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'Questione di punteggiatura' di Marco Burgo

16/3/2016

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Sappiamo bene che comunicare, anche se si tratta di cose quotidiane o banali, è affare piuttosto complicato.

Questo perché il mittente, insieme al contenuto, non solo comunica qualcosa di sé, qualcosa dell’altro, qualcosa sulla relazione che lega sè e l’altro, tenta di esercitare un’influenza sul destinatario. Non solo perché, ad esclusione dell’informazione di contenuto, il mittente, attraverso i componenti non verbali del messaggio, trasmette qualcosa sugli stessi tre aspetti di cui sopra (sé,  l’altro, la relazione), talvolta anche in modo incongruente rispetto al messaggio verbale. Ma anche perché il destinatario decodifica tutto ciò attraverso le proprie personali lenti e i propri programmi interpretativi, rendendolo funzionale alle proprie coordinate.

Comunicare è davvero una cosa complicata.

Il contenuto ricevuto non è quasi mai lo stesso che è stato inviato, poiché il destinatario è solo nella delicata fase di decodifica, guidato dalle sue aspettative, dalle sue precedenti esperienze, dai suoi timori, in una parola, dalla sua intera persona.

Ciò che spesso inquina la trasmissione/ricezione di messaggi sono gli aspetti relativi all’immagine che il destinatario ha di sé, all’immagine che il destinatario  ha del mittente e i messaggi “sottintesi”, recepiti sulla base di come il ricevente vede la relazione, a prescindere dal fatto che il mittente li abbia inseriti nella propria comunicazione.

Il destinatario darà un riscontro, un feedback, determinato dalla sua percezione, dalla sua interpretazione, e da ciò che egli prova, cioè dalla risposta che sente rispetto a ciò che ha percepito e interpretato.
Anche il feedback, ovviamente, è un messaggio complesso, che opera su più livelli, tutti quelli che citati prima in riferimento al messaggio del mittente. La comunicazione è un processo circolare, e subito si perde la percezione di dove sia l’inizio: ognuno considera il proprio comportamento sempre come una reazione al comportamento dell’altro, e ognuno è convinto di avere ragione.

Si tratta di una questione di punteggiatura: in questo processo circolare le reazioni reciproche non possono essere separate, diventa impossibile stabilire “chi ha cominciato”; interpretare la sequenza di comportamenti secondo il principio di causa ed effetto diventa un’operazione determinata da una preferenza (arbitraria) per una certa interpunzione.

Ognuno tende a punteggiare secondo il proprio punto di vista individuale, spesso inconsapevole delle proprie visioni, e in genere ingenuamente presumerà che, esistendo solo una realtà e una versione giusta di essa, la propria, non riesce a capacitarsi come l’altro possa vedere le cose diversamente.

Ma si tratta di un processo circolare dove la causa produce l’effetto e l’effetto fornisce il feedback alla causa, diventando esso stesso una causa.

Ecco un esempio di punteggiatura piuttosto divertente. I delfini sono animali estremamente intelligenti, in grado di acquisire consapevolezza del fatto che l’orecchio umano non riesce a percepire i suoni che essi emettono: i delfini in cattività abbassano la frequenza dei loro vocalizzi a un livello che noi possiamo percepire. Sono inoltre animali giocherelloni e molti studiosi che ne hanno studiato il comportamento nel gioco condividono l’opinione che si tratti di un interessante problema di punteggiatura.
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In sostanza, alcuni studiosi pensano che non è tanto il fatto che i delfini siano capaci di eseguire giochi (come potrebbero pensare gli spettatori che ne vanno a vedere le esibizioni nei parchi di divertimento), quanto piuttosto che abbiano scoperto che noi possiamo imparare a giocare. Cioè i delfini hanno scoperto che se gettano l’anello di gomma colorata a qualcuno vicino al bordo della vasca, quell’essere umano imparerà rapidamente a rigettarlo e continuerà questo gioco fino a quando il delfino non si stancherà.

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