Due modi di accompagnare che diventano uno, solo se trovano il coraggio di trasformarsi.
Quando non sai più chi sei… e chi dovrebbe aiutarti resta lo stesso
Succede.
Ti svegli, ti guardi, e non ti riconosci.
Senti che qualcosa dentro si muove.
Ma intorno a te, tutto sembra chiederti di restare come sei.
In quei momenti, il peggio che può capitare
è incontrare qualcuno che dice:
“Torniamo alla normalità.”
“Facciamo un esercizio.”
“Ti spiego cosa fare.”
Se il coach o il counselor non cambiano,
se si fermano al metodo e dimenticano il mistero,
ecco cosa accade:
1. Se sai tutto, non ascolti più
Il counselor che crede di avere tutte le risposte,
che si rifugia dietro frasi tecniche o esercizi automatici,
non lascia spazio a chi ha davanti.
Rischia di diventare freddo.
Di dire “ti capisco” senza sentire davvero.
E chi cerca aiuto si sente più solo di prima.
Ma se il counselor si fa specchio,
se sa stare anche senza sapere,
nasce qualcosa di vero.
Qualcosa che cambia davvero.
2. Se hai fretta, fai cadere chi sta attraversando
Quando cresci, sei in mezzo.
Non sei più quello di ieri,
non sei ancora quello che sarai domani.
Se chi ti accompagna ha fretta,
rischia di spingerti troppo, troppo presto.
E tu, che sei già fragile, puoi cadere.
Un buon counselor non ha fretta.
Si siede accanto all’incrinatura.
Non per sistemarti…
ma per restare con te finché sei pronto.
3. Se cerchi solo il problema, perdi la bellezza della storia
Un counselor rigido cerca il “nodo”.
Vuole risolvere.
Ma così perde i dettagli. I simboli. I silenzi.
Ogni storia è una mappa misteriosa.
Ogni parola è un indizio.
Ogni pausa, una porta segreta.
Se guardi solo il problema, perdi il viaggio.
4. Se non sai evocare, il dolore resta muto
A volte le persone non sanno dire cosa sentono.
Il malessere è come una nebbia.
Un counselor che si limita a “contenere”
rischia di rinchiudere il dolore in una scatola.
Ma se sa evocare — con un gesto, una metafora, un piccolo rito --
può accendere una scintilla.
E quella scintilla… può diventare guarigione.
5. Se non ascolti il corpo, perdi metà del linguaggio
Hai mai parlato con qualcuno che ti dice “sto bene”
ma tutto in lui dice il contrario?
Se un counselor ascolta solo le parole,
si perde i segnali del corpo:
un sospiro, una tensione, uno sguardo.
E chi ha davanti non si sente davvero visto.
Un counselor attento ascolta anche quello che il corpo sussurra.
6. Se vedi il sintomo come errore, perdi il suo messaggio
Un dolore non è sempre un problema da risolvere.
A volte è una porta.
Un counselor che vuole solo “aggiustare”
rischia di spegnere la voce del sintomo.
Ma se sa dialogare con lui,
può trasformarlo in senso,
in un gesto, in un oggetto, in un piccolo rito
che cambia tutto.
7. Se resta chiuso in studio, non incontra il mondo
Il counseling non può più vivere solo tra quattro pareti.
Se lo fa, si isola. E perde la vita vera.
Oggi serve nelle scuole, nei parchi, nei gruppi, nelle piazze.
Serve dove le persone vivono, litigano, amano, si cercano.
Un counselor che non esce… scompare.
8. Se chiede solo “obiettivi”, dimentica la vocazione
C’è una domanda che non tutti osano fare:
“Chi potresti diventare, se ti dessi il permesso?”
Il counselor che parla solo di obiettivi,
che misura tutto in risultati,
rischia di perdere l’anima del lavoro.
Ma chi sa custodire i sogni silenziosi,
chi ascolta i desideri che non hanno ancora parole,
diventa spazio possibile.
E quello spazio può cambiare una vita.
Quando Counseling e Coaching si incontrano
Se il counseling resta troppo chiuso, si svuota.
Se il coaching resta troppo veloce, si spezza.
Ma quando si incontrano davvero --
quando si contaminano, si ascoltano, si evolvono --
diventano una soglia viva.
Un posto dove puoi camminare,
cercare, piangere, ridere,
e un giorno dire:
“Ora so chi sto diventando.”
Ma questo è possibile solo se anche il coach e il counselor
hanno il coraggio di cambiare pelle.
Hai voglia di farlo anche tu?
Perché il mondo ha bisogno di chi non ha paura
di diventare ciò che serve,
quando gli altri non sanno ancora chi saranno
Quando non sai più chi sei… e chi dovrebbe aiutarti resta lo stesso
Succede.
Ti svegli, ti guardi, e non ti riconosci.
Senti che qualcosa dentro si muove.
Ma intorno a te, tutto sembra chiederti di restare come sei.
In quei momenti, il peggio che può capitare
è incontrare qualcuno che dice:
“Torniamo alla normalità.”
“Facciamo un esercizio.”
“Ti spiego cosa fare.”
Se il coach o il counselor non cambiano,
se si fermano al metodo e dimenticano il mistero,
ecco cosa accade:
- Le persone si chiudono.
- Il cambiamento si blocca.
- E il dolore resta… ma senza più parole.
1. Se sai tutto, non ascolti più
Il counselor che crede di avere tutte le risposte,
che si rifugia dietro frasi tecniche o esercizi automatici,
non lascia spazio a chi ha davanti.
Rischia di diventare freddo.
Di dire “ti capisco” senza sentire davvero.
E chi cerca aiuto si sente più solo di prima.
Ma se il counselor si fa specchio,
se sa stare anche senza sapere,
nasce qualcosa di vero.
Qualcosa che cambia davvero.
2. Se hai fretta, fai cadere chi sta attraversando
Quando cresci, sei in mezzo.
Non sei più quello di ieri,
non sei ancora quello che sarai domani.
Se chi ti accompagna ha fretta,
rischia di spingerti troppo, troppo presto.
E tu, che sei già fragile, puoi cadere.
Un buon counselor non ha fretta.
Si siede accanto all’incrinatura.
Non per sistemarti…
ma per restare con te finché sei pronto.
3. Se cerchi solo il problema, perdi la bellezza della storia
Un counselor rigido cerca il “nodo”.
Vuole risolvere.
Ma così perde i dettagli. I simboli. I silenzi.
Ogni storia è una mappa misteriosa.
Ogni parola è un indizio.
Ogni pausa, una porta segreta.
Se guardi solo il problema, perdi il viaggio.
4. Se non sai evocare, il dolore resta muto
A volte le persone non sanno dire cosa sentono.
Il malessere è come una nebbia.
Un counselor che si limita a “contenere”
rischia di rinchiudere il dolore in una scatola.
Ma se sa evocare — con un gesto, una metafora, un piccolo rito --
può accendere una scintilla.
E quella scintilla… può diventare guarigione.
5. Se non ascolti il corpo, perdi metà del linguaggio
Hai mai parlato con qualcuno che ti dice “sto bene”
ma tutto in lui dice il contrario?
Se un counselor ascolta solo le parole,
si perde i segnali del corpo:
un sospiro, una tensione, uno sguardo.
E chi ha davanti non si sente davvero visto.
Un counselor attento ascolta anche quello che il corpo sussurra.
6. Se vedi il sintomo come errore, perdi il suo messaggio
Un dolore non è sempre un problema da risolvere.
A volte è una porta.
Un counselor che vuole solo “aggiustare”
rischia di spegnere la voce del sintomo.
Ma se sa dialogare con lui,
può trasformarlo in senso,
in un gesto, in un oggetto, in un piccolo rito
che cambia tutto.
7. Se resta chiuso in studio, non incontra il mondo
Il counseling non può più vivere solo tra quattro pareti.
Se lo fa, si isola. E perde la vita vera.
Oggi serve nelle scuole, nei parchi, nei gruppi, nelle piazze.
Serve dove le persone vivono, litigano, amano, si cercano.
Un counselor che non esce… scompare.
8. Se chiede solo “obiettivi”, dimentica la vocazione
C’è una domanda che non tutti osano fare:
“Chi potresti diventare, se ti dessi il permesso?”
Il counselor che parla solo di obiettivi,
che misura tutto in risultati,
rischia di perdere l’anima del lavoro.
Ma chi sa custodire i sogni silenziosi,
chi ascolta i desideri che non hanno ancora parole,
diventa spazio possibile.
E quello spazio può cambiare una vita.
Quando Counseling e Coaching si incontrano
Se il counseling resta troppo chiuso, si svuota.
Se il coaching resta troppo veloce, si spezza.
Ma quando si incontrano davvero --
quando si contaminano, si ascoltano, si evolvono --
diventano una soglia viva.
Un posto dove puoi camminare,
cercare, piangere, ridere,
e un giorno dire:
“Ora so chi sto diventando.”
Ma questo è possibile solo se anche il coach e il counselor
hanno il coraggio di cambiare pelle.
Hai voglia di farlo anche tu?
Perché il mondo ha bisogno di chi non ha paura
di diventare ciò che serve,
quando gli altri non sanno ancora chi saranno