
Erano passati quasi due anni dalla laurea e ancora non avevo il coraggio di “lanciarmi” nel mondo del lavoro. Frequentavo come volontaria psicologa il reparto di Ostetricia Ginecologia dell’ASL dove a quel tempo risiedevo ed essendo ormai una psicologa abilitata all’esercizio della professione svolgevo colloqui in autonomia ma, nonostante ciò, non avevo il coraggio di aprire partita iva e cominciare ad esercitare la professione. Pensavo, e tuttora penso malgrado il parere contrario di moltissimi colleghi, che con il mio lavoro si possono fare danni, molti danni. Insomma non mi sentivo pronta, non mi sentivo all’altezza, sentivo che l’Università non mi aveva preparato ne “addestrato” ad essere una psicologa.
Un giorno arriva in reparto una donna in gravidanza per il solito colloquio di routine finalizzato a verificare se esistesse una condizione d’ansia che in un qualche modo poteva interferire con il parto. Quella giovane donna mi chiede se lavoro anche “fuori” dell’ospedale perché una sua amica sta cercando una psicologa. Detto fatto: apro partita IVA e mi “lancio”, si la sensazione era proprio di un lancio in grande stile nel vuoto più assoluto.
Organizzo velocemente uno studio in una stanza di casa dei miei genitori e la settimana successiva vedo la mia prima paziente (oggi si dice cliente). Il problema presentato riguarda l’autostima …. Beh come inizio può andare. Come inizio però perché poi, per una serie di eventi luttuosi il problema si trasforma in anoressia. Eh no, proprio no, questa no che non ci voleva! Mica mi sento competente in materia, accidenti … però il legame tra noi ormai è forte, la persona in questione non vuole rivolgersi ad un altro collega. Nel frattempo arriva un altro paziente (cioè cliente), arriva un fobico-ossessivo. Ancora!!!, Questo è troppo! Perché non potevo iniziare con qualcosa di più “semplice”, con qualcosa che non mi sbattesse subito in faccia la mia inesperienza.
Cosa faccio? Come mi gestisco la cosa? Decido di andare in supervisione da uno psichiatra psicoterapeuta con il quale avevo fatto un corso di ipnosi. Mi metto in contatto con lui, fissiamo un appuntamento ed il giorno prestabilito mi faccio 80 km per andare in supervisione (più altri 80 per tornare a casa). Non ricordo bene il periodo, so che era un pomeriggio del 1998.
Entro nel suo studio e, come un fiume in piena, gli vomito addosso tutta la mia frustrazione e gli chiedo “Perché? Perché proprio a me, inesperta ed insicura, dovevano capitare due casi così difficili?”.
La sua risposta mi spiazza e mi entra dentro come una di quelle schegge di legno che ti entrano nella pelle e che fai difficoltà a togliere, talvolta quella scheggia rimane li diventando un tutt’uno con te. Proprio come la scheggia la sua risposta è diventata una parte di me e ancor oggi mi riecheggia nella mente. Qual’era la risposta? Presto detto: “Evidentemente queste persone hanno sentito, ancora prima di conoscerti, che tu eri la persona giusta per aiutarle”. Si, ok sarà pure così … ma in quel momento ero arrabbiata, frustrata, delusa della mia incompetenza e quella spiegazione non mi bastava, non mi aiutava, la respingevo con tutte le mie forze.
Comunque quella è stata la prima volta che ho sentito parlare di “energia”, quella forza che non si vede, non si tocca, non si annusa ma che opera incessantemente ogni istante di quelle che noi definiamo ore, giornate, mesi, anni.
Noi siamo delle calamite che si attraggono reciprocamente e non casualmente. Questa cosa l’ho imparata e sperimentata continuamente da quel lontano 1998.
A volte cerchiamo di opporci, di allontanarci, di fuggire da certe persone o situazioni ma è impossibile.
Ne sono passati di anni dalla laurea e dai miei primi due clienti. Ho imparato molte cose, non tanto attraverso corsi, master, seminari etc. etc., quanto piuttosto dal contatto e dal rapporto con le persone che ho seguito in libera professione. Loro hanno sviluppato caratteristiche che in tutto o in parte già mi appartenevano. L’umiltà nel mio lavoro di psicologa, la capacità di riconoscere quando non sono all’altezza di una situazione (o forse posso esserlo ma in un tempo più lungo rispetto a qualche collega), la capacità di ascoltare senza giudicare, la consapevolezza che non si finisce mai di imparare e, di conseguenze, la continua voglia di crescere e migliorare. Ho anche imparato che “dall’energia” non si fugge, non la si può respingere.
Per sette anni mi sono occupata di accompagnamento alla morte ed elaborazione del lutto, fino al punto (causa la mancanza di una equipe con la quale confrontarmi) in cui sono andata in burnout ed allora, complice anche un cambio di residenza in una Regione diversa, ho preso la palla al balzo per cambiare indirizzo, campo di interesse lavorativo. Avevo bisogno di respirare aria nuova, di allontanarmi da quell’ombra di morte che ormai camminava al mio fianco. Smetto di occuparmi lavorativamente di malattia ma non smetto di “attrarre”, nella vita quotidiana, persone con il cancro.
Proprio qualche ora fa, in passeggiata con il mio Pedro (per chi non lo conosce è il mio Anima-le appartenente alla specie dei cani) mi ferma una ragazza del paese (da qualche mese vivo in un piccolo paesello della Val di Non composto da 605 abitanti dove tutti si conoscono) ragazza con la quale, vedendoci dalle finestre delle rispettive case, ci si saluta ma tutto finisce lì. Insomma mi ferma, mi chiede se voglio sedermi un po’ con lei nel suo giardino e inizia a parlarmi, a raccontarmi … raccontarmi del cancro di cui è stata operata una prima volta a dicembre del 2012 ed una seconda a gennaio del 2013. Cancro alla bocca non ancora conosciuto e per il quale non esiste terapia se non l’intervento chirurgico. Mi racconta del suo pensiero di morte, non ha paura di morire ma di lasciare soli i suoi quattro figli di età compresa tra gli 8 anni e i 15 mesi ….. Noi siamo calamite che attraggono chi ha bisogno di noi anche se non sempre noi riteniamo di aver bisogno di loro. Questa è una realtà dalla quale non si può fuggire ma semplicemente imparare che ogni cosa non succede mai a caso. A volte dobbiamo semplicemente avere la pazienza di aspettare che i significati ci siano svelati.
Un giorno arriva in reparto una donna in gravidanza per il solito colloquio di routine finalizzato a verificare se esistesse una condizione d’ansia che in un qualche modo poteva interferire con il parto. Quella giovane donna mi chiede se lavoro anche “fuori” dell’ospedale perché una sua amica sta cercando una psicologa. Detto fatto: apro partita IVA e mi “lancio”, si la sensazione era proprio di un lancio in grande stile nel vuoto più assoluto.
Organizzo velocemente uno studio in una stanza di casa dei miei genitori e la settimana successiva vedo la mia prima paziente (oggi si dice cliente). Il problema presentato riguarda l’autostima …. Beh come inizio può andare. Come inizio però perché poi, per una serie di eventi luttuosi il problema si trasforma in anoressia. Eh no, proprio no, questa no che non ci voleva! Mica mi sento competente in materia, accidenti … però il legame tra noi ormai è forte, la persona in questione non vuole rivolgersi ad un altro collega. Nel frattempo arriva un altro paziente (cioè cliente), arriva un fobico-ossessivo. Ancora!!!, Questo è troppo! Perché non potevo iniziare con qualcosa di più “semplice”, con qualcosa che non mi sbattesse subito in faccia la mia inesperienza.
Cosa faccio? Come mi gestisco la cosa? Decido di andare in supervisione da uno psichiatra psicoterapeuta con il quale avevo fatto un corso di ipnosi. Mi metto in contatto con lui, fissiamo un appuntamento ed il giorno prestabilito mi faccio 80 km per andare in supervisione (più altri 80 per tornare a casa). Non ricordo bene il periodo, so che era un pomeriggio del 1998.
Entro nel suo studio e, come un fiume in piena, gli vomito addosso tutta la mia frustrazione e gli chiedo “Perché? Perché proprio a me, inesperta ed insicura, dovevano capitare due casi così difficili?”.
La sua risposta mi spiazza e mi entra dentro come una di quelle schegge di legno che ti entrano nella pelle e che fai difficoltà a togliere, talvolta quella scheggia rimane li diventando un tutt’uno con te. Proprio come la scheggia la sua risposta è diventata una parte di me e ancor oggi mi riecheggia nella mente. Qual’era la risposta? Presto detto: “Evidentemente queste persone hanno sentito, ancora prima di conoscerti, che tu eri la persona giusta per aiutarle”. Si, ok sarà pure così … ma in quel momento ero arrabbiata, frustrata, delusa della mia incompetenza e quella spiegazione non mi bastava, non mi aiutava, la respingevo con tutte le mie forze.
Comunque quella è stata la prima volta che ho sentito parlare di “energia”, quella forza che non si vede, non si tocca, non si annusa ma che opera incessantemente ogni istante di quelle che noi definiamo ore, giornate, mesi, anni.
Noi siamo delle calamite che si attraggono reciprocamente e non casualmente. Questa cosa l’ho imparata e sperimentata continuamente da quel lontano 1998.
A volte cerchiamo di opporci, di allontanarci, di fuggire da certe persone o situazioni ma è impossibile.
Ne sono passati di anni dalla laurea e dai miei primi due clienti. Ho imparato molte cose, non tanto attraverso corsi, master, seminari etc. etc., quanto piuttosto dal contatto e dal rapporto con le persone che ho seguito in libera professione. Loro hanno sviluppato caratteristiche che in tutto o in parte già mi appartenevano. L’umiltà nel mio lavoro di psicologa, la capacità di riconoscere quando non sono all’altezza di una situazione (o forse posso esserlo ma in un tempo più lungo rispetto a qualche collega), la capacità di ascoltare senza giudicare, la consapevolezza che non si finisce mai di imparare e, di conseguenze, la continua voglia di crescere e migliorare. Ho anche imparato che “dall’energia” non si fugge, non la si può respingere.
Per sette anni mi sono occupata di accompagnamento alla morte ed elaborazione del lutto, fino al punto (causa la mancanza di una equipe con la quale confrontarmi) in cui sono andata in burnout ed allora, complice anche un cambio di residenza in una Regione diversa, ho preso la palla al balzo per cambiare indirizzo, campo di interesse lavorativo. Avevo bisogno di respirare aria nuova, di allontanarmi da quell’ombra di morte che ormai camminava al mio fianco. Smetto di occuparmi lavorativamente di malattia ma non smetto di “attrarre”, nella vita quotidiana, persone con il cancro.
Proprio qualche ora fa, in passeggiata con il mio Pedro (per chi non lo conosce è il mio Anima-le appartenente alla specie dei cani) mi ferma una ragazza del paese (da qualche mese vivo in un piccolo paesello della Val di Non composto da 605 abitanti dove tutti si conoscono) ragazza con la quale, vedendoci dalle finestre delle rispettive case, ci si saluta ma tutto finisce lì. Insomma mi ferma, mi chiede se voglio sedermi un po’ con lei nel suo giardino e inizia a parlarmi, a raccontarmi … raccontarmi del cancro di cui è stata operata una prima volta a dicembre del 2012 ed una seconda a gennaio del 2013. Cancro alla bocca non ancora conosciuto e per il quale non esiste terapia se non l’intervento chirurgico. Mi racconta del suo pensiero di morte, non ha paura di morire ma di lasciare soli i suoi quattro figli di età compresa tra gli 8 anni e i 15 mesi ….. Noi siamo calamite che attraggono chi ha bisogno di noi anche se non sempre noi riteniamo di aver bisogno di loro. Questa è una realtà dalla quale non si può fuggire ma semplicemente imparare che ogni cosa non succede mai a caso. A volte dobbiamo semplicemente avere la pazienza di aspettare che i significati ci siano svelati.