
Tamburi, mani e ritmo. Il poco con cui poter fare tanto, una ricetta che esalta la semplicità e il piacere. Colpire un oggetto con una certa intensità per un certo tempo mentre il gruppo fa altrettanto con qualche piccola variante. In apparenza facile e forse banale ma invece un modo di fare musica così profondo, arcaico, tribale, sociale.
Il corpo e l'animo vengono coinvolti con sempre maggior enfasi, con più scioltezza. L'energia esonda e ogni zona del corpo è chiamata a sostenere i battiti. Si suda e le mani s'indolenziscono ma l'intensità continua a crescere. Il singolo si mescola per diventare ingranaggio di un progetto più grande, co-creatore di qualcosa di nuovo e unico.
C'è un trasporto che sgancia il pensiero per entrare in uno stato istintuale e dinamico dove l'orecchio bypassa la mente per permettere al corpo di rispettarne il flusso. Ci si abbandona mantenendo quella giusta dose di attenzione per non disperdersi.
Partecipare senza prestazione o ambizione senza una specifica destinazione o significato L'errore non c'è perchè trasforma e modella il prodotto finale. Eventuali mancanze o eccessi si disperdono nel suono. è quindi sempre il gruppo a creare la rete di sostegno e l'ambiente per provare.
Il cerchio del suono, come una catena, lega le persone. Gli sguardi passano dai tamburi ai compagni, momenti individuali e corali si alternano. La musica contatta e abbraccia.
Indispensabile come sempre l'ascolto, il primo tassello da cui partire per intuire dove inserirsi, cogliere la melodia, armonizzarsi. Forse il sorriso rappresenta il culmine di tutto questo: dove l'individuo trova il proprio modo di stare, dove sa di poter condividere con i compagni, dove sa di poter arricchirsi. A mano mano che si prende confidenza e si costituisce la Base è possibile lasciare al solista (chiunque voglia) d'improvvisare. Tra cicli serrati e netti di battute viene dato campo all'estro. Il momento più complesso per piegare la musica per come la si sente, per darle la propria interpretazione, la propria impronta. Vivere uno schema libero.
Che cosa resta? Penso fiducia in sé e nei compagni, grande intensità, consapevolezza del proprio ruolo e una memoria lontana nelle orecchi e sulle mani di aver vissuto insieme.
Quando ho inserito l'attività all'interno del laboratorio di quest'anno non avevo idea di tutto ciò. Desideravo portare linfa nuova, permettere di approcciare una nuova sfida. Personalmente sono stato piacevolmente scosso, inebriato, ricompensato. Ho trovato tanti stimoli, rinforzi e affinità con il percorso che stiamo sviluppando.
Un grazie a Marcello Martucci per la sensibilità, abilità, umiltà e delicatezza con cui ci ha permesso di entrare in questa dimensione e al gruppo per la splendida occasione che si è concesso. Un'esperienza da ripetere.
Il corpo e l'animo vengono coinvolti con sempre maggior enfasi, con più scioltezza. L'energia esonda e ogni zona del corpo è chiamata a sostenere i battiti. Si suda e le mani s'indolenziscono ma l'intensità continua a crescere. Il singolo si mescola per diventare ingranaggio di un progetto più grande, co-creatore di qualcosa di nuovo e unico.
C'è un trasporto che sgancia il pensiero per entrare in uno stato istintuale e dinamico dove l'orecchio bypassa la mente per permettere al corpo di rispettarne il flusso. Ci si abbandona mantenendo quella giusta dose di attenzione per non disperdersi.
Partecipare senza prestazione o ambizione senza una specifica destinazione o significato L'errore non c'è perchè trasforma e modella il prodotto finale. Eventuali mancanze o eccessi si disperdono nel suono. è quindi sempre il gruppo a creare la rete di sostegno e l'ambiente per provare.
Il cerchio del suono, come una catena, lega le persone. Gli sguardi passano dai tamburi ai compagni, momenti individuali e corali si alternano. La musica contatta e abbraccia.
Indispensabile come sempre l'ascolto, il primo tassello da cui partire per intuire dove inserirsi, cogliere la melodia, armonizzarsi. Forse il sorriso rappresenta il culmine di tutto questo: dove l'individuo trova il proprio modo di stare, dove sa di poter condividere con i compagni, dove sa di poter arricchirsi. A mano mano che si prende confidenza e si costituisce la Base è possibile lasciare al solista (chiunque voglia) d'improvvisare. Tra cicli serrati e netti di battute viene dato campo all'estro. Il momento più complesso per piegare la musica per come la si sente, per darle la propria interpretazione, la propria impronta. Vivere uno schema libero.
Che cosa resta? Penso fiducia in sé e nei compagni, grande intensità, consapevolezza del proprio ruolo e una memoria lontana nelle orecchi e sulle mani di aver vissuto insieme.
Quando ho inserito l'attività all'interno del laboratorio di quest'anno non avevo idea di tutto ciò. Desideravo portare linfa nuova, permettere di approcciare una nuova sfida. Personalmente sono stato piacevolmente scosso, inebriato, ricompensato. Ho trovato tanti stimoli, rinforzi e affinità con il percorso che stiamo sviluppando.
Un grazie a Marcello Martucci per la sensibilità, abilità, umiltà e delicatezza con cui ci ha permesso di entrare in questa dimensione e al gruppo per la splendida occasione che si è concesso. Un'esperienza da ripetere.