
Parlando con un’amica mi sono resa conto che se si parla della Natura Selvaggia della Donna spesso l’associazione che la mente fa in automatico è qualcosa che riguarda esclusivamente la sfera sessuale. Per questo sento l’esigenza di chiarire questo aspetto. La parte Selvaggia è legata al puro istinto, si, e l’istinto è qualcosa di innato, è un comportamento non appreso. La Donna Selvaggia è un archetipo, è colei che conosce il passato personale e l’antico, perché è sopravvissuta generazione dopo generazione, ed è vecchia al di là del tempo. È colei che conserva la tradizione femminile. È qualcosa che, se ci mettiamo in ascolto, sentiamo a livello viscerale. Non la conosciamo, ma sappiamo che è vera ed esiste. È qualcosa di sacro e vivificante.
A volte ci può apparire in sogno come una donna bellissima, vestita in modo provocante, appariscente. Altre volte prende le sembianze di un oracolo e rassicura, magari suggerendoci qualcosa da fare o un libro da leggere. Può indossare abiti neri o luminosi, portare capelli lunghi o presentarsi come un Gesù Donna. Ma è sempre Lei. Che ci richiama alla nostra natura più profonda, ad integrare quelle parti che ci fanno paura, che ci hanno detto che come donna non possiamo essere. Ci dice di non temere di essere Donna.
La Donna Selvaggia ricrea da ciò che è morto – cantando, ballando, praticando le arti o qualsiasi attività che richieda un’intensa consapevolezza alterata. Sono gli atti creativi o la solitudine intenzionale a portare la donna faccia a faccia con questa Natura. Per riportare la vita, far nascere di nuovo. Se qualcosa va perduto, è a lei che dobbiamo appellarci, a lei dobbiamo parlare, lei dobbiamo ascoltare. Solo Lei ci può aiutare a ritrovare le ossa e a ricomporle. Dopo che ci siamo annullate per qualcuno, dopo che abbiamo messo da parte ciò che siamo per i figli, per i genitori, per accontentare chi ci vuole in un modo o nell’altro. Dopo che abbiamo rinunciato perché “ad una donna non conviene” o perché ci siamo sacrificate (così come compete alla donna) per il “bene” di qualcun altro.
Ma la strada verso la Donna Selvaggia non è una strada facile. È un lavoro solitario, di attraversamento del deserto della psiche. Non sarà un amante a farci ritrovare la voce dell’anima ma solo la Grande Madre. Solo le domande giuste.
Che cos’è accaduto alla voce della mia anima? Quali sono le ossa sepolte della mia vita? In che condizioni si trova la mia relazione con l’Io istintuale? Quand’è stata l’ultima volta che ho corso libera? Come posso far sì che la vita torni libera?
La pulsione viene dal mondo interno ed è una quantità di energia che avendo raggiunto un certo livello di intensità cerca una scarica. Troppo spesso la pulsione ci spinge verso modalità di comportamento volte ad appagare lo stimolo, anche se sappiamo che possiamo farci male o che non ci è utile. L’istinto invece è qualcosa che porta ad esempio i lupi a prendersi cura dei suoi malati, a proteggere la famiglia, ad aver bisogno di sentirsi parte di qualcosa di più grande: il branco. Che permette all’animale di rilevare pericoli, fiutare la preda, sopravvivere. L’istinto lo possiamo osservare nelle viscere. Vi ha mai parlato la pancia? Le chiedete mai se ha qualcosa da rivelarvi? Nella mia vita i più grandi cambiamenti li ho fatti proprio seguendo la pancia. Sembra strano ma lei sapeva esattamente dove andare e mi ha spinta fintantoché non ho fatto il passo. Diverso dall’intuito che attiene ad un altro piano (forse discussione del prossimo post?!). Mentre la pulsione può essere controllata o mediata con il razionale mai chiaramente in modo coercitivo, l’istinto no. È qualcosa che è lì e rimarrà lì dov’è, sempre, ad aspettarci. L’istinto è qualcosa di ancestrale, che risale alla notte dei tempi. Che porta con se l’evoluzione filogenetica dell’intera umanità. È la spinta della vita stessa. Solo un grande lavoro di ascolto e sperimentarsi nel seguirlo può aiutarci ad arrivare alla verità più profonda noi.
Drizzate le orecchie, ascoltate, sentire, annusate, odorate, tenete la coda alta. Sperimentatevi, cadete, rialzatevi.
Ricordate che un archetipo è una rappresentazione del Non-rappresentabile. È un frammento di qualcosa di così enorme che la realtà più grande non può essere compresa dalla mente ordinaria. Ma immagini più piccole di quella grande – come quelle che si trovano nell’arte, nel miti, nella musica, nella danza e nei racconti – possono essere afferrate da noi comuni mortali. Clarissa Pinkola Estés
A volte ci può apparire in sogno come una donna bellissima, vestita in modo provocante, appariscente. Altre volte prende le sembianze di un oracolo e rassicura, magari suggerendoci qualcosa da fare o un libro da leggere. Può indossare abiti neri o luminosi, portare capelli lunghi o presentarsi come un Gesù Donna. Ma è sempre Lei. Che ci richiama alla nostra natura più profonda, ad integrare quelle parti che ci fanno paura, che ci hanno detto che come donna non possiamo essere. Ci dice di non temere di essere Donna.
La Donna Selvaggia ricrea da ciò che è morto – cantando, ballando, praticando le arti o qualsiasi attività che richieda un’intensa consapevolezza alterata. Sono gli atti creativi o la solitudine intenzionale a portare la donna faccia a faccia con questa Natura. Per riportare la vita, far nascere di nuovo. Se qualcosa va perduto, è a lei che dobbiamo appellarci, a lei dobbiamo parlare, lei dobbiamo ascoltare. Solo Lei ci può aiutare a ritrovare le ossa e a ricomporle. Dopo che ci siamo annullate per qualcuno, dopo che abbiamo messo da parte ciò che siamo per i figli, per i genitori, per accontentare chi ci vuole in un modo o nell’altro. Dopo che abbiamo rinunciato perché “ad una donna non conviene” o perché ci siamo sacrificate (così come compete alla donna) per il “bene” di qualcun altro.
Ma la strada verso la Donna Selvaggia non è una strada facile. È un lavoro solitario, di attraversamento del deserto della psiche. Non sarà un amante a farci ritrovare la voce dell’anima ma solo la Grande Madre. Solo le domande giuste.
Che cos’è accaduto alla voce della mia anima? Quali sono le ossa sepolte della mia vita? In che condizioni si trova la mia relazione con l’Io istintuale? Quand’è stata l’ultima volta che ho corso libera? Come posso far sì che la vita torni libera?
La pulsione viene dal mondo interno ed è una quantità di energia che avendo raggiunto un certo livello di intensità cerca una scarica. Troppo spesso la pulsione ci spinge verso modalità di comportamento volte ad appagare lo stimolo, anche se sappiamo che possiamo farci male o che non ci è utile. L’istinto invece è qualcosa che porta ad esempio i lupi a prendersi cura dei suoi malati, a proteggere la famiglia, ad aver bisogno di sentirsi parte di qualcosa di più grande: il branco. Che permette all’animale di rilevare pericoli, fiutare la preda, sopravvivere. L’istinto lo possiamo osservare nelle viscere. Vi ha mai parlato la pancia? Le chiedete mai se ha qualcosa da rivelarvi? Nella mia vita i più grandi cambiamenti li ho fatti proprio seguendo la pancia. Sembra strano ma lei sapeva esattamente dove andare e mi ha spinta fintantoché non ho fatto il passo. Diverso dall’intuito che attiene ad un altro piano (forse discussione del prossimo post?!). Mentre la pulsione può essere controllata o mediata con il razionale mai chiaramente in modo coercitivo, l’istinto no. È qualcosa che è lì e rimarrà lì dov’è, sempre, ad aspettarci. L’istinto è qualcosa di ancestrale, che risale alla notte dei tempi. Che porta con se l’evoluzione filogenetica dell’intera umanità. È la spinta della vita stessa. Solo un grande lavoro di ascolto e sperimentarsi nel seguirlo può aiutarci ad arrivare alla verità più profonda noi.
Drizzate le orecchie, ascoltate, sentire, annusate, odorate, tenete la coda alta. Sperimentatevi, cadete, rialzatevi.
Ricordate che un archetipo è una rappresentazione del Non-rappresentabile. È un frammento di qualcosa di così enorme che la realtà più grande non può essere compresa dalla mente ordinaria. Ma immagini più piccole di quella grande – come quelle che si trovano nell’arte, nel miti, nella musica, nella danza e nei racconti – possono essere afferrate da noi comuni mortali. Clarissa Pinkola Estés