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'Meditazione' di Edmea Prando

29/10/2019

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Cos’è la meditazione? È in generale una pratica che si utilizza per raggiungere una maggiore padronanza delle attività della mente, in modo che questa divenga capace di concentrarsi su un solo pensiero o un preciso elemento della realtà, cessando il suo usuale chiacchiericcio di sottofondo, divenendo così assolutamente acquietata e pacifica.

Pratico la meditazione ormai da anni e per tutto ciò che ho ricevuto da questa pratica ritengo che sarà parte integrante della mia vita. Personalmente utilizzo un tipo di meditazione particolare, fra le mille tecniche disponibili, che segue il metodo del Kriya Yoga.
​
Il Kriya Yoga è una tecnica avanzata per l’evoluzione spirituale, che è stata tramandata da epoche caratterizzate da una maggiore illuminazione spirituale. Tramite una semplice pratica del respiro, che agisce sui centri sottili dell’uomo (chakras), questa tecnica determina il risveglio, attraverso sottili cambiamenti negli eteri individuali, e permette l’evoluzione spirituale.

La tecnica quindi che utilizzo, oltre ad essere finalizzata a padroneggiare la mente, è finalizzata alla mia evoluzione spirituale.
La meditazione per me è sempre molto utile nei momenti di difficoltà. Quando la necessità del distacco dal quotidiano diventa così importante da trovare tempo e spazio per dedicarmi anima e corpo a questa pratica. Nella meditazione trovare la pace dell’anima o una risposta alle difficoltà, sono per me elemento fondamentale del mio vivere, oltre che per la mia evoluzione spirituale. Questo non significa che non trovo difficoltà nell’acquietare la mente, dai mille pensieri che affiorano ogni volta che inizio la pratica, ma il rimanere concentrata sulla respirazione, il porre attenzione allo stato di rilassamento nel quale tutto il mio corpo viene avvolto, mi pone in una condizione mentale tale da farmi affrontare la giornata in modo diverso, più equilibrato.

Ci sono infiniti modi di meditare, ed ogni metodo è efficace, come si è potuto vedere dagli esperimenti effettuati da ricercatori, di cui fa parte il neuroscienziato Angelo Gemignani.  La pratica della meditazione, effettuata anche attraverso una semplice camminata consapevole, permette di raggiungere il contatto profondo con sé stessi, con il proprio stato di quiete, che ci consente di fare chiarezza su ciò che ci accade.

Trovo la meditazione fonte importante di ispirazione e in qualsiasi forma venga praticata, consigliata a tutti.
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'Devo o voglio farlo?' di Veronica Carla Rado

29/10/2019

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Sono già passati due weekend dall’inizio del Master e non ho ancora scritto niente. DEVO assolutamente scrivere il primo post, ma non mi viene in mente nessun argomento. Non posso scegliere il primo argomento che passa, verrebbe poi un articolo banale. Magari mi leggo un libro sull’argomento e trovo lo spunto. A dire il vero ne ho già letti parecchi e poi riassumerli in un post mi sembra riduttivo. Sapete cosa faccio? Aspetto ancora un po’, come fanno i poeti, magari arriva l’ispirazione e poi è tutto più semplice.

Ma poi mi pongo la domanda, ma io questo post lo DEVO fare o lo VOGLIO fare? Va da se che la risposta è che lo voglio fare. Perché è uno stimolo, un’occasione per mettere nero su bianco nozioni apprese e metabolizzate. Voglio mettere in atto una azione anziché immaginare di farlo, perché mi da piacere e gioia.

Quando una macchina si mette in movimento è per il motore un momento di altissimo consumo di energia ma poi per poter mantenere il movimento il consumo e la fatica diminuiscono. In sostanza il più è iniziare ma se VUOI spostarti da dove sei questo è l’unico modo.

Ma qual’è la benzina per il nostro motore? Volere è potere? Forse sì, ma più forte della volontà c’è la motivazione.

La motivazione per sua natura si basa sul combustibile più potente che è costituito emozioni.

I cambiamenti che facciamo motivati da una o più forti emozioni sono i più radicali e durevoli nel tempo. Quindi quando dobbiamo prendere una strada nuova o ci apprestiamo a svolgere un compito domandiamoci: 'devo?' Devo farlo per qualcun’altro o perché la norma vuole che si debba farlo? Oppure lo voglio per me e qual’e, quindi, l’emozione che mi motiva a farlo?
​
Si può quindi scegliere se continuare a procrastinare o accendere il motore ed andare verso nuovi scenari.
Buon viaggio 
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'Esempi e paragoni, non confondiamoci…..' di Gianpiero Collu

28/10/2019

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Il valore e il dono dell’unicità, delle differenze e dei confronti.

Nella mia innata curiosità mi è capitato di ascoltare conversazioni vicine che si basavano su un tema centrale: il paragonare o il paragone. Paragonare una situazione con un'altra, una persona, un luogo con un altro. Tutti punti concreti o immagini simili ma in qualche modo diversi.
Diversità che nella bilancia pesava apparentemente a sfavore di chi lo stava riportando.
Mi sono venuti in mente molti altri momenti dove il paragone era il cardine comunicativo del momento, che in generale produceva sentimenti negativi quali l’invidia, la gelosia, spingendo in certi casi limite , fino ad un insano desiderio di vendetta.
 
Mi sono soffermato a riflettere su quanto un certo modo di utilizzare il paragone o il paragonarsi procuri frustrazione e negatività. I desideri o i sogni non appagati attivano questi sentimenti. 
Un modo di porsi di fronte a qualcosa o qualcuno che vorremmo avere o essere finisce per farci vedere il bicchiere sarà sempre mezzo pieno: impossibile vederlo in altro modo.
Il paragone diventa il paradigma della mancanza.
 
Ho pensato a quale possa essere un percorso di pensiero e di parola alternativo che apra possibilità e procuri sentimenti più armonici. Mi è ritornata in mente l’importanza di alcuni esempi di vita. Esempi incrociati personalmente, esempi di alcuni personaggi di vari ambiti di cui ho letto appassionanti biografie.
 
L’esempio positivo preso come un possibile modello da seguire e imitare è uno spazio di sano confronto che procura energia e stimolo per proseguire e per tendere verso il meglio per noi stessi e per gli altri. Il beneficio che ne traiamo produce incoraggiamento e motivazione. Questo movimento di pensiero e azione porta a seguire le orme di chi si è preso ad esempio,  senza dover imitare o duplicare lo stesso modo di fare o di essere.
L’esempio su cui ci soffermiamo ci lascia liberi d’interpretare a modo nostro qualità, valori e comportamenti senza perdere i lati essenziali del nostro essere e delle nostre caratteristiche principali.
 
Mi sento quindi di affermare che: Il paragone ci porta considerare quel che non abbiamo o che non siamo e che qualcun altro è o possiede; l’esempio aggiunge quello che ci manca trasportandoci in una dinamica dimensione di confronto e crescita.

Il paragone rischia di creare uno stato di passività in noi e intorno a noi, ci un filtro che vede ingiustizie in ogni dove. L’esempio ci dà responsabilità e ci rende consapevoli dei nostri limiti e delle nostre potenzialità e ci porta all’azione, a costruire piani di azione.
E poi ci possono essere esempi, di adesso, della storia terrena e ultra terrena….
Quali sono stati tuoi e in che modo hanno influito nelle tue scelte di vita?
Quanti paragoni inutili e fuorvianti coltivi ancora dentro di te e cui sei pronto a rinunciare ?
 
Nota finale
Ho volutamente considerato il termine “paragone” con un significato negativo. Esprime spesso somiglianza, equivalenza assoluta per affermare che una cosa è indiscutibilmente superiore ad altra con cui si vorrebbe confrontarla, o per esprimere un giudizio superlativo.  Molto dipende dall’uso che se fa e dal contesto in cui si usa.
 
Tra l’altro ho scoperto, mia beata ignoranza, che il paragone è in origine una varietà di diaspro nero, una pietra semipreziosa che da tempo immemore viene usata per saggiare la purezza dell'oro  la celebre "pietra di paragone". I mercanti nel Medioevo la portavano sempre  nei loro viaggi d’affari.
 
Vai con fiducia nella direzione dei tuoi sogni. Vivi la vita che hai immaginato. (Henry David Thoreau)
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'Resistenza al cambiamento' di Riccardo Manfredini

26/10/2019

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Svolgiamo attività complesse ogni giorno. Alla bisogna incalziamo il nostro potenziale genetico. Spingiamo le nostre forze per raggiungere dei traguardi e ne teniamo traccia attraverso la nostra memoria e sensibilità. Tutto questo è già tanto e ne dobbiamo essere orgogliosi.

Purtroppo, e tutto ciò è normale, l’abitudine alla nostra vita e alle sue meravigliose forze, rende invisibili molti processi alla nostra consapevolezza.

Quello che dovremo fare, allora, sarà di svelare, rendere esplicite ed evidenti, le forze e le abitudini che modellano i nostri comportamenti.
Piano piano, giorno dopo giorno, esercizio dopo esercizio, ostacolo dopo ostacolo, sarà nostra cura affrontare una resistenza proporzionata alle dimensioni e alla velocità di un cambiamento sostenibile. Ma soprattutto ottimale. Rispettoso dei piccoli miglioramenti.

L’obiettivo non sarà sconvolgere la vita, che spesso ritorna indietro con uguale forza, ma spingere in avanti l’equilibrio e fare un passo dopo l’altro.
​

Creare un equilibrio sostenibile e che duri nel tempo: questo è quello che ci cambierà davvero.
Lorenzo Manfredini
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'Ma tu non la senti la banda che suona?' di Marina Toniolo

24/10/2019

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La procrastinazione è un'arte.
Richiede abilità, fantasia e impegno.
Un talento che molti possiedono.
Io mi invento di tutto pur di evitare incombenze ed impegni che mi annoiano.
Non ho le idee molto chiare e sono a corto di energie per quel che riguarda il lavoro, le scadenze e gli obblighi.
Ma so benissimo dove mi vorrei trovare e che cosa vorrei fare in alternativa.
Un sacco di cose mi distraggono: libri da leggere, corsi o serate a cui partecipare,  telefonate ad amici, lo streching, le passeggiate, le ricette da provare.
Ma non mi sento abbastanza in forma e preparata per andare dal commercialista, partecipare al pranzo di famiglia, sistemare la contabilità, pulire il freezer o riordinare il cassetto dei calzini.
So benissimo che il tempo non va sprecato.
Soltanto che se non mi interessa o mi annoia, io rimando.
Come posso migliorare?
Si dice : " Chi ben comincia è a metà dell'opera"
Allora comincio.
Comincio a fare.
Magari con l'idea di farne solo un pezzettino.
Che a pensarla in questo modo rende l'impegno meno arduo e gravoso.
Più affrontabile.
Comincio...ed il solo fatto di aver iniziato elimina l'ansia che mi procurava l'idea di doverlo fare.
Inizio...senza attendere l'allineamento dei pianeti, la giornata o le circostanze perfette.
Semplicemente lo faccio, lo faccio ora.
E poi magicamente...tutto scorre più facilmente, una luce più intensa, linfa che scorre.
Ho sconfitto l'inerzia iniziale.
Le azioni pratiche, le decisioni prese, i lavori svolti regalano soddisfazione e gratificazione.
Trasformano completamente la giornata.
Una marcia trionfale.
Con le majorettes e la banda che suona
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'Dalle nuvole alla terra' di Ilaria Bosellini

23/10/2019

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Recentemente mi è capitato di partecipa­re ad un affascinante ed interessantissimo workshop di retablos  con l’artista Barbara Capponi. Cosa sono? I retablos nascono come pale di altare in Spagna e hanno grande successo e diffusione in Sud America. Si chiamano anche retablos, o nichos, delle piccole scatole di legno e vetro all’interno delle quali sono rappresentate scene religiose, mitologiche o della vita di tutti i giorni. I retablos di Barbara si ispirano a quelli sudamericani e sono la rappresentazione di veri e propri micromondi fantastici con in più una piccola cosa che fa una grande differenza: un titolo. Durante il workshop ogni partecipante sotto la sua guida deve ideare e realizzare il proprio retablo, un piccolo diorama che contenga un messaggio personale, intimo tanto importante da essere ideato, realizzato, chiuso e immortalato dentro una teca da tenere poi a casa. Si parte dall’idea per poi arrivare all’immagine e infine al titolo. Sembra semplice ma non lo è.
Dopo sette ore di lavoro il mio retablo ha preso  finalmente forma e ho deciso di intitolarlo: “Quando volava troppo via le spuntava una radice” (vedi foto). Ho voluto rappresentare nella mia “opera”, seppur semplice, tutta l’importanza che do’ alle radici, intese come contatto, connessione con la terra, con la natura.
“ Radici - Radicamento”.La prima volta che ho sentito pronunciare questa parola è stato circa quattro anni fa ad una delle prime lezioni di bioenergetica. La mia insegnante, passando tra noi, neofiti allievi, mi diede una lieve spinta e io persi l’equilibrio: “non sei radicata” mi disse. Lì per lì rimasi perplessa, mi sembrava davvero impossibile poter rimanere ferma a fronte di una spinta, concentrandomi semplicemente su un’immagine di radici che fuoriuscivano dai miei piedi. E invece…
“Noi esseri umani siamo come gli alberi” diceva Alexander Lowen, padre della bioenergetica, “radicati al suolo con un’estremità, protesi verso il cielo con l’altra, e tanto più possiamo protenderci quanto più forti sono le nostre radici terrene. Se sradichiamo un albero, le foglie muoiono; se sradichiamo una persona, la sua spiritualità diventa un’astrazione senza vita”.
Il grounding  o radicamento, che letteralmente significa “avere i piedi ben piantati a terra” è il primo obiettivo della bioenergetica ed è rappresentato dalla posizione con gambe aperte tanto quanto il bacino, piedi leggermente orientati verso l’interno e ginocchia leggermente flesse. Le ginocchia infatti sono degli ammortizzatori, se fossero rigide non lascerebbero scorrere l’energia e non assorbirebbero il peso del corpo che si fermerebbe a livello lombare. Respirazione più addominale che toracica.
Per come lo vivo io, il radicamento significa portare a terra l’energia troppo concentrata nella testa, significa scaricare la tensione, l’ansia, svuotare la testa dai pensieri opprimenti. E’ una modalità per entrare dentro me stessa per ottenere più consapevolezza, più lucidità e giusto distacco nel “leggere” le persone, le parole, gli avvenimenti.
Per una come me, numero uno indiscussa nel lanciarsi in voli pindarici, nel costruire castelli in aria, nel credere più alle parole che ai fatti, nel seguire illusioni e aspettative anziché la realtà, pensare ad un abete con radici poderose, magari abbracciato ad un masso in un una cengia dolomitica in balia del vento e delle intemperie, o ben ancorato a terra in un sottobosco, rappresenta un risorsa preziosa a cui attingere quando mi rendo conto “di volare troppo via”.
In quel momento in quella posizione e pensando al mio abete con le radici, cerco di connettermi al reale con più obiettività possibile, di concentrarmi sul presente, accettando me stessa i miei difetti e il mio vissuto anche se scomodo.  Avere radici mi fa pensare di più al sentirmi centrata, presente e vitale nel “qui e ora”. Dalle nuvole ritorno sulla terra, dalla testa vado ai piedi. Le gambe diventano più forti fino a tremare a volte, ma mi sostengono: sono stabile sulle mie gambe. A volte ma non sempre mi immagino radici che escono dai piedi e che bucano il pavimento e che arrivano giù fino alla terra.
In Bioenergetica lo scopo del grounding è quello di dare alla persona la possibilità di identificarsi con la propria natura animale e cioè con la metà inferiore del proprio corpo, sede delle pulsioni e degli istinti.   E’ nel ventre che veniamo concepiti e dal ventre scendiamo verso il basso e verso la luce. La mancanza di “contatto” con questo centro vitale è causa di squilibrio in tutto il corpo. Quanto più profondamente siamo radicati alla terra, tanto più siamo spinti ad allinearci verso l'alto, verso un più elevato livello di consapevolezza. ll grounding implica che la persona sia capace di “lasciarsi andare” di “lasciarsi cadere “ di abbassare e far scendere la propria energia nei propri piedi e non farla rimanere nella testa.
Penso che gli esercizi di grounding possano rappresentare un valido strumento nell’attività di coaching, sia per aiutare il cliente a liberare il respiro e sciogliere le tensioni addominali,  sia per il coach stesso perché può essere usato come tecnica di centratura personale e di carica energetica pre colloquio.
Non è difficile: lasciate libero il ventre, flettete le ginocchia e radicate i piedi e non ci sarà spinta che tenga.
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'Il modello performance team per i centri fitness' di Lorenzo Manfredini

22/10/2019

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A Bologna, presso la sede della prestigiosa TeamSystem (sezione Wellness), il Prof. Marco Meriano, il Dott. Umberto Baglietti e il sottoscritto, Dott. Lorenzo Manfredini, abbiamo presentato il modello Performance Team per i Centri Fitness ad alcuni selezionati titolari di palestre e centri dell’Emilia Romagna. Le parole chiave dell’incontro sono state: 'numeri (risultati), sinergie (qualità delle relazioni) e coscienza (autoconoscenza)'.

Le priorità emerse nell'incontro hanno fatto affiorare una ricca rete di temi, idee e urgenze: una buona amministrazione economica, sinergie relazionali, sostegno ai progetti innovativi.

Quello che abbiamo condiviso nell'incontro è che agli imprenditori, che si occupano di iniziative per il benessere delle persone, le idee non mancano, anzi. Quello che non risulta semplice è tradurre i sogni in desideri e obiettivi, e trasferirli in adeguate forme organizzative.

A volte, infatti, è difficile centrare gli obiettivi, mentre in altre è difficile trovare il ‘modo’ più corretto per favorire processi e cambiamenti ecologicamente significativi per persone e sistemi.

Ogni centro fitness ha la sua complessità e far convivere aree diverse (ad es. palestra, piscina, centro estetico e medico) e persone, apre il tema delle sinergie relazionali e invita a prendere in considerazione quei comportamenti che possono davvero  essere efficaci e fare la differenza per fatturati, relazioni e persone.

Ogni centro fitness muove un mondo di persone e di esigenze, e talvolta è difficile orientare i team e farli crescere senza dolorose trasformazioni, frustrazioni o defezioni (ad es. quando un collaboratore chiave sceglie strade diverse o si comporta in modo inappropriato).

Insomma, migliorare i processi organizzativi e ottenere dei risultati sono al centro della scena, ma poi ci sono le persone, le loro esigenze, le loro storie, le loro emozioni.

E allora si intrecciano i dubbi: più organizzazione o più controllo? Più investimenti o più formazione? Più liberi professionisti o più dipendenti? Più ‘passa parola’ o più social?

Un mix di temi che non risparmia nessuno a partire dai titolari, ai collaboratori, ai team, ai clienti, pena la sopravvivenza di un intero ecosistema.

Per tutti questi motivi e per l’esperienza che abbiamo maturato in decenni di lavoro sul campo, proponiamo un modello che parte dai numeri e dai comportamenti, si supera attraverso una comunicazione che va in profondità con delicatezza chirurgica e si confronta con le difficoltà di ogni trasformazione individuale.

Che dire, non vediamo altra strada se non la personalizzazione di un progetto che tenga conto di tutte le parti coinvolte in un sistema integrato e dinamico.

Ci vedremo presto? Credo proprio di sì!

Questo è il nostro modello
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'La gestione del tempo' di Lorenzo Manfredini

20/10/2019

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Apprezzare il proprio tempo per vivere con maggiore qualità gli spazi del lavoro, degli affetti e della vita è una delle migliori proposte che oggi vi propongo: gestire con maggiore qualità il tempo a disposizione.
Vorremmo tutti avere più tempo per noi stessi, le nostre passioni e le nostre ambizioni. Vorremmo solo smettere di rincorrere urgenze, scadenze e scemenze. Vorremmo solo tornare ad essere… padroni del nostro tempo.
Ebbene, una domanda su tutte: 'sono felice di come lo impiego?'
Ecco alcune indicazioni per impiegarlo sempre meglio.
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'Le decisioni che cambiano la vita' di Lorenzo Manfredini

13/10/2019

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Quando si è pigri, ma la testa è in fermento, gli occhi cercano l'intimità delle relazioni e il senso degli eventi che accadono.
Quando le gambe si fermano di fronte a una rampa di scale, lì, di fronte a quel muro di gradini si scopre la vastità dell'attesa e/o la capacità di mettere in alto i propri obiettivi e prendere decisioni senza rimpianti.
​Ogni muro è una sfida,  talvolta una sventura, spesso un'occasione di riflessione che ci invita a una domanda:
​'Perché stiamo fermi? Già, perché?
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'Resilienza' di Edmea Prando

10/10/2019

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Si parla tanto di resilienza ma in concreto cosa significa?
Resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento. In ambito psicologico, la resilienza può essere definita come la capacità dell’individuo di adattarsi in modo positivo ad una condizione negativa e/o traumatica.
Permette all’essere umano di affrontare con successo un evento molto stressante e/o traumatico in maniera favorevole, uscendone più forte se non trasformato dall’evento stesso.
La resilienza non va confusa con resistenza, che è la capacità di resistere, quindi opporsi e non adattarsi, a fattori particolari che turbano le condizioni di normalità.
Chi sono i resilienti? Sono coloro che non si arrendono ma, al contrario, trovano la forza di andare avanti e nella difficoltà vedono l’opportunità di imparare, di crescere e di acquisire competenze utili a migliorare la propria vita.
Affinché ci sia una buona probabilità di sviluppare una risposta resiliente, la presenza di alcuni fattori è determinante.
Una persona resiliente generalmente è dotata di:
  • Ottimismo
  • Autostima
  • Capacità di risolvere i problemi
  • Capacità di comunicare
  • Senso dell’umorismo
  • Empatia
  • Strategie di adattamento
 
Come mettere in atto la resilienza? È necessario cambiare la concezione di sé, degli altri e del mondo. Questo significa avere un atteggiamento ottimista ma realistico che permetta di adattarsi alla realtà in modo consapevole. Questo adattamento dovrebbe permettere all’individuo di considerare gli eventi negativi come opportunità di crescita personale.
La resilienza richiede ‘allenamento’ e va praticata tutti i giorni. Prima di tutto mostrandosi flessibili e mai rigidi, imparando ad adattarsi alle situazioni e alle persone che si hanno di fronte.
Le domande da porsi sono: “Cosa c’è di buono in quello che sta accadendo?” – “Qual è l’opportunità che tutto questo mi pone?”.
Può sembrare inutile questo approccio ma, se opportunamente applicato, può aiutare a cambiare la visione della propria vita.
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'Abito e monaco' di Giampiero Collu

10/10/2019

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L’abito fa il monaco…ma dicono anche di non badare alle apparenze.

Si dice che la prima impressione è quella che conta. Anzi l’hanno insegnato da quando eravamo piccini. Ci dicevano che l’abito non fa il monaco ma forse non dicevano sul serio. Diventati grandi, ho compreso invece che l’abito conta eccome, per qualsiasi occasione ci serve un abito pulito, bello, come piace a noi e agli altri. Un conflitto continuo tra l’essere e l’apparire. Essere come sei o essere come gli altri pensano tu sia, o come ti vorrebbero, o com’è conveniente? Mi sono ritrovato perso all’incrocio di questi pensieri. So per certo, ad esempio, che in alcuni incontri sono stato antipatico. Poco formale, troppo diretto, senza giacca e senza cravatta. Ho sempre cercato, con le ovvie conseguenze, di essere autentico. Fedele a me stesso. Con la targhetta stampata in fronte: “Quello che vedi sono !”. So per certo che non è piaciuto sempre. Con lo scorrere degli anni, e relative esperienze, ho capito che in varie circostanze se mi fossi presentato differentemente, se fossi stato diverso, avrei ottenuto qualcosa in più. La domanda banale che mi sorge è: “sarebbe stato giusto?” Probabilmente si, probabilmente no. 

Diversi momenti, diverse persone?
A volte ho pensato cosa passasse per la testa di mi ha rivisto chi rivede dopo tempo:” questo non è il Gianpiero che conosco io”. Mi è capitato di essere noiosamente formale; meno impetuoso del mio solito. In apparenza uno che offre una sua immagine diversa dal solito. Nasce un’altra riflessione: dobbiamo essere sempre uguali?

Dobbiamo per forza indossare un solo vestito?
Sin qui però ho parlato solo di “noi”. Noi che siamo in un modo, vorremmo agire in un modo e, forse, ci sentiamo stretti nell’apparire.

Che cosa succede agli altri? 
Per un periodo molto lungo della mia vita, ho pensato che essere autentico sia un vantaggio benefico per ogni mio interlocutore. Eppure non sempre è così. Come Life Coach ho iniziato a ragionare sul paradigma :” ognuno è come è e fa come è fatto” può far sorgere qualche difficoltà. Nei miei incontri di Coaching, ad esempio, riesco a percepire l’approccio che il mio interlocutore ritiene ottimale. Molte volte non è quello più naturale per me ma è il migliore per lui. Il braccio di ferro tra autenticità e “apparenza” assume un significato diverso. Non è più un compromesso a discapito mio o dell’altro. Si rivela come un sano movimento d’accoglienza, un passo d’incontro. Ho iniziato a pensare che ogni tanto bisogna sacrificare l’essere autentico all’essere appropriato, un mio piccolo sforzo a denti stretti. Se sono appropriato alla situazione, pur cambiando di volta in volta, posso essere autentico. Perché “at the end of the day“ (tipica espressione americana), non sono solo io o solo noi, ci sono anche gli altri. È vero che non sempre il fine giustifica il mezzo ma se l’obbiettivo è connettersi con le persone…forse sì, forse è giusto seguire questa direzione. Continuo a non essere d’accordo con tutti. Però sempre più integro e capisco che da tutti posso imparare. Da solo non ce la posso fare. La mia identità si rafforza. Diviene complementare con l’altro. Non si tratta più di Essere al singolare. Si tratta di Siamo al plurale. Oltre ogni abito che indossiamo o di look che sfoggiamo.  
​
 “Chi non ride mai non è persona seria.”   Fryderyk Chopin
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'Allenamento... cardiaco' di Paola Negrini

9/10/2019

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Ero in vasca, durante una sessione di allenamento di apnea. 
Gianni si dimena e sbraita infastidito dalla presenza nella sua corsia, di due giovani ragazzi, che si allenano anche loro per la gara, con noi "anziani" ma con un po' di scherzo e di gioco. Si allenano, faticano e scalpitano... ma ridono e si tirano per le pinne per rallentarsi a vicenda. Gianni sbotta, grida "maleducati" e mi urla "...perché l'apnea è una cosa seria!!!".
 
Ma chi l'ha detto? Chi l'ha detto che è una cosa poi così tanto seria?
L'ansia pre-gara è una cosa seria! 
La ricerca esasperata della performance è una cosa seria! 
La perdita di motivazione, l'assenza di valori, gli allenamenti monotoni….quelle son cose serie!
 
Da qualche anno sono l'allenatore della squadra di Apnea Futura e questo mi rende molto orgogliosa. Orgogliosa di quello che faccio ma soprattutto dei miei atleti. Ho imparato molto, soprattutto da loro.
Alla Scuola dello sport, a Roma, mi sono formata tecnicamente; il percorso fatto negli ultimi anni con 'UP STEP Consapevole', mi ha permesso di diventare un vero Coach, imparando l'ascolto e l'apertura, apprendendo l'approccio olistico e umano necessari alla pratica (nello sport e nella vita); ma soprattutto ho imparato dagli atleti! Da quegli incontri significativi di persone che allenano e si allenano nel grande circo blu dell'apnea. 
 
Un allenamento studiato, strutturato e pensato con competenza può essere anche molto impegnativo sia sul piano fisico che sugli aspetti legati alle abilità psicologiche. Passa attraverso le motivazioni e i valori che ognuno di noi esprime quando si mette in gioco. Ma ciò che riguarda la fatica e la sofferenza deve passare per forza  anche attraverso l'abilità di saper concepire il benessere, il divertimento e il gioco anche quando l'ipossia boicotta la ragione, anche quando le gambe bruciano e il fiato si fa cortissimo. 
Quando il cuore batte, batte forte e la fatica si fa sentire, sott'acqua c'è sempre un bambino dentro di noi che gioca a fare l'apnea. 
Se siamo disposti a sorridere di noi stessi, delle nostre paure da gestire, dei possibili traguardi e degli inciampi, diventiamo dei super-eroi dei due mondi, con tanto di costume da Diabolik, pronti a difendere la Galassia!
 
L'allenamento è cambiamento. E' evoluzione. E' espressione creativa delle potenzialità che possediamo, tante volte senza averne completa padronanza o consapevolezza.
Il mio compito non è la tabella (non solo quello almeno!). 
Il progetto riguarda appunto la crescita fatta nell'ascolto e nel riconoscimento delle sensazioni e delle emozioni. 
Imparare a conoscere noi stessi attraverso il movimento (come lo faccio, come lo sento, che immagine ho di me mentre sono in azione), i pensieri (cosa mi dico mentre affronto quella cosa, che distanza riesco a prendere dai pensieri negativi, come posso rinforzare quelli positivi), la gestione delle tensioni (riesco a percepirle? e se le percepisco riesco a lasciarle andare?), le strategie (quali sono le mie scelte nei momenti di criticità, quando affronto un imprevisto o si presenta un fattore di disturbo, come affronto l'avversario, chi è veramente l'avversario?). 
Ogni obiettivo ha il suo scopo; ogni obiettivo è un percorso di fatica e impegno. Ogni obiettivo passa attraverso qualche sconfitta che ci insegna a tenere ciò che ha funzionato e a cambiare ciò che non lo ha fatto.
 
Ciò che ci fa vincere sempre poi, è scendere in campo con il cuore ben allenato a dare tutto ciò che di meglio abbiamo. 
Lo dobbiamo sapere però, lo dobbiamo allenare!
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'Esperienza e meditazione' di Lorenzo Manfredini

6/10/2019

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Le esperienze, positive e negative, dominano la nostra vita e ci cambiano. Ma è la meditazione, e la consapevolezza che ne deriva, la vera protagonista delle nostre riflessioni. La meditazione ci invita a prenderci cura della parte più profonda, inconscia ed emotiva, e migliora le nostre abitudini e comportamenti disfunzionali.
Ogni cambiamento di abitudini avviene quando succede qualcosa di profondo ed ecologico. Nella meditazione, come nel Training Mentale, questo coinvolgimento riguarda molti aspetti:
- l'inconscio, le emozioni, le convinzioni;
- le  aspettative esterne (scadenze lavorative, esami universitari, richieste di parenti e amici, etc.);
- le aspettative
 interne (progetti personali su cui vogliamo lavorare, buone abitudini che vogliamo implementare, etc.);
e le attitudini con le quali rispondiamo a tutte le nostre attività.
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'Panettone a ferragosto?' di Marina Toniolo

3/10/2019

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Ieri sono stata al supermercato.
Nel corridoio centrale stavano sistemando pandori e panettoni.
Ma che giorno è oggi?
Il carrozzone del Natale è già partito. Ad ottobre.
Chi più, chi meno, ci saliremo tutti. E non è l’unico che prenderemo.
Non siamo più padroni del nostro tempo, delle nostre scelte, del nostro sentire.
Seguiamo modelli comportamentali prestabiliti.
Seguiamo uno stile di vita dettato da moda e pubblicità.
Ci uniformiamo. Ci omologhiamo.
Non si può far qualcosa?
Per liberarsi dai condizionamenti occorre ascoltarsi di più.
Conservare la nostra individualità, la nostra autenticità, il nostro sentire, i nostri bisogni, è fondamentale.
Se disegniamo un fiore, per esempio, tracciamo, in modo automatico più o meno, lo stesso tipo di segni.
Ma se disegniamo il nostro fiore preferito, ci mettiamo in contatto con i nostri reali desideri.
E’ il nostro fiore. E di nessun altro.
La tendenza però, è di pensare come si pensa. Vivere come si vive. Desiderare come si desidera.
Addirittura dissentire come si dissente.
E nel caso dei panettoni … pure di mangiare come si mangia. E non solo.
Con l’illusione di essere liberi e felici.
In effetti lo siamo.
Lo siamo quando disegniamo il nostro fiore preferito.
Lo siamo quando decidiamo e scegliamo. Perché no?
Di mangiarci una fetta di panettone …. magari a Ferragosto.
Sotto l’ombrellone.
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'Chi ha sbagliato?' di Gianpiero Collu

2/10/2019

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Sprazzi di cultura aziendale e non solo!
Mi è rimasta impressa la dinamica che scaturisce negli ambienti decisionali in seguito ad un errore. Mi riferisco all’atmosfera che si crea di fronte ad un mancato risultato, un insuccesso di qualsiasi tipo.

All’epoca, da Executive Coach mi sono chiesto quanto di motivazionale quel clima aziendale  si diffondesse in quelle scomode situazioni ?                                                                                                                           

Incuriosito osservavo che dopo uno o più errori, individuale o di team, spesso risuonasse dall’alto l’eco sibilante della  domanda : CHI HA SBAGLIATO?

Un boato che incute timore e partorisce difese e via di fuga. Ho affiancato piccoli imprenditori e manager nel riflettere su quella domanda.
Rilevando che è una domanda che si concentra sul chi?
Innesta la frenetica ricerca di colui, colei o coloro che hanno commesso il pasticcio.
Si crea una cultura organizzativa che necessità maggiormente di un colpevole più che una soluzione.
 È un momento topico in cui s’instaura un clima di PAURA, velato o represso, tra i collaboratori.                                                                                                                                                              In genere provocando  per reazione un comportamento difensivo, sostenuto da giustificazioni e tentativi vari di scaricare la colpa sugli altri. 

Contribuisce a innestare una mentalità di DERESPONSABILIZZAZIONE.

Le risorse coinvolte pur di sfuggire alla possibile punizione evitano in ogni modo di accollarsi la responsabilità ’dell’accaduto. Nascono conversazioni e comportamenti fondati sul: meno faccio meglio è, meno rischio più al sicuro sto, ogni mio contributo qui è sprecato.

Errore e passato
Una domanda che spinge verso il PASSATO e ancora le persone nell’ERRORE.

Una modalità che toglie e non aggiunge, che scoraggia e demotiva. Nei miei interventi di Coaching ho suggerito una possibile domanda sostitutiva che potrebbe dare un contributo per un più ampio coinvolgimento; un input per una presa di maggior responsabilità e crescita: COSA è MANCATO?

Presente e futuro
Una domanda che si concentra sul cosa non sul chi.
La messa a fuoco si sposta sul processo,  sui meccanismi, non sulla persona.

È l’inizio di una conversazione che alleggerisce la persona dal peso e la tensione dello sbaglio.

Si concentra l’attenzione su cosa sia mancato nel percorso che abbia impedito di ottenere il risultato previsto.
Atteggiamento vicino alla Leadership che ha cuore l’insieme delle risorse e la visione globale dell’organizzazione. Visione che cerca di capire come e con cosa poter sostituire o inserire ciò che sia venuto a mancare.                             

Il Leader considera il mancato risultato e verifica le RESPONSABILITA’ e le conseguenze senza colpire e demotivare la risorsa.                                                                                                                                     

La Leadership crea i presupposti culturali che si basino sulla FIDUCIA, sull’interazione di gruppo e sul non ripetere gli stessi meccanismi  del fiasco.
In questi casi l’aspetto positivo di un semplice cambio di domanda favorisce la crescita nelle relazioni, personali o professionali.                    
Occorre considerare successo o insuccesso come risultato e responsabilità di tutti e non di uno solo.
Se vince uno vincono tutti, se perde uno perdono tutti.

Cosa è mancato di fronte a un qualsiasi tipo di fallimento è una domanda che spinge verso il FUTURO e apre POSSIBILITA’.

Una sana  modalità di conduzione e di relazione che aggiunge e non toglie.

"Un uomo deve imparare molte cose. Quando non è più in grado di imparare diventa uno qualunque"
                                               Francis Scott Fitzgerald 
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'Il lato forte del lutto' di Ilaria Bosellini

1/10/2019

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Parlare di lutto è scomodo.
Fare un post sul lutto ancora di più, scomodo per chi lo scrive e per chi lo legge.
Mette di cattivo umore? Mette nelle condizioni di non leggerlo? E’ possibile.
Ma chi non è passato attraverso il lutto?  A mio avviso non è solo vivere la scomparsa di una persona cara o di un animale domestico vicino a noi ma anche l’esperienza di una separazione o la fine di una relazione possono assumere i contorni del lutto, rivestire a volte quel colore:  il nero o perlomeno un tonalità scura.
Scura è la bolla emotiva in cui sei immerso mentre tutto il resto della vita attorno a te scorre  inesorabile senza cambiamenti e là fuori pochi percepiscono il tuo dramma; il mondo va avanti.
Mentre scrivi o ricevi messaggi di condoglianze su whatsapp o facebook , qualcuno è intento a incrociare i dati  e a far arrivare sulla tua bacheca, post di onoranze funebri, di blog sull’aldilà o su come affrontare il lutto. Sì qualcuno  dai contorni indefiniti evidentemente è attento a te. Tutto viene tracciato e anche questi segni che lasciamo in rete non sono ignorati. Il sistema è cinico, il sistema è davvero crudele, tu sei un numero e fai parte dell’ingranaggio.

Mentre sei concentrato sul tuo dolore che vivi in ogni singola cellula del tuo corpo, devi comunque pensare ai cosiddetti “adempimenti burocratici “da portare avanti: organizzare il funerale, rispondere al telefono, pensare al testamento, ai documenti o al conto in banca da chiudere; vivi una sorta di sdoppiamento, due vite parallele: quella esterna e la tua bolla  che ti accompagna tutto il giorno e che ogni sera ti avvolge prima di chiudere gli occhi ammesso che tu riesca.

Nella tua bolla  sei senza punti di riferimento, dominato dall’alternarsi e dall’accavallarsi non solo di stati fisici nuovi  (tachicardia ansia insonnia) ma anche dall’intrecciarsi di un vortice di emozioni diverse, spesso molto forti: tristezza, rabbia ,incomprensione, paura, mancanza, senso di colpa.
Quel senso di irrealtà, di torpore,  può farti sentire inizialmente ancora più lontano dalla realtà.
Sei nudo senza maschera e ti devi rivestire, reinventare. I tuoi occhi vedono diversamente e i vestiti che indosserai saranno diversi perche diversi sono la tua sensibilità, il tuo essere ,il tuo sentire ….in una parola CAMBI anche senza accorgetene.
Scopri energia e risorse in te che pensavi di non avere.
Rivaluti gli amici, quelli veri.
Riconosci quelli che reputavi tali ma che non sono.
Svaniscono  a volte  catene, credenze, condizionamenti che negli anni avevi allacciato e stretto  con colui o colei che non c’è più.
Sei alla ricerca di un nuovo cammino anche se non lo vuoi.
Emerge con più forza ciò che conta o non conta per te, l’istinto di andare avanti e guardare al futuro.
Pian piano il colore nero sfuma, intravedi di nuovo i colori, prima tenui poi sempre più forti.
Esiste un lato positivo e forte anche per il lutto: nonostante il dolore, rappresenta un momento di grande crescita personale che aiuta a rivalutare noi stessi e il nostro modo di affrontare la vita giorno dopo giorno. A noi la scelta di volontà e coraggio per riconoscerlo e viverlo anche così.
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'STEP_LAB: una zona franca della vita' di Riccardo Manfredini

29/9/2019

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'Rivedere x rinascere' di Lorenzo Manfredini

28/9/2019

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Volgendo lo sguardo al passato, talvolta rimpiangeremo di non aver trovato le parole per esprimerci. Talaltra, rimpiangeremo di non aver saputo amare con profondità e rispetto chi abbiamo avuto accanto. Di aver dedicato ai nostri figli scarne parole di fierezza e orgoglio. Di chiedere scusa per i nostri torti e quelli degli altri di cui siamo stati responsabili. Di aver preferito pensieri rancorosi e silenzi assordanti.
Ma non è troppo tardi per fare qualcosa di diverso. 
Anche se il passato è stato una somma di dispiaceri e rimorsi, in potenza, se osservato con rispetto, è quel luogo generativo dal quale trarre energie per nuovi costrutti e futuri aumentati.
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'Swing, trova il tuo' di Gianpiero Collu

27/9/2019

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Il mio percorso con il variegato mondo relazionale e il Coaching in generale, mi ha arricchito negli anni, oltre che alle dovute competenze tecniche, soprattutto di esperienze, delusioni, vari successi e sconfitte provenienti direttamente dal campo di azione.
Tra i tanti temi che mi hanno affascinato e accompagnato attraverso processi di cambiamento, si trova quello detto dello Swing.
 
Lo swing è un genere musicale, nato negli anni venti ed evoluitosi fino a divenire un genere definito nel 1935 negli Stati Uniti.
Lo Swing è il termine musicale che indica un tipico ritmo coniato nella musica jazz.                 Termine che deriva dall'andamento ritmico "dondolante" che nasce da questa tecnica esecutiva. "To swing" in inglese significa appunto dondolare.
Nello sport del golf è inteso come il movimento che si esegue in tutti i tipi di colpi facendo alzare la pallina verso la buca.                                                                                                                                         
Il controllo della respirazione e delle emozioni aiuta a focalizzarsi sull’obiettivo svuotando il più possibile la mente. Momento che può diventare profondamente meditativo.
 
Pur non avendo mai giocato a Golf, mi è capitato più di una volta di seppellire, più o meno consapevolmente un talento o una competenza, sia personale che professionale.
Un’azione paragonabile a rifiutare un dono che mi è stato fatto.
Una scelta che ostacola le mie possibilità di realizzazione e impedisce ad altri di usufruire e beneficiare delle mie capacità.
 
Nel libro l’8° regola Stephen Covey parla della fondamentale importanza di scoprire, ed in seguito utilizzare, la “propria voce”.
Definisce questo processo di scoperta come un percorso che deve portarci a capire la nostra vera natura, e che permette di sviluppare tre grandiosi doni innati:
 
A          Libertà e potere di scelta
B          Principi (Leggi universali)
C          Le Quattro intelligenze/capacità:
  1. Fisica-economica
  2. Emotiva-sociale
  3. Mentale
  4. Spirituale
 
La finalità è di trovare la propria voce e ispirare gli altri a trovare la loro.
Tipica responsabilità dei Leader intenti ad affrontare la sfida che parametra il valore di una risorsa. . Valutazione che non si basa solo sulla competenza tecnica, piuttosto sulla valutazione del bagaglio di conoscenza e dell’uso che se ne fa.
 
Il Coaching è indubbiamente uno delle arti e degli strumenti attuali che in questa fase di cambiamento risponde in modo adeguato a questa sfida.
 
Vede: il trucco sta nel trovare il proprio swing !
Lei lo ha perso. Bisogna andare a cercarlo.
Dal film : La leggenda di Bagger Vance
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'Interpretazione dei fatti e reazione alla vita' di Maurizia Pambianco

27/9/2019

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L’interpretazione dei fatti che diamo a noi stessi determina il nostro modo di reagire alla vita.

Martin E.P. Seligman nel libro “Imparare l’ottimismo” tratta l’importanza dell’interpretazione che diamo agli eventi sia positivi sia negativi. Le modalità di visioni che adottiamo qualificano gli ottimisti o i pessimisti. Seligman assieme ad altri colleghi individuò 3 dimensioni cruciali che definiscono lo stile interpretativo: LA PERMANENZA, LA PERVASIVITA’ E LA PERSONALIZZAZIONE.

​Nell’infanzia e nell’adolescenza impariamo ad interpretare, ciò deriva direttamente dalla visione che ci siamo fatti  di noi e del proprio posto nel mondo, ossia se ci sentiamo di essere una persona di valore e meritevole o indegna e immeritevole.

LA PERMANENZA
Il concetto di permanenza corrisponde a quando crediamo che le cause degli eventi negativi che ci capitano siano permanenti, e usiamo spesso i termini “sempre” e “mai”. Questo stile pessimistico rende faticoso uscire da una situazione difficile e la viviamo attraverso un dolore che permane, brucia, fa arrabbiare e si può trasformare anche in rancore.
Le spiegazioni permanenti degli eventi negativi producono un’impotenza che dura a lungo mentre le spiegazioni temporanee generano la capacità di recupero. Nel caso in cui si interpreti in modo temporaneo gli eventi negativi usando termini come “talvolta” o “ultimamente”, si acquista più forza nel superare e l’approccio può essere definito ottimista.
Al contrario, se la permanenza si riferisce ad eventi positivi, l’approccio diventa ottimistico e ci permette di credere che gli eventi positivi abbiano cause permanenti ci ci permette di impegnarci ancora di più dopo che hanno avuto successo. Anche qui, se si tratta di eventi positivi e vengono interpretati come temporanei, l’approccio diventa pessimistico e porterà ad un comportamento di resa anche a seguito di un successo che verrà considerato di “pura fortuna”.

LA PERVASIVITA’
La pervasività corrisponde all’espansione che si attribuisce ad un evento mancando di circoscrizione. Un esempio è quando abbiamo avuto un insuccesso in un settore della nostra vita, ad esempio sul lavoro, ed estendiamo questa impotenza anche ad altri settori alla fine ci sentiamo falliti e ci si arrende su ogni altra cosa. Così si rischia la depressione per lungo tempo.
La pervasività e la permanenza giocano nella formulazione della speranza: colui che trova cause temporanee e specifiche alle avversità, limitando il senso di impotenza, è in grado di esercitare l’arte della speranza.
Se, al contrario, usiamo spiegazioni permanenti e generalizzanti ai problemi, sotto pressione possiamo collassare.

LA PERSONALIZZAZIONE: INTERNA ED ESTERNA
La personalizzazione s’intende l’atteggiamento dell’autoaccusa, ossia tutto dipende da se stessi, questo modo di pensare, se non giustificato, va solo a minare l’autostima. Infatti, spesso le persone depresse si assumono la responsabilità degli eventi negativi in maniera ingiustificata, permanente e pervasiva.
Molto meglio pensare che qualunque sia la causa dell’evento negativo che colpisce, essa possa essere modificata, in quanto temporanea e circoscritta.
Questi aspetti ci fanno capire quanto l’interpretazione modifica il nostro umore, le nostre energie e il nostro muoverci nel mondo. Quindi c’è una grande possibilità di vivere meglio se con consapevolezza comprendiamo il nostro modo di interpretare e giudicare. Sospendere il giudizio e farci aiutare a vedere le cose in modi diversi, più funzionali ci può liberare e portare ad un maggior equilibrio.
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'Il potere di un bacio sulla fronte' di Giulia Gava

27/9/2019

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Immersi sempre più nel nostro costante progresso tecnologico e industriale ecco che inevitabilmente il rischio di perdere di vista la bellezza delle cose semplici e soprattutto il valore dei piccoli gesti è sempre più in agguato.

In una società come quella in cui viviamo, governata dai social media e dal bisogno di “mostrare” tramite scritte, post e dichiarazioni scenografiche ecco che i gesti più semplici, ma che sono anche quelli più autentici e profondi, vengono sempre più a mancare.

È il caso del bacio sulla fronte… quello che una madre dà alla propria figlia, quello di un nonno al nipote, quello di un uomo alla sua donna. Un gesto semplice e che potrebbe risultare banale, ma che nella sua semplicità racchiude in sé un significato speciale, un messaggio d’amore profondo e incondizionato, l’espressione più semplice ma allo stesso tempo più dolce di affetto, la forma d’amore più pura, un segno di protezione e cura. Un piccolo gesto sì, ma che dice e trasmette molto!

Un piccolo gesto che ci riporta alla bellezza della semplicità e che rappresenta una vera cura che tocca l’anima, mette in pausa le preoccupazioni e ci fa sentire al sicuro e amati.
​
Nel contesto in cui ci troviamo a vivere, dove i social media si impadroniscono del nostro tempo e delle nostre emozioni, dove è più importante mostrare anziché vivere il momento, dove conta di più la quantità a discapito della qualità, ecco che inevitabilmente abbiamo sempre più bisogno di ritornare ad assaporare le cose semplici, quelle che non si raccontano, ma che si vivono e si sentono. C’è un estremo bisogno di gesti semplici, c’è un estremo bisogno di baci sulla fronte che ci riportano alla realtà, c’è un estremo bisogno di vivere le cose che contano davvero.
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'Le suggestioni altrui' di Lorenzo Manfredini

23/9/2019

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Noi siamo immersi in un mare di suggestioni, a volte positive e stimolanti, talaltra negative e inopportune, e provengono da ogni dove. Da parenti, amici, colleghi, conoscenti, ‘amici’ scoperti da poco, etc.

Tutti, in un modo o nell’altro, dicono qualcosa a noi e di noi, e influenzano la nostra vita. Se ci va bene traiamo consigli da mettere in pratica. Se ci va male veniamo inondati da convinzioni esterne che sbiadiscono la fiducia in noi stessi.

Quando diventiamo ipersensibili alle emozioni altrui, ai consigli non richiesti, alle critiche e osservazioni offensive sul nostro aspetto, al giudizio o alle illusioni fuorvianti, alla svalutazione delle nostre reali capacità, all’impressionabilità falsa e ipocrita, all’aggressione dei punti deboli e vulnerabili, sia fisici che mentali, fino alla manipolazione del nostro comportamento, sentiamo diminuire, come nelle navicelle spaziali di Star Trek, la forza dei nostri scudi.

Non riusciamo a proteggerci dalle critiche fatte in buona fede, dalle provocazioni verbali, dalle maldicenze, dal pettegolezzo o dal disfattismo. Tutto questo arriva  dritto in casa nostra a far bollire le viscere e a far frullare i pensieri.

Ma se tutto questo nasce nella mente di altre persone, perché dobbiamo permettere alla nostra mente di esserne influenzata?

In fondo se stiamo guardando un programma che non ci piace, spegniamo la TV o cambiamo canale.

Perché non dovremmo riuscire a frequentare interlocutori più socievoli e stimolanti?

Nessuno dovrebbe permettere che la mente di un’altra persona influenzi in modo negativo i pensieri e l’opinione che abbiamo di noi. In alternativa, possiamo interrompere la comunicazione e sintonizzarci su una frequenza diversa, più positiva.

Ricordiamoci che se qualcuno entra in casa nostra senza permesso, viola la nostra privacy. E se qualcuno ‘entra’ nella mente senza permesso, invade la nostra intimità mentale ed emotiva.

Rifiutiamo, pertanto, le suggestioni negative e aggiungiamo: ‘mi sento bene, mi voglio bene, mi apprezzo e ho tutti i requisiti per vivere una vita ricca e soddisfacente, la mia!’ 
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'Amicizia e lavoro' di Lorenzo Manfredini

23/9/2019

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Sul posto di lavoro si trascorrono mediamente dalle otto alle 12 ore.  Si condividono esperienze, successi, delusioni, 'vita', e può capitare che le relazioni tra colleghi evolvano in rapporti d'amicizia. Con diversi vantaggi, ma anche con alcuni aspetti potenzialmente negativi che possono rendere le amicizie sul lavoro un'arma a doppio taglio.
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'Quando i proverbi ci vedono lungo' di Anna Cabianca

20/9/2019

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Leggendo le news del giorno mi sono imbattuta in uno dei soliti articoli curiosi e bizzarri che si trovano tra le tante notizie.
Mi colpì il titolo "I capelli dicono chi sei", e subito pensai che doveva essere una sciocchezza per farti aprire la pagina. Come sempre la curiosità ebbe la meglio e con mio grande stupore mi fece riflettere…
 
"Ogni riccio un capriccio" recita un proverbio dove evidentemente sta nascosta la verità, visto che sembra siano proprio i capelli a determinare la nostra personalità. L'articolo sosteneva che il taglio che scegliamo spesso riflette il nostro carattere, e in base all'acconciatura possiamo anche imparare a conoscerci meglio. 
Lisci e mossi:
Portare i capelli lisci con le arricciature in fondo è tipico delle persone solari e piene di allegria, che cercano sempre nuovi stimoli.
Ondulati:
I capelli mossi e ondulati sono spesso sintomo di estro e creatività, tipici delle persone che sanno affrontare le cose con passione e originalità.
Frangia:
La frangia è tipica di chi ha un carattere sbarazzino e vivace, e che allo stesso tempo ama mettersi in mostra.
Cambi frequenti:
Non hai una tua acconciatura e cambi spesso? Non vuol dire che non abbia una tua personalità, anzi, significa che sei sempre pronta a metterti in gioco e sperimentare.
Capelli lunghi:
Chi porta i capelli lunghi ha spesso un carattere dolce e sensibile, oltre a un animo romantico.
Capelli corti:
Un taglio corto invece riflette spesso una persona vivace e sincera, che non ha paura di dire ciò che pensa e che non si fa troppi problemi.
Lunghezza media:
I capelli di media lunghezza denotano una personalità riflessiva e consapevole delle proprie scelte.
Ricci:
I ricci sono associati alle persone estroverse e con un animo ribelle, che non faticano a imporsi.
Ricci ma lisci:
Chi invece ha i capelli ricci ma usa spesso la piastra... è una persona molto metodica e precisa, che ama le cose ordinate.
Capelli raccolti:
Che sia con uno chignon o una treccia, anche questo look è tipico di una persona rigorosa e ordinata. ​

Lasciamo da parte la moda, le tendenze e la fisionomia del viso per un attimo. Leggendo quest'articolo ho sorriso. Ovviamente hanno generalizzato parecchio ma sono riusciti a farmi riflettere… Ho sempre tenuto i capelli lunghissimi, non ho mai azzardato a tagliarli. I miei genitori li volevano lunghi, tutti mi dicevano che stavo bene con i capelli lunghi, che mi rendevano più femminile. Ho tenuto lo stesso taglio e colore di capelli per 29 anni.  Poi arrivò una delusione, la crisi, una persona che mi aprì gli occhi, che mi fece vedere la vita con occhi diversi e iniziai il Corso UpStep. Ed ecco un taglio di capelli radicale!! Ricordo ancora la faccia di mia mamma appena mi vide: SCONVOLTA. La lunga chioma diventò corta 6cm.
Entrai così in un vortice di "stai benissimo,sembri un'altra persona" "sembri più giovane!" "che bella che sei" a "oddio i tuoi capelli" "noooo, perché li hai tagliati?" "stavi meglio prima".  Credo che mia madre abbia detto "fatteli ricrescere" almeno ogni altro giorno per 1 anno. E' stata la parte più dura da affrontare. E ora che ci penso i capelli sono stati una metafora di vita, esattamente il riflesso di quello che mi stava accadendo nella vita di tutti i giorni. Stavo cambiando, sono cambiata, ma la mia famiglia non lo stava accettando e il mondo che mi circondava era diviso tra i Pro e Contro questa mia nuova ME.
Iniziò così il mio nuovo percorso di consapevolezza, di crescita e di ribellione. Da quel giorno sono arrivati altri 3 tagli diversi per ogni novità e pure 2 cambi di colore… e chissà che non arrivi anche il terzo a breve.
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'Le formule di coppia' di Lorenzo Manfredini

15/9/2019

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Un amore non corrisposto fa soffrire. L'autostima vacilla e ogni tentativo di togliersi dalla testa il pensiero della persona amata diventa vano.
L'amore che fa soffrire, quello che fa piangere e sospirare, l'amore disperato, è il motore primo delle passioni umane. Ma anche perdere un amore, per gli errori fatti, per le cose non dette, per i gesti mancati, conduce chi ama a rimuginare e, inevitabilmente, a soffrire. 
​
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