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'Lo Psicologo che Viene: 8 metamorfosi per abitare il futuro della cura' di Lorenzo Manfredini

6/5/2025

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Otto metamorfosi necessarie per non restare indietro nella cura dell’umano.

​Non basta più sapere. Serve cambiare forma.

Cosa significa oggi essere psicologi?
Non è una questione di tecniche.
Non bastano più i titoli, né le scuole di pensiero.
Non basta un protocollo se il mondo non ha più parole.
Oggi la psicologia è chiamata a scegliere:
- restare nella sicurezza del conosciuto
oppure
- attraversare la soglia e mutare forma.
Chi sceglie la prima via, rischia:
– di spegnere la voce di chi soffre
– di diventare sterile
– di curare solo i sintomi, ma perdere il senso.
Chi sceglie la seconda, invece… apre uno spazio nuovo.
E lì, qualcosa può rinascere.

1. Il Diagnostico – Quando le griglie diventano gabbie

“Dimmi cosa non funziona, e ti dirò chi sei.”
Un tempo bastava una diagnosi.
Ora, se ti fermi lì, condanni le persone a una definizione.
La sofferenza non si lascia chiudere in una casella.
Se lo psicologo si aggrappa ai vecchi manuali,
rischia di diventare un guardiano della gabbia.
Ma se lascia spazio alla complessità,
diventa ascoltatore del non ancora detto.

2. Il Compagno di Sentiero – Se non cammini con me, mi perdo

Lo psicologo che resta tecnico, che interpreta a distanza,
può sembrare preciso…
ma resta solo.
E chi soffre, si sente studiato, non accompagnato.
La trasformazione nasce nella relazione viva.
Se non cammini con me, non mi trovo.
Ma se siedi accanto, anche il silenzio diventa un sentiero.

3. Il Tessitore – Se ignori il contesto, spezzi il filo

“Tu non sei solo tu.”
Se lo psicologo ignora il sistema — famiglia, scuola, società --
rischia di curare una parte… mentre tutto il resto resta ferito.
Un intervento che non vede il campo,
è un cerotto su una ferita collettiva.
Ma chi tesse le relazioni, chi ricompone le reti,
diventa guaritore di sistemi, non solo di individui.

4. Il Navigatore Digitale – Se non sai ascoltare uno schermo, resti cieco

L’identità oggi vive nei telefoni.
Le crisi arrivano da notifiche, messaggi, like.
Se lo psicologo rifiuta lo spazio digitale,
rischia di non vedere più i suoi pazienti.
Serve uno sguardo che attraversa lo schermo.
Che riconosce l’umano anche dietro un avatar.
Altrimenti, la cura si scollega dal presente.

5. Il Custode del Dolore Comune – Se pensi che “sia solo un periodo”, tradisci

Non è più “il paziente” che soffre.
Siamo tutti attraversati dal dolore del mondo.
Se lo psicologo minimizza, normalizza, accelera,
rischia di tradire la profondità del trauma.
Ma se si fa testimone,
se crea uno spazio sacro dove piangere insieme,
diventa custode di una guarigione collettiva.

6. Il Traduttore di Linguaggi – Se usi solo parole, non curi tutto

La cura non è solo mentale.
È corpo, simbolo, sogno.
Se lo psicologo resta razionale,
se non integra il gesto, il respiro, l’immaginazione,
cura a metà.
Ma se traduce emozioni in simboli,
sogni in alleanze interiori,
diventa ponte tra i mondi.

7. L’Alchimista Sociale – Se chiudi la cura in uno studio, la rendi invisibile

La cura non è proprietà privata.
È bisogno pubblico.
Se lo psicologo resta nel suo setting,
chi non ha voce resta fuori.
Ma se porta la cura in un podcast,
in una scuola, in una piazza,
trasforma il mondo in uno spazio terapeutico.

8. L’Oracolo Affettivo – Se prepari le persone alla realtà, ma non prepari la realtà a loro…

…allora le stai adattando a un mondo che le farà soffrire di nuovo.
Lo psicologo di oggi deve anche interrogare il futuro.
Altrimenti diventa un ingranaggio che riporta tutto “alla normalità”.
Ma chi sa ascoltare le identità fluide,
chi sa parlare con filosofi, artisti, AI,
diventa visionario dell’umano possibile.

Epilogo: Lo Psicologo che Viene

Non basta sapere.
Non basta essere “bravi”.
Se oggi non cambi… ti perdi.
E rischi di ferire chi vorresti curare.
Lo psicologo che viene è:
  •  Ibrido: integra mente, corpo, simbolo
  •  Simbolico: ascolta l’invisibile
  • Radicalmente umano: non cura per normalizzare, ma per liberare
Ricuce le storie spezzate.
Resta con chi non ha più parole.
E porta nel cuore una domanda urgente:
“Chi potresti diventare, se avessi finalmente uno spazio dove essere interamente visto?”
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