremamente dure: l’acciaio, un diamante, e conoscere se stessi."
Benjamin Franklin
 
“Chi sei?”, “chi vuoi essere?”, “come ti definisci?”, “cosa ti definisce?”, “qual è la tua migliore abilità e qualità?” sono tutte domande che ci siamo posti ed abbiamo posto ai nostri compagni di corso in questi appuntamenti del Master. Tuttavia, non è sempre così facile dare una risposta. Personalmente mi sono trovata spesso in difficoltà nel rispondere, quasi provando imbarazzo a volte perché nella mia mente non avevo una linea chiara. In primis perché non mi ero mai soffermata a chiedermi chi fossi, o meglio l’ho sempre chiesto agli altri ma mai a me stessa (almeno non in questi termini).
 
Quando Umberto Baglietti ci ha chiesto “come vi definireste con uno slogan?” ho avuto un momento di perplessità: <<cosa mi definisce esattamente? Come mi definisco io nella mia mente? È difficile connotarmi con una parola o con una frase di pochissime parole. Non ci riesco! So fare tante cose, ho molti interessi, ho idee, sono fatta di tante sfaccettature, cosa scelgo?>>.
Ecco che in questo mare di pensieri e di vuoto non sono riuscita a venirne a capo. Sì, perché etichettarsi e catalogarsi in un campo specifico, vedersi da fuori in modo oggettivo e darsi un valore è qualcosa che necessita di 4 “C”: Coraggio, Comunicazione, Conoscenza, Consapevolezza.
Questi concetti implicano una ricerca interiore, anzi una vera e propria opera di scavo massiccio per trovare quel qualcosa che forse non è altro che l’essenza della persona stessa.
 
E se non si riuscisse o non si volesse del tutto guardarsi dentro?
Lorenzo ha proprio intitolato la sua rubrica “un passo avanti e due dentro” come se fosse una guida, uno strumento per i lettori affinché possano compiere questo percorso di riflessione. Piano piano si arriva al traguardo ma servono tempo, costanza e pazienza.
 
Una cosa che sto imparando è che per avventurarsi in questo meraviglioso micro-mondo della personalità ci vuole prudenza. È come trovarsi nella giungla con solo lo spazzolino appresso... mica facile sopravvivere! La paura di sé spesso batte la voglia di emergere.
Bisogna affrontare le proprie debolezze, le proprie lacune, la bestia dell’autocritica e del confronto con i modelli utopistici di noi stessi che ci siamo creati ed alimentiamo giorno dopo giorno.

Consapevolezza… Conoscenza… Coscienza… Caparbietà… Cuore… forse le “C” sono molte di più di quelle che pensavo.

Quale è la morale di tutto ciò? Sto tutt’ora cercando il mio slogan.
Più lo cerco e lo rielaboro, più mi rendo conto che un’idea chiara di me non ce l’ho!
“Chi sono realmente io?”. Il cercare me stessa mi sta spingendo verso progetti nuovi, verso nuove forme di espressione ed un atteggiamento più disposto alla vita e agli altri. Mi sto scoprendo e la strada principale continua a diramarsi in vie traverse con ponti, sottopassaggi, curve a gomito, rettilinei e qualche dosso. Come dice Lorenzo: <<Nel nostro piccolo, viviamo l’entropia come qualcosa che passa, nel suo sviluppo, dall’ordine alla confusione>>. Devo ammettere che per mettere ordine dentro me stessa mi servirebbe una segretaria.

La domanda che mi pongo è “chi sarò quando sarò arrivata?”. 
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'Un muso peloso e due occhi dolci nel periodo Covid' di Silvia Camporese

8/2/2021

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Inizio portando come focus il contatto.  Quanto importante e fondamentale è  il contatto tra uomini? Quando un abbraccio, una carezza, una stretta di mano o anche semplicemente  un sorriso, ti viene limitato o addirittura privato?

All'interno della mia attività, ho notato un enorme cambiamento nelle persone.  Un velo di tristezza una nostalgia a questa mancanza. Però tutto si è  modificato,  nel momento in cui è  arrivato il mio cane, anche le persone più introverse ,più schive, hanno ricercato un contatto con lei . Quel contatto che con l'uomo non era più così possibile o così facile, soprattutto per le persone diversamente giovani. Si e creata una ricerca, un momento di piacere nel ricevere anche un solo tocco da quel tartufo umido ,uno sguardo  da quei due occhi dolci , un sedersi affianco una presenza non invadente ma quasi comunicasse  io sono qui . E al mio richiamo, vieni non disturbare …“No  lasci pure mi fa piacere ….Non sono un amante dei cani! Ma lei non mi disturba anzi e cosi dolce e discreta ….. Mi rilassa entrare e trovare lei che mi accoglie e un gran piacere ,confortevole .” Ed io, che pensavo potesse essere una difficoltà , mi sono ritrovata ad aver dato un valore aggiunto.

Mi sono, sostanzialmente posta  una domanda .  Nel mio lavoro, il contatto fisico con le persone è  necessario, ma in questo  periodo il contatto è lo stesso? O è  cambiato qualcosa ? No, in effetti non è come  prima .

La presenza di un animale quale stimolo può suscitare in una persona in un periodo COVID? Cosi mi sono appassionata,  nella ricerca, di quali e come sono i rapporti  e cosa crea nell'uomo un animale, con l'aiuto e la condivisione di  mie clienti,  un'educatrice cinofila e di un paio di amiche volontarie del canile della mia zona, sto condividendo esperienze e dati.

​Ho trovato interessante un insieme di risposte e di dati che indicano un grande afflusso di persone e  di adozioni in questo periodo. Una buona partecipazione ad effettuare corsi per l'aiuto all’educazione. Quindi, sembrerebbe che l'animale, in questo caso il cane, sia diventato un grande aiuto  per l'uomo, nell'affrontare questa limitazione di contatto e non solo.  Ma quando tutto questo sarà finito? Quando si tornerà ad una nuova forma di normalità? Il nostro amico a quattro zampe che tanto ci ha dato , sarà ancora così interessante? Noi gli saremo grati allo  stesso modo ?
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'6 Abitudini per arrivare alla realizzazione personale' di Francesco Cazzaro

8/2/2021

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C'è una citazione buddista che dice: “Semina un pensiero e nascerà un azione, semina un azione e nascerà una abitudine, semina un'abitudine nascerà un carattere, semina un carattere nascerà un destino”.
Questa riflessione mi ha portato a chiedere alla biblioteca comunale un libro di Brendon Burchard “Le abitudini per l'alta prestazione” cioè la strada per diventare persone eccezionali. Quello che è interessante e che descrive questo libro è proprio lo sviluppo di pratiche attraverso le quali si può mantenere la prestazione a livello alto per un periodo lungo e dunque mantenere il successo.
Nella mia esperienza di coach del basket ho avuto modo di allenare persone di talento, spesso scarsi nella costanza e nella autostima, necessaria per mantenere appunto il livello performante nel tempo. Questa riflessione mi ha portato alla parola chiave “alte prestazioni” che vanno sviluppate per diventare un Coach di successo.
Riporto testualmente da pagina 17 “il mondo non guarda ai vostri punti di forza” ma guarda ai vantaggi che voi potete portare.
Spesse volte nello sviluppo di un percorso di coaching si fa fare la “ruota del coach”, si individuano i punti di forza e si lavora nei punti di forza. Così come un allenatore di basket individua il punto di forza di un ragazzo, sviluppa il suo talento e lo fa arrivare al punto più alto possibile. Burchard introduce già da pagina 17 un aspetto importante che va in contraddizione a quanto detto sopra e va ad introdurre un campo importante che riguarda invece uscire dalla zona di comfort. E questo apre il fronte a riflessioni e ambizioni che sono fuori dalla nostra zona di comfort, ovvero che non rientrano nelle nostre attuali abitudini, ma che allargano fin da subito i nostri orizzonti.
L'autore già in fase di introduzione fa comprendere come nella sua vita si sia trovato a raggiungere presto un buon livello ma non essere in grado di fare quel salto per spiccare ed arrivare ad avere successo per diverso tempo, questo passaggio viene descritto nel libro.
Ecco le domande chiave che lo hanno portato a riflettere e a trovare la strada per il suo successo:
  1. perché alcune persone e gruppi raggiungono più velocemente un successo e lo mantengono più a lungo?
  2. di quelli che ce la fanno perché alcuni sono tristi ed altri felici?
  3. cosa motiva le persone di successo, che abitudini, quale formazione, quale supporto aiutano a migliorare più rapidamente?
In particolare, mi ha colpito la prima abitudine quella che riguarda il fare chiarezza. L’autore suggerisce di pensare a quattro futuri ovvero a come vedete voi stessi, come nella vita sociale, come vedete le capacità e come vedete il servizio quello che noi possiamo dare agli altri.
Risulta in questo determinante la sensazione che stiamo cercando e dunque è importante non tanto il risultato, la grandezza del risultato, ma è importante l'allineamento. C’è da pensare ai prossimi mesi, ai progetti che ci attendono per darci maggiore entusiasmo. La domanda chiave è come posso rendere questo impegno significativo per me?
La seconda abitudine importante è generare energia in questo senso il consiglio è di fare tanti pacchetti di attività e approcciarsi ad ogni pacchetto di attività rilasciando la tensione e stabilendo un'intenzione dopo aver fatto un po' di respirazioni profonde. Altra considerazione è quella di metterci gioia, le attività che andiamo a fare responsabilmente considerando di poter sempre generare emozioni positive.
Il terzo punto ovvero la terza abitudine riguarda l'accrescere la necessità, di domandarci davanti a un “pacchetto di lavoro” con l’atteggiamento di fornire il nostro meglio, a chi ha più bisogno di noi in questo momento.
Affermare le nostre motivazioni ci permette di aumentare il livello di performance eccellente, farlo in gruppo mi permette di aumentare il livello del nostro gruppo.
Una domanda che mi ha colpito molto é un esercizio che riguarda l’aumentare la produttività. Le 5 mosse per domandarsi e se ci fossero soltanto 5 mosse principali per raggiungere questo obiettivo quali sarebbero? A ciò è necessario poi suddividere questa attività di un progetto, in obiettivi, scadenze ed azioni. Successivamente questi elementi vanno introdotti in l'agenda per migliorare grandemente e far diventare più produttivo il nostro tempo.
Sviluppare al massimo le nostre capacità chiave ci porta ad una padronanza progressiva in maniera che aumenti l'abilita con una concentrazione ossessiva e che ci porti ad impegnarci per le nostre abilità essenziali per il futuro successo.
Un'abitudine a cui non sono abituato a pensare è quella di sviluppare influenza pertanto abituarci a pensare di potere e di voler influenzare gli altri, perciò, dire “vedila in questo modo… “, “cosa ne pensi di …”, “che cosa succederebbe se provassimo a …”.
 
 
Il 71% degli high performer afferma di pensare ogni giorno a essere da esempio, proviamo a pensare se fossimo noi spinti da molte persone a fare quello che dobbiamo fare … Che influenza avrebbe nella nostra vita, pensando appunto che si può avere una grande influenza anche in quella degli altri?
Per ultima c'è l'abitudine devi mostrare coraggio in cui diventa risonante la parola relativa al dare valore alla fatica. Considerare la nostra verità, considerare la nostra ambizione, ridefinirla come libertà personale, dare impulso condividendo regolarmente con gli altri i nostri pensieri questo diventa una forma di coraggio, meglio ancora trovando qualcuno per cui combattere. Gli high performer tendono ad identificare questa causa con una persona: desiderano lottare per questa persona perché possa essere al sicuro, perfezionarsi o vivere una vita migliore.
Siamo arrivati alle conclusioni è stato interessante il libro, mi è dispiaciuto non poter leggere e studiare con più attenzione e tempo. Comunque mi ha dato degli spunti interessanti per approfondire il tema delle abitudini e che non si può assolutamente prescindere da questo tema. I più grandi formatori italiani tipo Daniele Trevisani, Roberto Re, Alfio Bardolla, Roberto Cerè, Claudio Belotti, si stanno interessando proprio al tema delle abitudini; evidentemente riuscire a portare nella propria quotidianità delle abitudini sane e che accomunano le persone di successo spinge al successo. Altro tema importante sarà definire ciò che potrebbe rappresentare per noi il successo, ma questo è un altro discorso.
Quello che mi “porto a casa” da questo libro è il concetto soprattutto di approfondire il tema della chiarezza che è appunto la prima abitudine citata dal libro e che come anche in un percorso di coaching non si può prescindere dal mettere a fuoco. Evidentemente, per avere l’ambizione di aiutare altre persone, diventa determinare nella fase iniziale portare chiarezza nella prima e seconda sessione e trovare insieme le risorse, le energie, la forza, il coraggio, la nostra condivisione per portare nuove abitudini e fare un cambio di direzione per una nuova vita: quella della realizzazione personale, avvicinandoci e facendo uscire il nostro nucleo centrale, con le azioni quotidiane.
 
UP STEP CONSAPEVOLE – Dott. Francesco Cazzaro – Saonara (PD) 8/2/2021
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'Il peso delle parole' di Lorenzo Mnfredini

7/2/2021

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In ogni nostra relazione, il valore che attribuiamo allo scambio è pesantemente sottoposto al giudizio altrui, alla nostra valutazione e alla nostra consapevolezza. Infatti, ci sentiamo migliori quando, ricevendo una osservazione, un giudizio o un feedback, riusciamo a differenziare. Siamo in grado, cioè, di ricevere un parere sulla nostra condotta, o anche un’etichetta o un trattamento ridicolo, e riusciamo a distinguere gli intenti del nostro interlocutore proteggendo ciò che ci offende come persone, dalla specificità dei nostri comportamenti.

Ricevere una critica, dolorosamente, ci mette sulla difensiva e ci fa arrabbiare se non distinguiamo velocemente i presupposti negativi che ci toccano nel profondo, da una salutare discussione sui possibili benefici di un cambiamento.

L’analisi dei nostri atti, il riconoscimento delle cose che non vanno bene e la possibilità di migliorarle, ci aiuta a sviluppare una abilità pre relazionale.
Ci aiuta a valorizzare ciò che ogni conversazione dovrebbe favorire: ascolto, scambio di informazioni, legami, appartenenza, conoscenza. Ci insegna a non sentirci feriti nell’autostima o nella violazione delle regole sociali, e ci esorta a individuare nelle informazioni preziose della conversazione e nel peso delle parole, quelle pertinenti e quelle no.
​Ci invita a temperare l’istinto, la fretta, le facili discussioni, con la calma dell’ascolto, delle domande, del chiarimento, della negoziazione.
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'Diventare esperti di “Conflitto” per costruire una professione  di valore al servizio della comunità' di Cosimo D'Ambrosio

7/2/2021

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L’elevato numero di contenziosi civili pendenti davanti alle autorità giudiziarie italiane sta accentuando il solco esistente tra società civile e amministrazione della giustizia. Inoltre, la cattiva reputazione del funzionamento della giustizia civile italiana scoraggia gli investitori stranieri, con evidenti ricadute negative sulla nostra economia.
Si rende, quindi, necessaria un’evoluzione degli strumenti di governo delle controversie civili in vista del perseguimento di una maggiore coesione sociale.
Le A. D. R. (Alternative Dispute Resolution) sono procedimenti pensati per una definizione “alternativa” (rispetto a quella giudiziaria) delle vertenze civili e commerciali. Esse sono state concepite con lo scopo di ridurre il flusso in ingresso di nuove cause nel sistema della giustizia ordinaria civile, offrendo al cittadino uno strumento più semplice e veloce per la definizione delle vertenze, con tempi e costi certi.

Lo strumento della Mediazione, in particolare, ha il potenziale di generare e negoziare regole che riescono a gestire l’incertezza emersa con l’insorgere della controversia attraverso la cooperazione tra mediatore e parti in conflitto.
Nel suo ruolo, il mediatore opera affinché le parti dedichino tempo e spazio a riconfigurare le proprie modalità di governo del processo interattivo verso la generazione di regole condivise.
Se si pensa a cosa avviene in un intervento di mediazione, quanto appena rilevato può apparire ancora più evidente. In una mediazione, infatti, mettendo le parti nelle condizioni di descrivere in modo reciprocamente condivisibile la realtà della controversia, il mediatore, da un lato, rende possibile a ciascuna parte di anticipare scenari di evoluzione degli assetti attuali, dall’altro, sollecita tutte le parti a generare obiettivi comuni, a costruire strategie per realizzarli e a osservare l’efficacia e la qualità delle rispettive modalità interattive.
In altri termini, la mediazione genera un processo conoscitivo, la cui attuazione mette le parti nelle condizioni di configurare e usare nuove competenze nella gestione degli assetti interattivi, promuovendo, nel quadro così delineatosi, la responsabilizzazione di coloro che condividono tempi, spazi, beni e relazioni, rispetto alla costruzione delle regole, che rendono possibile la condivisione stessa.

In questa prospettiva, il mediatore non è altro che un membro della comunità che esercita competenze di interazione a livello specialistico, tanto da poter gestire questo processo di costruzione di conoscenza.
In questo scenario, è possibile comprendere quanto rilevante sia il profilo di competenze che deve possedere il mediatore per poter operare come “architetto di comunità”. La gestione della conflittualità richiede, infatti, stabilità emotiva e capacità di gestione dello stress, igiene mentale, equilibrio psicologico ed etica personale (dall’integrità alla struttura globale dell’identità personale). Si tratta, pertanto, di quelle competenze personali, sociali e metodologiche che dalla psicologia del lavoro vengono comunemente definite soft skills. 
Nel caso in cui ci si trovi impegnati nella gestione di un conflitto risulterà dunque fondamentale, per l’operatore, riuscire a concentrarsi completamente su ciò che viene detto dalle parti nel contesto dei bisogni da questi espressi.

Occorrerà, in particolare, sostenere e favorire l’auto-espressione o, comunque, la spontaneità dei propri interlocutori allo scopo di dare libero sfogo e chiarire la situazione che ha generato l’intervento dell’operatore. Sotto questo profilo, appare necessario evitare di dare giudizi o pareri prima di spostarsi alla fase successiva.
L’approccio olistico del metodo “STEP Consapevole” consente di sintonizzarsi sulle preoccupazioni dell’interlocutore, sui suoi obiettivi, sui suoi valori e sulle sue convinzioni. Sarà pertanto fondamentale - per la gestione dell’intero processo di ascolto - saper distinguere tra le parole, il tono della voce e il linguaggio del corpo della parte. Sarà inoltre importante accogliere le persone coinvolte in un conflitto con parole d’apertura, partecipando al dialogo con attenzione, con una postura aperta e con un buon contatto oculare, riconoscendo gli eventuali segnali di ascolto e di comprensione dell’interlocutore.

L’operatore deve inoltre essere capace di “osservare” i contenuti del dialogo, ovvero ciò che l’altro dice con le parole (verbale) e ciò che non dice con il silenzio, ma anche “come" dice le cose (paraverbale), facendo attenzione agli sguardi, alla gestualità (non verbale) di come l’interlocutore si presenta e si muove.
Nel procedimento di mediazione, in particolare, sarà utile comprendere il contesto (familiare, sociale, lavorativo) in cui le persone vivono, per analizzarne i vissuti, gli schemi di riferimento culturali ed i valori. A tal fine, occorrerà porre la massima attenzione alla “narrazione” delle parti, avendo presente che le posizioni da queste espresse in un conflitto sono solo il c.d. problema apparente, ovvero l’argomento di disaccordo e di tensione che rappresenta lo strato “visibile” di una situazione conflittuale. In effetti, il c.d. conflitto apparente ha la funzione di “mascherare” il conflitto reale, che bisogna saper riconoscere, se si vuole arrivare ad una vera soluzione del problema.

Il conflitto reale è, dunque, il vero problema da cui nasce il conflitto, la causa sotterranea da cui nasce la discussione. Esso, in genere, è collegato a problemi di autostima, abbandono, inadeguatezza, senso di colpa, insicurezza, fallimento, ed è sempre legato ad aspetti intimi della persona, che in genere risalgono al periodo dell’infanzia.
Va tenuto presente che è impossibile cooperare alla risoluzione di un conflitto, se prima non si individua uno spazio fisico e psicologico in cui operare. In ogni caso, è utile considerare che il conflitto è un processo produttivo, che può portare le parti ad una conoscenza più profonda dei loro rapporti e, quindi, auspicabilmente, ad una soluzione migliore per tutti, quando ci si assume la responsabilità dei propri sentimenti e delle proprie azioni.

Alla luce delle definizioni sopra riportate, un operatore olistico esperto di conflitti svilupperà la capacità di concentrarsi completamente su ciò che le parti stanno dicendo o non stanno dicendo, sostenendone l’auto-espressione e la spontaneità.
L’operatore utilizzerà l’ascolto “attivo” per comprendere e analizzare le preoccupazioni, gli obiettivi, i valori, le convinzioni stesse del suo interlocutore, sapendo distinguere tra le parole, il tono della voce e il linguaggio del corpo dell’interlocutore. Inoltre, sarà capace di parafrasare, reiterare, rispecchiare ciò che la parte/il cliente ha detto, per assicurare chiarezza e comprensione.
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Egli, prima di passare alla successiva fase del problem solving, incoraggerà, accetterà, esplorerà e rinforzerà l’espressione di sentimenti, percezioni, preoccupazioni, convinzioni e suggestioni del proprio interlocutore, permettendogli di dare libero sfogo e di chiarire la situazione senza giudizi o pareri.
Essere “empatici” verso ciò che l’altro prova implica, pertanto, essere capaci di ascoltare il “detto” e, soprattutto, il “non detto” del proprio interlocutore. Come osserva Lorenzo Manfredini, infatti, «Saper comunicare significa non solo costruire in modo logico e fluido un discorso o un testo, ma anche saper adattare il contenuto e la forma in base al tema da trattare e al nostro interlocutore/pubblico».
Imparare a trovare soluzioni quanto più possibile semplici a problemi complessi diventerà, quindi, un’attività “creativa”, che consentirà all’operatore olistico di aiutare le parti, di trovare idee o soluzioni alternative, innovando o inventando ciò che prima non esisteva.
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'Il movimento direzionale' di Lorenzo Manfredini

31/1/2021

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Quando, dopo aver subito una perdita, il disagio mentale ed emozionale si estende a tutto il sistema di vita di una persona (amici, scuola, sport), la percezione dell’immediato e del futuro è veramente difficile, anche per chi ha conosciuto e mietuto successi di grande soddisfazione. I progetti si allontanano.

Ci si muove in un territorio arido inondato dalle lacrime e gestito dall’attesa. Ma quando nella terapia, dalla mente si passa al corpo, e il corpo ha bisogno di misurarsi, di affrontare ostacoli, di muoversi, la pressione di una mano può liberare la naturale vitalità.

Quando un foglio zeppo di disagi è vicino a riempire il cuore, fino a soffocare il pensiero e il respiro, ecco la reazione: il respiro dice ‘vai via’, il collo dice ‘no’, le spalle dicono ‘chi se ne frega’, la schiena dice ‘te lo faccio vedere io, il movimento dice ‘esco e vado via, guardo e sono altrove, con nuovi significati’.
Il movimento indica la via.
​La persona comincia ad avvertire segnali di vitalità e di ripresa e la sua mente, prima ingabbiata in schemi soffocanti, comincia a ristrutturare l’esperienza e a pensare qualcosa che già c’era ma non aveva spazio e forza:
‘anche se sono caduto a terra, posso reagire e rialzarmi’.

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'Incomunicabilità del sintomo' di Vincenzo Sangiovanni

31/1/2021

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“Lo sputtanamento è la madre del cambiamento” ci diceva un saggio maestro di PNL. Perdonate l’espressione volgare ma credo sia efficace per rimarcare uno dei presupposti fondamentali del cambiamento, cioè mettersi in gioco narrando se stessi, i propri problemi, bisogni, dolore..

Il primo passo da compiere è certamente la consapevolezza del sintomo/problema. E poi?? Potremmo rosolarci a fuoco lento con il nostro problema/sintomo e costruirci infinite strutture psicologiche e comportamentali.. A volte funzionano.. miglioriamo, ci adattiamo, superiamo il disagio.. Altre volte non funzionano e si rende necessario un passo successivo: “lo sputtanamento”, appunto. Cerchiamo l’ALTRO, che sia un familiare, un amico o un professionista, la sostanza non cambia. La Relazione già di per sé, in particolare la comunicazione diretta interpersonale, ha una grande valenza di apertura e cambiamento di prospettiva. Credo sia una esperienza ampiamente condivisa, l’effetto positivo che qualsiasi relazione ci può donare, anche una semplice conversazione con un amico. Sarà l’empatia, sarà la condivisione del problema/sintomo, saranno le risposte ottenute, sarà la consapevolezza di aver iniziato un percorso di cambiamento. Sarà tutto questo ed altro ancora, la RELAZIONE generalmente ci porta ad un primo significativo passo verso il cambiamento e/o la guarigione. Naturalmente più il sintomo/problema è profondo ed invalidante più assume centralità la sua NARRAZIONE. Questo risulta ancora più pregnante nella pratica medica (almeno nella medicina tradizionale occidentale), dove il percorso clinico parte dalla raccolta anamnestica familiare, fisiologica e patologica del paziente per reperire i dati clinici relativi al sintomo/i dichiarati. Precisiamo il significato di ANAMNESI che deriva dal greco “Ricordo”. In particolare in Medicina (da Wikipedia): ”Anamnesi .. E’ il primo dei processi utilizzati nella fase analitica del processo diagnostico. E’ la raccolta dalla voce diretta del paziente e/o dei suoi familiari, di tutte le informazioni, notizie e sensazioni… “.  Tra le informazioni raccolte dal paziente i SINTOMI rappresentano la parte centrale dell’anamnesi, da cui dirigere sia il processo di approfondimento diagnostico sia un primo approccio terapeutico farmacologico e/o psicologico. Nella mia esperienza professionale come medico ho (quasi) sempre dato per scontato la capacità di ottenere informazioni dettagliate ed esaurienti o almeno sufficienti per abbozzare comunque un piano diagnostico-terapeutico. Non ho (quasi) mai dubitato delle mie analisi e nella mancanza di sufficienti dati clinici del mio intuito.. E’ capitato di rado di non riuscire a definire il sintomo/i in maniera convincente ma nel caso con una operazione logica di chunck up, credevo di essere sempre riuscito a codificarlo in un preciso ambito clinico, per esempio partendo grossolanamente dalle categorie: disturbo psichico o disturbo neurologico o disturbo misto (psicosomatico)..  Soprattutto il feedback ottenuto a fine visita dal paziente è stato quasi sempre positivo, nel senso di un riconoscimento, da parte del paziente, della mia analisi clinica in relazione alla sintomatologia e lo stato psicofisico associato.

Poi ho incontrato, sulla via di Damasco, Daniele Trevisani. La sua insistenza sull’argomento, l’incomunicabilità del sintomo, inizialmente mi ha un pò infastidito, poi mi ha fiaccato .. ed infine mi ha convinto. Mi sono reso conto che si tratta di un argomento centrale nella pratica medica.. E mi sono reso conto delle volte che avevo più o meno inconsapevolmente “aggiustato” le interpretazioni clinico-diagnostiche e ancor più crudemente delle (rare?) volte che non ho accolto il mancato riconoscimento del paziente riguardo la mia ipotesi clinica.. Ho riconsiderato anche le volte che un paziente non si è presentato ad una visita di controllo includendo la possibilità di non avere riconosciuto il sintomo e/o di non avere accolto il feedback del paziente.

Naturalmente sono tutte riflessioni ipotetiche, realistiche, ma non provate aldilà di ogni ragionevole dubbio. Mi stavo facendo suggestionare dal carisma di Daniele? Dalla revisione dubbiosa del mio operato? Dalla volontà implicita di trovare nuovo interesse e sviluppo nella pratica professionale e nel coaching?? Avevo bisogno di una controprova..

In particolare sentivo il bisogno di un cambiamento di prospettiva.. passare dalla posizione di medico-terapeuta alla posizione di paziente-cliente. Avevo un sintomo che non riuscivo a comunicare, almeno quanto vorrei? Certo che si! Ce l’ho!! Mi perseguita da oltre un anno e mezzo, senza tregua.. il PRURITO. Ahi ahi che dolor.. E’ una sorta di “maledizione”, imprevedibile, fluttuante, debilitante.. associato a lievi manifestazioni cutanee temporanee. Per non parlare del compulsivo bisogno di grattamento, che si manifesta nelle situazioni e nei modi più disparati... Il problema in relazione al prurito parte dalla constatazione che i medici che ho consultato non ponevano molta attenzione al sintomo e addirittura alcuni di loro guardavano (assai) velocemente la pelle dove usualmente si generava.. Mi rendevo conto che la mia narrazione veniva generalmente sottostimata e nella migliore delle ipotesi approssimata ad un generico stato di malessere-fastidio-dolore localizzato sulla pelle. Il sintomo veniva schiacciato dalla diagnosi di “Eczema cronico”, dove il “cronico” sta, più o meno esplicitamente per “caro Vincenzo, questo problema te lo terrai per sempre!”. Mi rendevo altresì conto di quanto sia effettivamente difficile definire il prurito in maniera precisa (dolore, bruciore, fastidio, tensione.. ??) e soprattutto comunicare lo stato psichico associato di prostrazione, afflizione e scoraggiamento..

La convinzione di non essere pienamente “ascoltato” mi portava ad una strisciante sfiducia nei confronti dei colleghi e della terapia proposta e ancora più in profondità alla convinzione di essere “solo” ad affrontare il sintomo, “abbandonato” dai medici (e dai familiari ed amici.. ormai stanchi delle ripetute lamentele..). E’ in quel momento preciso, in cui mi rendevo conto dell’incomunicabilità del sintomo e del conseguente disagio psicologico, che iniziavano a manifestarsi pensieri e comportamenti pessimisti, evitanti e depressivi.. “Non ne uscirò mai”, “E’ una dannazione, una condanna”, “Non c’è cura”.. Almeno fino ad oggi. Oggi che l’ho raccontato a Voi e a me stesso.

Grazie Daniele e Lorenzo per questa opportunità.
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'Alla ricerca della comunicazione' di Lorenzo Manfredini

24/1/2021

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Quando una coppia arriva ai ferri corti, non c’è terapia che tenga. Entrambi sono così coinvolti nel loro punto di osservazione della realtà, che le seggiole della loro comunicazione sono di spalle l’una all'altra. E distanti.

Essere di spalle all'altro/a significa avere di fronte il proprio punto di vista, misto a sensazioni di malessere, emozioni di rabbia, recriminazioni. Essere lontano dall'altro/a, significa avere adottato comportamenti, distanze, ritorsioni che a loro volta accelerano i vortici della reciproca incomunicabilità. Significa parlare più a se  stessi che all’altro, significa parlarsi sopra. Significa urlare le proprie ragioni. Significa prepararsi a scelte prese in un clima di rabbia.

E allora la terapia non serve, se intendiamo per terapia comunicare i propri punti di verità, dando la possibilità di ascoltare l’altro nelle sue ragioni.

La centratura sulle proprie ragioni personali, frutto di una attenzione focalizzata, di emozioni polarizzate e di pensieri unilaterali, impedisce di individuare clima e strategie flessibili in grado di ripristinare l’accordo di coppia, compreso il canale e il codice del loro reciproco affetto.

E allora più che una di una terapia c’è bisogno di una magia. La magia di uscita dalla propria gabbia di ragioni per comprendere le proprie vere intenzioni, sapendole esporre e prevedendo la conseguenze della propria incomunicabilità.

A volte basta meno di una ‘mente accesa.’ Basta girare di 180° la propria seggiola e fare un passo verso l’altro, dove diversità, ragioni e valori, ritrovano il terreno elettivo per germogliare nel dialogo e nell'accoglienza. Anche di fronte a verità insanabili.
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'Ricominciare pensando dalla fine' di Lorenzo Manfredini

17/1/2021

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La crescita personale è un processo continuo mediante il quale, se teniamo presenti la nostra visione e i nostri valori, realizziamo la nostra vita. Il problema è come farlo con costanza ed efficacia e con quali strumenti.

Un principio guida è ‘cominciare pensando alla fine’, sfruttando le potenzialità della visualizzazione e delle affermazioni.

Non credo manchino nel nostro repertorio di aspirazioni e di valori buone idee su come essere uomini migliori, genitori amorevoli e presenti, lavoratori instancabili e creativi, sportivi di successo. Quello che a volte risulta difficile è diventare coerenti con i valori più profondi nella vita di tutti i giorni.

Per questo può essere utile un breve ma significativo esercizio in cui si dichiara un determinato raggiungimento scrivendolo in modo personale (io sento, io ho bisogno, io voglio), presente (io agisco, io reagisco), positivo (con affetto, con orgoglio, con controllo), visivo (con immagini dettagliate), emozionale (con soddisfazione, con coinvolgimento) e visualizzandolo per 5’ al giorno dopo essersi rilassati fisicamente e mentalmente qualche momento.

Dichiarare e visualizzare sono forme di pre-visione che hanno lo scopo servire la coscienza e il centro del sé, per creare una vita di collaborazione basata su fini nobili e su principi che governano la realtà interdipendente.
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    COVID SECONDA ONDATA
    ​di Lorenzo Manfredini

    In questo video ti parlo di un vaccino, che oltre a quello del covid, si dovrà trovare per la fragilità del nostro tempo, delle nostre istituzioni e delle nostre guide interiori.

    IL MODELLO STEP CONSAPEVOLE
    Ogni professionista che operi per il benessere e l’equilibrio della persona, è un animatore di salute, vitalità e felicità. In altre parole, è un profondo conoscitore dell'autoregolazione a livello fisico, emotivo, mentale e relazionale. Cosa vuol dire conoscitore? Che ha sperimentato in prima persona e che sa proporre a persone e gruppi attività che portano all’equilibrio personale, al benessere e alla salute.
    Cos'è dunque il modello step consapevole? Vediamo ...

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