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'Il tocco, un magico linguaggio espressivo' di Maria Cristina Caccia

30/10/2015

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Immagine
"Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista".
(San Francesco d'Assisi)

 
Le mani sono le prolunghe dell'anima protese verso il mondo intorno a noi. Ci permettono di accarezzare, toccare, "sentire" attraverso le sensazioni che da esse arrivano al sistema nervoso centrale che le elabora e ne dà un significato, un rimando emozionale.
Il contatto è un linguaggio molto intimo tra due persone: esso attraversa uno spazio personale delicato, dove serve un "tacito permesso", espresso con l'accoglienza, l'apertura e un sorriso di "benvenuto" oppure con la chiusura e uno sguardo sfuggente, che si ritrae, facendo un passo indietro.
Perché alcuni di noi danno la possibilità di essere avvicinati mentre altri si allontanano? Dipende molto dai vissuti interiori, dal grado di diffidenza sviluppato nei confronti dell'altro, dallo stile educativo e comunicativo, dallo stato emotivo, dalla incapacità di far entrare la fiducia nella propria vita, forse perché proprio la vita stessa ha dato segnali negativi in tal senso o come tali sono stati semplicemente "male interpretati".In un percorso formativo di coaching o counselling l'esperienza del contatto con l'altro è davvero affascinante: essere protagonisti di un un itinerario psicocorporeo permette di osservarsi e di osservare chi ci sta di fronte, di tenere lo sguardo, di cogliere segnali emotivi, di cogliere noi stessi mentre depositiamo la nostra attenzione su un'altra persona che, a sua volta, mette in campo la medesima dinamica. Si dicono molte cose, guardandosi negli occhi: si può dialogare in un silenzio eloquente, in realtà, si può rispettare il non detto e condividerne il tempo, l'intensità.

Mani che, simbolicamente, si spostano sul collo, lungo la schiena, sulle spalle, sulla vita, mimano tocchi leggeri, carezze che vanno in profondità e toccano parti di noi inconsce, profonde, che, a contatto con l'acqua, ad esempio, emergono, quasi si sentissero desiderose di galleggiare con i nostri pensieri coscienti e con le nostre piccole consapevolezze limitate, ma ancorate a certezze che usiamo come braccioli per rimanere in equilibrio.
​
Come coach o counsellor dovremmo essere in grado di mantenere un'equa distanza dal cliente, per non invadere il suo spazio personale, quasi a comunicargli: "Non ti preoccupare, sono qui per aiutarti, di me ti puoi fidare". Questo rispetto lo si impara grazie all'educazione psicocorporea, favorita da esercizi in acqua oppure in aula, in gruppo o individuali, in cui sperimentare sia la vicinanza sia la lontananza dall'altro, dedicando attenzione anche al proprio equilibrio e cercando di "aprire delle porte". Trovare le chiavi è un'abilità che si affina con la pratica e con la costanza, con lo studio e la messa in discussione di se stessi per attivare cambiamenti e diventare come l'acqua, fluida e trasparente. Così saremmo in grado di fare da specchio a chi si affiderà a noi, per cercare un'oasi di serenità nel proprio deserto.

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