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'Turno di notte' di Michela Cassetta

12/4/2018

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Da diversi anni il mio lavoro mi porta a lavorare anche di notte e posso tranquillamente dire che il lavoro notturno ha un certo fascino... certo, non sempre quando devo partire da casa per venire al lavoro sprizzo gioia da tutti i pori... sopratutto d'inverno.
Quando devo lasciare il calore e la tranquillità di casa mia, il pensiero di passare 11 ore in piedi prima di potermi rifugiare sotto il caldo piumino nel mio comodo letto sembra proprio una delle peggiori torture!
Tuttavia una volta arrivata in ospedale, tolti gli abiti civili e indossata la divisa accade qualcosa di particolare.
Accade che entro in quella peculiare dimensione del mio lavoro fatta di pazienti e delle loro disavventure, di terapie, di interventi, di urgenze, di strumenti da preparare...insomma quella dimensione che a volte è così difficile da fare comprendere a chi non “c’è dentro”. E’ una dimensione che prende e assorbe così tanto le mie energie che a volte quando, finito il turno, ne esco, ho la sensazione di essere stata sconnessa con il resto del mondo e mi ci vuole un po' di tempo per ripristinare un pieno contatto con la realtà.
Ore 20.00 inizio turno... mi accolgono i colleghi e dalle loro facce capisco subito come può essere stato il pomeriggio. A volte le loro facce stanche sono la chiara manifestazione di ore di lavoro estenuante, altre volte, li trovo tranquilli e soddisfatti per un lavoro vissuto in armonia e fluidità, oppure euforici e quasi fanciulleschi nell'esprimere quell’allegria esagerata da “esaurimento da fine turno” come la chiamo io, di quando si ha solo voglia di leggerezza...totale leggerezza per compensare situazioni emotivamente e fisicamente intense.
Spesso l’inizio del turno di notte, per la mole di lavoro che mi trovo davanti, mi appare come una montagna da scalare e mi chiedo timorosa se arriverò in vetta...ma poi proprio come accade in montagna, anche nei sentieri più difficili, un passo dopo l’altro procedi sempre più sicuro e inizi a goderti il cammino.
Anche in questo caso passo dopo passo il tutto può diventare molto interessante.
La gamma di situazioni che mi ritrovo a vivere è davvero curiosa, sopratutto dal punto di vista umano, nella stessa notte, infatti possiamo trovarci (io e il medico di guardia) a gestire qualche piccino che tra coccole, favole e sorrisi si fa medicare quasi senza piangere e poco dopo il detenuto, ammanettato e accompagnato da tre guardie penitenziarie, che con il suo atteggiamento sfidante e strafottente mette a dura prova la nostra pazienza...solo per fare due esempi.
Così urgenza dopo urgenza, le ore passano e tutto sembra trovare il giusto posto, il suo senso.
Di giorno l’attività è frenetica, via vai di persone, un continuo susseguirsi di situazioni, di parole, di materiali e strumenti da preparare.
Durante la notte, a volte, si riesce ad assaporare la quiete, il silenzio, quella magia che solo in queste ore si può cogliere dentro un’ospedale, e che mi è sempre piaciuta così tanto perché permette di cambiare prospettiva, di guardare le cose in maniera diversa, di relazionarsi con i colleghi come di giorno non si riesce a fare; i tempi sono un po' più dilatati, le problematiche sono diverse rispetto al giorno e poi la condivisione della fatica e della stanchezza notturne accomuna.
Quando si avvicinano le ore del mattino inizia a farsi spazio dentro di me quel senso di soddisfazione e sollievo che diventa poi pieno e totale quando alle sette vedo arrivare i colleghi belli freschi, riposati e pronti a darmi il cambio.
Ore 7 tolta la divisa e indossati nuovamente gli abiti civili mi avvio finalmente verso casa.
Mi piace moltissimo osservare la città che si sveglia e si attiva per una nuova giornata mentre io, con addosso evidenti, e a volte imbarazzanti, segni di stanchezza, me ne vado a dormire portando dentro di me un senso di piacere intenso per “avere dato” e poter finalmente infilarmi nel mio lettuccio caldo godendomi un buon sano riposo.   

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