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'La consapevolezza di vivere in un contesto' di Lorenzo Manfredini

21/8/2018

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Con la minore  attenzione rivolta a ciò che accade intorno a noi , la velocità con cui cerchiamo scorciatoie al soddisfacimento dei nostri bisogni, l’intensità con cui leghiamo le emozioni ai ragionamenti, sta diventando sempre più debole lo sfondo educativo che esercitano contesti fondamentali come la famiglia, la scuola, la società, il lavoro, la politica.

Eppure lo sfondo che determina la nostra esperienza riguarda proprio la consapevolezza del contesto, insieme alla nostra capacità di decodificarlo in azioni, comportamenti e principi ordinati e coerenti.

L’esempio di certuni che pensano che il denaro debba essere la cosa più importante da realizzare, nel minor tempo possibile; che l’impegno non debba conseguirsi ‘ora’, ma ‘dopo’; che l’immagine esteriore sia la cosa principale da realizzare, pena sofferenze psicologiche ed esclusioni; che avere tanti amici e like su Facebook e Instagram, sia la cosa più esclusiva; che il dolore debba prevalere sulla ragione; e la lista potrebbe essere lunga sulle scorciatoie della vita, ci dice che c’è una palese confusione tra ciò che si osserva, ciò si dice e ciò a cui si dà importanza.

La consapevolezza di vivere in un contesto è fondamentale. Ci aiuta a comprendere la complessità della nostra esperienza attraverso la ricchezza di elementi, tessuti insieme, che sottolineano la continuità, la distinzione, la sottigliezza, le differenze con cui esplicitiamo le nostre azioni, idee e motivazioni.

Insomma, la terra non è quadrata e la realtà è complessa.

Comprendere cosa è pubblico e cosa è privato, cosa è pertinente o meno, cosa è praticabile e non, cosa è vitale e cosa è evolutivo, etc., costituisce un’importante capacità regolatoria personale, relazionale e sociale, da cui non si può prescindere, pena una vita di significati deboli. Per non dire superficiali.

Non possiamo dire o fare tutto quello che ci passa per la mente, perché tanto siamo spontanei e abbiamo il diritto di dire tutto quello che vogliamo.

Il contesto ci ricorda in quale situazione ci troviamo e quale significato hanno i nostri messaggi e comportamenti, ma soprattutto ci ricorda di esercitare il ‘buon senso’ nel trasformare la nostra comunicazione quando è necessario e nell'adattarla alle circostanze.

A seconda dei momenti, la confusione che determina la mancata lettura del contesto, la possiamo definire come una ‘miopia’ intersoggettiva, relazionale, comunicativa, situazionale.

In pratica, la debole connessione tra il ‘dire’ e il ‘fare’ rende l’esperienza comunicativa men che pragmatica. La rende assurda, per non dire ‘sciroccata’.

Cosa consigliare allora a genitori, insegnanti, educatori, politici, etc,  che hanno a che fare con figli, studenti, collaboratori, platee, che non sanno ‘come si apprende’ e ‘come si fronteggiano nuove esperienze e bisogni?

Il consiglio, è di mantenere ben acceso il livello delle ‘domande’, quelle, in particolare, che facilitano i cicli evolutivi, quelle che danno voce all'espressione delle emozioni e degli affetti. Quelle che cercano il significato profondo degli avvenimenti.

In famiglia e nei contesti terapeutici ciò è più facile. Ma in tutti i casi è bene entrare nello specifico di ogni circostanza, nella sua complessità e articolazione, con domande tese a costruire qualcosa di utile per l’insieme.

Fare domande, non sui fatti ma sui significati, favorisce relazioni sane dove i rimandi, le costruzioni dei punti di vista e gli universi di ciascuno si affacciano e si integrano senza escludersi. 
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