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'Pillole di comunicazione' di Marco Burgo

28/2/2016

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Vi propongo alcune “pillole di comunicazione” , incrociate nelle mie letture,  che mi hanno interessato e fatto riflettere.

  • Avere più notizie ci permette di sapere di più?
Avere più dati migliora la comunicazione?
Sappiamo riconoscere i messaggi che ci raggiungono?
 
Wiseman ha intervistato per due volte un noto commentatore politico inglese chiedendogli sempre le stesse cose. In un'intervista, però, il commentatore ha detto sempre la verità, nell’altra solo bugie. Al pubblico di tre mezzi di comunicazione (quotidiano, radio, TV) è stato chiesto di valutare quale delle due interviste fosse quella vera.
I radioascoltatori nel 73% dei casi hanno scoperto l’intervista falsa
i lettori al 64% hanno scoperto l’intervista falsa
il pubblico televisivo solo nel 52% dei casi ha saputo cogliere l’inganno
Eppure il pubblico televisivo aveva molti più dati a  disposizione (voce, gesto, postura corporea, occhi…) Gli spettatori televisivi hanno affidato il loro giudizio al linguaggio corporeo mentre gli ascoltatori della trasmissione radio sono stati costretti a seguire con grande attenzione le parole dell’intervistato e il modo in cui le pronunciava. L’eccesso di “informazioni” pare peggiorare l’elaborazione dei dati disponibili.

  • La comunicazione non è il messaggio, ma il processo di incontro con ciò che riceviamo come messaggio, o con ciò che pensiamo di ricevere. E' l'azione associata al messaggio.
Essa si definisce sulla situazione di attesa di messaggi possibili e sulla libertà di scelta tra messaggi possibili per il ricevente: è fondamentale interrogarsi su quali e quanti messaggi sono possibili per il ricevente in una situazione comunicativa.

  • Il linguaggio non descrive la realtà, ma la anticipa, lasciando poi alla selezione dei messaggi provenienti dall'esterno il compito di selezionare le costruzione linguistiche (cioè le frasi) più opportune e adeguate.
Ciò significa che la nostra realtà è intessuta del carico delle nostre domande, del linguaggio usato per porle, del sistema di attese messo in campo per selezionarle, della riduzione di incertezza derivante dal nostro incontrare il mondo.

  • Il mondo non è fatto di cose, ma di messaggi, di linguaggio, di segni (digitali) modulabili e trasformabili. Non c'è una realtà là fuori, che possiamo cogliere senza anticiparla nei nostri schemi mentali. Esiste solo una realtà vestita dal nostro modo di anticiparla e di dirla. Meglio ancora, esiste solo una realtà che, se illuminata dai nostri processi interpretativi e si informazione, può essere riconosciuta come tale.
Non c'è un mondo che non sia costruito sulla base delle informazioni e delle interpretazioni, e quindi non c'è una realtà precedente al nostro modo di coglierla e di comunicarla.

  • E' l'interesse a trasformare la comunicazione in una sorgente di informazione. Dunque la sorgente non è tale per ogni destinatario: è sempre opportuno considerare la coppia sorgente - destinatario. Anche nel caso ci siano molti destinatari interessati alla sorgente, ciascuno di essi vede la sorgente in modo diverso, sia perché i destinatari hanno interessi diversi, sia perché hanno capacità osservative diverse.
L'informazione sta nell'orecchio di chi ascolta più che nelle parole di chi parla. (Longo)

  • Se il linguaggio viene ritenuto denotativo sarà necessario considerarlo come un mezzo per la trasmissione di informazioni, come se qualcosa fosse trasmessa da organismo a organismo, in modo tale che il dominio di incertezze del "ricevente" dovrebbe essere ridotto secondo le specificazioni dell' "emittente".
Se invece si riconosce che il linguaggio è connotativo e non denotativo, e che la sua funzione è di orientare l'orientato entro il suo dominio cognitivo indipendentemente dal dominio cognitivo dell'orientatore, diventa evidente che non vi è alcuna trasmissione di informazioni attraverso il linguaggio. 
Dunque non vi è alcun trasferimento di pensiero dal parlante al suo interlocutore; l'ascoltatore crea informazione riducendo la sua incertezza attraverso le sue interazioni nel suo dominio cognitivo
(Maturana, Varela,)

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