A volte ci sembra che tutto ci crolli addosso. Un imprevisto, una parola detta male, un ostacolo che non avevamo previsto. E all’improvviso, un singolo problema prende spazio… troppo spazio. Si gonfia nella mente, ruba energia, diventa una montagna insormontabile. Eppure, depotenziare i problemi è possibile. Non serve negare le difficoltà, ma ridare loro le giuste proporzioni, evitando di trattare ogni ritardo, errore o imprevisto come l’anticamera dell’apocalisse personale.
Un problema è un nodo da sciogliere, non una condanna. E a volte, cambiare il modo in cui lo guardiamo è già un primo passo per superarlo.
Chiedersi:
“È davvero così grave?”
“Mi sembrerà ancora così pesante tra una settimana?”
“Cosa posso imparare da questo?”
sono domande semplici ma potenti.
Depotenziare i problemi significa anche non confondere il disagio con il destino.
E imparare a rispondere con lucidità (magari con un pizzico di autoironia), anziché con allarmismo teatrale. In fondo, non si tratta di ignorare le sfide, ma di trattarle per quello che sono: capitoli, non il finale del libro.
Morale della favola: meno amplificazione, più azione. Perché sì, possiamo anche prendere la vita sul serio. Ma non è detto che dobbiamo prenderla sul tragico.
Un problema è un nodo da sciogliere, non una condanna. E a volte, cambiare il modo in cui lo guardiamo è già un primo passo per superarlo.
Chiedersi:
“È davvero così grave?”
“Mi sembrerà ancora così pesante tra una settimana?”
“Cosa posso imparare da questo?”
sono domande semplici ma potenti.
Depotenziare i problemi significa anche non confondere il disagio con il destino.
E imparare a rispondere con lucidità (magari con un pizzico di autoironia), anziché con allarmismo teatrale. In fondo, non si tratta di ignorare le sfide, ma di trattarle per quello che sono: capitoli, non il finale del libro.
Morale della favola: meno amplificazione, più azione. Perché sì, possiamo anche prendere la vita sul serio. Ma non è detto che dobbiamo prenderla sul tragico.