Ricordo in modo particolare alcune prime volte: un uomo di 60 anni alla sua prima esperienza di arrampicata: non riusciva a dire una parola, ma saltava di gioia in cima a quella stretta vetta dolomitica come un adolescente al suo primo motorino. La prima volta in vetta al Cervino con un cliente, ci siamo abbracciati, entrambi con il nodo alla gola e gli occhi lucidi; le parole: inutili!
Gli adulti come i bambini, appena sentono di aver superato “quella paura” o di aver percepito “quel momentum” di gioia, esultano dentro, a volte non ne sono consapevoli e non esprimono parole, ma il corpo lo dice!
Studi di psicologia teorizzano che con la parola si comunica solo il 7%, con il tono di voce il 38% ma il linguaggio del corpo può comunicare il 55%.
L’ho sperimentato in molte occasioni, ma un’esperienza è stata molto forte: ho accompagnato quattro ragazzini in un corso di arrampicata, e con loro ho avuto importanti difficoltà di comunicazione; parlavamo lingue diverse, la loro per me era incomprensibile, poteva essere arabo, cinese, o marziano!
Esternavano le loro emozioni e desideri con modalità non convenzionali, non solo la lingua ma la cultura, lo standard comunicativo. Solo il corpo parlava con messaggi coerenti con il mio percepire.
Il timore, la curiosità dei primi giorni, delle prime prove, hanno presto trovato pace. Un poco alla volta, pur non conoscendo le nostre lingue, abbiamo cominciato a capirci. Interpretando i suoni, l’intercalare, leggendo la mimica facciale e i segnali del corpo affinavo la mia comprensione. Un po' alla volta la comunicazione non verbale, la comunicazione emotiva ed empatica prese piede, fino a capirci totalmente.
Edoardo era troppo giovane e poco interessato, voleva solo giocare. Paolo non era un tipo atletico, preferiva la riflessione ed aveva paura del vuoto. Isacco era portato per le attività atletiche, era forte, leggero, volitivo, non mollava mai, ma l’altezza non gli piaceva molto. Francesco era uomo di montagna, serio, deciso, senza paura, convinto, quando era il suo turno partiva e andava avanti senza indugi.
Al di la di tutte le incomprensioni linguistiche, le difficoltà peculiari dell’arrampicata e le caratteristiche dei ragazzi, dopo un breve percorso formativo i due ragazzi più portati scalarono una parete rocciosa di 25 m di altezza; vi assicuro che anche un perfetto estraneo come me poteva percepire in questi due ragazzi la gioia, l’entusiasmo e l’orgoglio di essere riusciti, forse anche l’affetto nei miei confronti e noi confronti dei loro accompagnatori per averli portati fino li.
L’autismo di cui erano affetti non era stato un limite! Le loro emozioni vennero espresse come quelle di qualunque coetaneo, con un linguaggio del corpo da imparare a leggere. Quella fu la chiave di lettura, attraverso il tono della voce, la mimica facciale e i movimenti del corpo. Le parole non c’erano e in effetti non sarebbero state essenziali.
Gli adulti come i bambini, appena sentono di aver superato “quella paura” o di aver percepito “quel momentum” di gioia, esultano dentro, a volte non ne sono consapevoli e non esprimono parole, ma il corpo lo dice!
Studi di psicologia teorizzano che con la parola si comunica solo il 7%, con il tono di voce il 38% ma il linguaggio del corpo può comunicare il 55%.
L’ho sperimentato in molte occasioni, ma un’esperienza è stata molto forte: ho accompagnato quattro ragazzini in un corso di arrampicata, e con loro ho avuto importanti difficoltà di comunicazione; parlavamo lingue diverse, la loro per me era incomprensibile, poteva essere arabo, cinese, o marziano!
Esternavano le loro emozioni e desideri con modalità non convenzionali, non solo la lingua ma la cultura, lo standard comunicativo. Solo il corpo parlava con messaggi coerenti con il mio percepire.
Il timore, la curiosità dei primi giorni, delle prime prove, hanno presto trovato pace. Un poco alla volta, pur non conoscendo le nostre lingue, abbiamo cominciato a capirci. Interpretando i suoni, l’intercalare, leggendo la mimica facciale e i segnali del corpo affinavo la mia comprensione. Un po' alla volta la comunicazione non verbale, la comunicazione emotiva ed empatica prese piede, fino a capirci totalmente.
Edoardo era troppo giovane e poco interessato, voleva solo giocare. Paolo non era un tipo atletico, preferiva la riflessione ed aveva paura del vuoto. Isacco era portato per le attività atletiche, era forte, leggero, volitivo, non mollava mai, ma l’altezza non gli piaceva molto. Francesco era uomo di montagna, serio, deciso, senza paura, convinto, quando era il suo turno partiva e andava avanti senza indugi.
Al di la di tutte le incomprensioni linguistiche, le difficoltà peculiari dell’arrampicata e le caratteristiche dei ragazzi, dopo un breve percorso formativo i due ragazzi più portati scalarono una parete rocciosa di 25 m di altezza; vi assicuro che anche un perfetto estraneo come me poteva percepire in questi due ragazzi la gioia, l’entusiasmo e l’orgoglio di essere riusciti, forse anche l’affetto nei miei confronti e noi confronti dei loro accompagnatori per averli portati fino li.
L’autismo di cui erano affetti non era stato un limite! Le loro emozioni vennero espresse come quelle di qualunque coetaneo, con un linguaggio del corpo da imparare a leggere. Quella fu la chiave di lettura, attraverso il tono della voce, la mimica facciale e i movimenti del corpo. Le parole non c’erano e in effetti non sarebbero state essenziali.