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'Visione e motivazione' di Paolo Marinovich

1/11/2019

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Visione, missione, valori, obiettivi … la letteratura di management ne è satura, perché parlarne ancora? Vediamo: che la visione descriva uno stato futuro e desiderabile dell’organizzazione è nozione intuitiva; ma come descrivere questo stato futuro e come metterlo in relazione con la motivazione delle persone e con le dinamiche di sistema? Come definire una meta, chiara, compresa e condivisa, che favorisca l’agire coordinato e armonioso di tutti verso il raggiungimento dello stato desiderato?

La visione che motiva davvero è eticamente fondata, pertinente e formulata con parole semplici e comprensibili a tutti (niente gergo di business o acronimi strani) per essere comunicata, diffusa e facilmente ricordata e citata a memoria; parola più o parola meno, ma nella piena consapevolezza del senso.

A volte la visione è direttamente quella dell’imprenditore. Altre volte, nelle aziende medio-grandi, è frutto di un’elaborazione collettiva, ispirata da qualche concetto essenziale dell’imprenditore o degli azionisti. Essere chiamati a questa elaborazione è già un elemento di motivazione per chi viene coinvolto.

Qui l’apporto delle persone non è solo quello delle loro competenze di ruolo, ma anche quello dei loro valori etici ed estetici, della loro autenticità, della loro capacità di percezione e introspezione nel cuore pulsante dell’azienda, con i suoi ritmi e la sua quotidianità; ciò che le persone dicono e fanno, oltre ogni dichiarazione di principio, sentendosi gratificate.

Definire una visione aziendale è perciò una sfida appassionante. Una visione chiara e ben comunicata orienta e favorisce lo sviluppo di processi decisionali adeguati e coerenti; inoltre aiutare tutti a “mantenere la rotta” soprattutto in tempi VUCA. Perciò è importante anche, ogni tanto, chiedersi a che punto ci si trova e se sia il caso di aggiornare la visione d’impresa. In effetti, la visione può invecchiare e, poiché siamo nel ventunesimo secolo e abbiamo a che fare con l’intelligenza artificiale, invecchia rapidamente. Aziende che hanno sviluppato una visione anni fa, intorno al cambio di secolo, l’hanno corredata di missione e valori, ne hanno fatto oggetto di eventi aziendali dedicati, l’hanno mantenuta visibile (su poster, carta intestata, gadget) finché l’abitudine e magari anche i buoni risultati l’hanno resa ovvia, opaca, priva di “appeal” motivazionale.

Se è accaduto questo (a maggior ragione, se non sono stati raggiunti gli obiettivi desiderati) è bene mettersi all’opera e svilupparne una nuova. È del tutto possibile, infatti, che se non la sviluppi tu, azienda, per motivare i tuoi collaboratori, qualcun altro – un tuo concorrente – ne stia già sviluppando una propria in cui uno degli esiti, al quale non sarai preparato, è che tu scompaia o sia marginalizzato nei tuoi mercati fin qui di riferimento.

Quindi anche la visione aziendale ha una sua dinamica evolutiva. Il mondo cambia velocemente e non ti chiede il permesso di farlo; ed è fondamentale non perdere di vista la ragione per cui si esiste e si fa ciò che si sta facendo. Se la strada diventa improvvisamente ripida o aumentano le curve, se ci sono cunette o dossi non segnalati, se c’è nebbia… che cosa c’è oltre la nebbia? Come andare avanti?

Se la visione è l’espressione di persone che l’hanno scritta, vi hanno aderito, collaborando nel rispetto e nella stima reciproca; persone che credono in sé stesse e nella forza del collettivo, in esse c’è probabilmente anche la lucidità del pensiero, la percezione di ciò che sta cambiando intorno e la determinazione a trovare strade nuove per raggiungere la meta; o individuarne una nuova e più funzionale al benessere desiderato.

Si può quindi ben dire che la visione, oggi più che mai, è la persistenza di un sogno, di un desiderio, nella consapevolezza che la via per realizzarlo sarà probabilmente più incerta, difficile, oscura di quella che ti eri immaginato; e che, una volta realizzato quel sogno, ti sembrerà solo la tappa di un cammino più lungo, con nuovi sogni da realizzare, più avanti. 

​Tratto da '78PAGINE' di Paolo Marinovich
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