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'Intelligenza artificiale e coaching' di Paolo Marinovich

3/6/2020

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Credo che sia utile approfondire il tema dell’intelligenza artificiale e delle sue implicazioni anche nel mondo del coaching e di altre discipline di supporto. Naturalmente, se si crede nell’aggiornamento socio-culturale come elemento qualificante della professione.
 
Nel dicembre 2019, il filosofo, giornalista e imprenditore britannico Calum Chace, autore di tre libri sulla materia, ha scritto che da qui al 2030 l'intelligenza artificiale simbolica – quella  che egli definisce la “buona vecchia intelligenza artificiale” – evolverà verso l'apprendimento automatico e le macchine inizieranno a mostrare segni di buon senso. Tuttavia, saremo ancora – dice – molto lontani dall'intelligenza generale artificiale, o AGI; ossia dal disporre di una macchina con tutte le capacità cognitive di un essere umano adulto.

​Potremmo pensare che l’AGI starà all’AI, la “buona vecchia intelligenza artificiale”, come il calcolo infinitesimale sta all’aritmetica elementare. Dovremmo allora preoccuparci di questo scenario? Se l’AGI fosse una macchina dotata delle stesse capacità cognitive di un essere umano, cioè assimilabile ai nostri simili, alle creature (apparentemente) più evolute con cui abbiamo a che fare già oggi, perché dovremmo preoccuparcene?
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Ciò che farà la differenza non sarà soltanto la velocità di elaborazione di miliardi di dati, ma l’assenza di emozioni e la presenza, invece, di un sistema di riferimento, per quanto complesso, pre-giudiziale. Immagino che le risposte di una macchina dotata di AGI rifletteranno valori e intenzioni di chi – persona o organizzazione – l’avrà costruita, ma non generata; programmata, ma non educata; collaudata, ma nella rigidità di algoritmi astratti e non nella libertà di scelte responsabili.

Eppure, si chiede Chace, sapremo – e come – quando sarà veramente “nata” la prima macchina dotata di AGI? Il motivo della domanda è che “qualunque cosa così intelligente da essere etichettata come super-intelligente, lo sarebbe sicuramente al punto da non rivelare la sua esistenza fino a quando non abbia preso le precauzioni necessarie per garantire la propria sopravvivenza”.

In altre parole, qualsiasi macchina super-intelligente, in grado di superare un test di Turing, sarebbe così intelligente da decidere di non superarlo! Vale a dire, banalizzando parecchio l’esempio, che una macchina AGI fingerebbe di fallire un riconoscimento CAPTCHA (quanti ne incontriamo e dobbiamo superare per accedere a certi siti web?) o altro test comparativo, anche quando avesse la certezza di saperlo superare; e questo suggerisce che l’AGI potrebbe essere in azione “dissimulata” già oggi.

Ovviamente io non so se sia così, ma l’argomentazione non mi pare fantascientifica e qualche possibile effetto lo vedo. In verità, alcune inquietudini e malesseri di clienti – senso di subordinazione ai sistemi, impossibilità di modificare scelte operate da macchine, percezione di scarso valore del proprio operato – se non frequenti, iniziano a essere di attualità. Qual è il modo più efficace di affrontarle nel coaching o nel counseling?
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