
“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.” (Eugenio Montale – Satura)
Ho sceso milioni di scale con il peso del tuo sguardo sulle spalle. Non era un braccio a sorreggermi, non era una mano a stringere la mia. Era piuttosto un’ombra, il riflesso di una presenza ingombrante eppure evanescente.
Mamma.
Ti chiamo così, ancora oggi, nonostante tutto. Nonostante le parole taglienti, le richieste impossibili, il costante bisogno di piegarmi sotto il peso del tuo amore condizionato. Ti chiamo così perché mamma è un nome che porta con sé la speranza di qualcosa di dolce, di protettivo, di caldo. Eppure, il nostro viaggio insieme non è mai stato un sentiero fiorito. È stato un labirinto di specchi, un continuo rimando alle tue aspettative, alla tua insaziabile fame di conferme, al tuo bisogno di essere il centro attorno al quale ogni cosa doveva gravitare. Io, per te, non ero una persona: ero uno specchio nel quale cercavi di riflettere la tua grandezza, il tuo bisogno di essere amata senza mai concedere nulla in cambio. E quando quello specchio non restituiva l’immagine che desideravi, mi sminuivi, mi inculcavi l’idea di essere fragile, sbagliata, indegna, inadeguata. Hai tentato di rendermi uguale a te, di trascinarmi nel tuo stesso abisso per giustificare il tuo comportamento deviato, anaffettivo e crudele. Se io fossi diventata te, allora il tuo dolore avrebbe trovato una scusa, una conferma, un senso.
Ma io ho scelto di essere diversa. Ho scelto di spezzare quella catena.
L’assenza di un abbraccio
Quando ero bambina, cercavo il tuo sguardo come si cerca il sole nelle giornate invernali, seduta accanto al camino acceso nella nostra casa in montagna. Guardavo le fiamme danzare, sperando che il loro calore potesse colmare l'assenza del tuo abbraccio. Fuori, la neve cadeva silenziosa, coprendo ogni cosa con il suo manto candido, mentre dentro di me si accumulava un gelo che nessun fuoco riusciva a sciogliere. Ti osservavo, sperando in un gesto di affetto, in uno sguardo che potesse scaldarmi più del legno che ardeva davanti a me. Ma il tuo amore era sempre un miraggio, qualcosa che intravedevo da lontano, ma che svaniva non appena mi avvicinavo troppo.
Le tue parole erano sempre lame sottili, velate di condiscendenza. "Puoi fare di meglio", "Non è abbastanza", "Sei troppo sensibile". Crescere con te è stato un continuo rincorrere qualcosa che non sarebbe mai arrivato, una sete mai placata, una continua fuga da me stessa per cercare di compiacerti, sperando di arrivare almeno ad ottenere una briciola di affetto.
Ho sceso milioni di scale aspettando di sentirmi accolta, aspettando che la tua voce perdesse il tono freddo del giudizio e si sciogliesse in una carezza. Ma quella carezza non è mai arrivata. E così ho imparato a costruire muri, a difendermi, a chiudere il cuore per non sentire il dolore di quel rifiuto costante. Ho imparato a essere forte, sì, ma a quale prezzo? Quella forza, forgiata nella solitudine emotiva, è diventata una corazza che mi ha impedito per molti anni di fidarmi, di lasciarmi amare davvero. Negli stessi anni bui ho compreso che la famiglia non è solo quella in cui nasci, ma è quella che scegli, le persone che decidi di accogliere nel tuo cuore, quelle che ti insegnano che l'amore esiste e può essere incondizionato. Ho dovuto imparare e auto educarmi alla fiducia, cercandola altrove, costruendo legami che non fossero basati sulla paura o sul bisogno di approvazione. Ho imparato che non posso più rincorrere le aspettative non soddisfatte né restare imprigionata nei limiti emotivi che mi hai imposto e che inconsciamente ho replicato in molti rapporti di amore e di amicizia. Posso andare oltre, posso abbracciare la mia storia senza lasciare che definisca il mio futuro. In questo cammino, ho scoperto che la mia forza non sta solo nella resistenza, ma anche nella capacità di aprirmi alla possibilità di un amore diverso, sano, libero. E questo è il dono più grande che posso fare a me stessa e tramandare alle mie figlie.
Il perdono come cammino, non come meta
Il perdono non è un atto unico, non è una firma in calce a un contratto. È un cammino, un processo, un’onda che va e viene nel mare della vita. Per anni ho pensato che perdonarti significasse assolvere, dimenticare, cancellare il passato: il perdono vero non è questo, non vi trovavo sollievo né libertà. Perdonarti non significa giustificarti, trovare il significato recondito nelle tue azioni, costringermi a esserti grata per avermi donato la vita: significa liberare me stessa, la mia mente, il mio spirito. Significa scegliere di non lasciare che il dolore che mi hai inflitto continui a dettare le regole e gli schemi della mia vita. Significa riconoscere che, anche nelle ombre più cupe, ho trovato la forza di diventare comunque chi sono.
Il perdono è uno spazio interiore che si crea per smettere di portare il peso del rancore, un atto di gratitudine per me stessa, per la mia libertà e per la vita che mi scorre nelle vene. Ho trasformato il rancore in consapevolezza, la rabbia in resilienza, l'abbandono in intelligenza emotiva.
Perdonarti è il dono che mi concedo per non restare prigioniera del passato, per camminare leggera e per insegnare alle mie figlie che l'amore vero non nasce dalla paura, ma dalla scelta di essere liberi.
Non è stato facile arrivare fin qui. Ho dovuto scavare dentro me stessa, affrontare le ombre e colmare i vuoti che mi avevi lasciato dentro: ho lavorato per riconoscere la bambina ferita che ancora piangeva nel mio cuore. Ho dovuto darle voce, ascoltarla, abbracciarla, accoglierla come tu non avevi mai fatto. Ho dovuto imparare a dare a me stessa quell’amore che tu non eri capace di offrirmi, imparando nel percorso che cos’è l’amore.
Il self-coaching: ritrovare il proprio centro
Nel mio cammino di guarigione ho incontrato il self-coaching, uno strumento prezioso per rivedere la mia storia e riscriverne il senso.
All’inizio, ovviamente, avida di trovare un senso, un cambiamento, mi sono poste le domande sbagliate, le stesse che mi ponevo in gioventù:
Il silenzio che guarisce
Ora cammino fiera senza la tua ombra a sorvegliarmi. Non cerco più la tua approvazione, né vivo nel desiderio incolmabile di un abbraccio mai ricevuto. Per troppo tempo ho atteso un gesto che non è mai arrivato, ho sperato in un riconoscimento che si è dissolto come nebbia al mattino. Oggi, quando il silenzio mi avvolge, trovo la mia voce, la mia verità, la mia forza.
Non attendo più parole che non arriveranno, né l'eco delle tue frasi sussurrate con freddezza. Non cerco più di modellarmi per rientrare in un'immagine che non mi appartiene. Ho scoperto che la mia forza non sta nel cercare il tuo consenso, ma nel riconoscere il mio valore indipendentemente da te. Ho imparato che la mia esistenza non è definita dalle tue mancanze, ma dalla mia capacità di trasformare il dolore in crescita.
E, paradossalmente, è in questo distacco che trovo finalmente un senso di pace. Una pace che nasce dal sapere che non ho più la necessità di mendicare affetto, che il mio cuore può essere colmo di amore anche senza le conferme di nessuno. Mi guardo allo specchio e vedo non più la bambina ferita, ma una donna che ha trovato il coraggio di amarsi da sola. Anzi, ho iniziato a scrivere lettere a quella bambina dentro di me, lettere in cui le promettevo di proteggerla, di amarla, di darle tutto ciò che le era stato negato. Le ho dato significato, valore, amore. Ho imparato a visualizzare il perdono non come un dono per te, ma come un dono per me stessa e per la mia bambina interiore ricordandole sempre: “Tu sei unica bambina mia. Ricordatelo sempre!”.
Ho sceso le scale dando la mano alla mia bambina interiore, guardandola negli occhi con amore. La mia bambina ora sorride, emana luce e amore. Nel suo sguardo ho ritrovato tutto ciò che mi è stato negato, ma che ora appartiene a me, intero e inviolato.
Non so se un giorno potrò guardare anche te senza provare un eco di dolore. Ma so che oggi posso guardarmi allo specchio e dichiarare all'universo la mia libertà. Posso osservare il mio riflesso senza il peso della tua presenza costante nella mia mente, senza la paura di non essere abbastanza. Posso riconoscere in me stessa la resilienza di chi ha attraversato il fuoco senza lasciarsi consumare, la forza di chi ha trasformato il dolore in possibilità. E questo è il primo vero passo verso la libertà, un passo che mi appartiene, che non devo più chiedere in prestito alla tua approvazione.
Quindi Mamma, ti perdono.
Ti perdono non perché te lo meriti, ma perché io merito di andare oltre, di essere libera dal dolore che ci ha incatenate per così tanto tempo.
Ti perdono con la consapevolezza che tu stessa sei stata prigioniera di un passato che non hai saputo superare, di ferite che hai riversato su di me senza averle mai curate.
Ti perdono perché la mia esistenza non può più essere anch’essa un continuo rimando al passato, un'eco di ferite che non si rimarginano.
Ti perdono perché voglio camminare leggera, senza il peso delle parole mai dette, delle carezze negate, dei sogni infranti. Non è un perdono che cancella, ma uno che trasforma: non dimentico il dolore, ma lo accetto, lo accolgo come parte della mia storia. La mia vita è troppo preziosa per essere spesa nel rancore, e il mio cuore merita di essere leggero.
Ti perdono perché, nonostante tutto, c'è un frammento di gratitudine che resiste: il fatto che tu mi abbia dato la vita e che tu mia abbia dato proprio questa vita. Ho dovuto ribellarmi perché tu non hai saputo amarmi e accogliermi, ma riconosco che tu mi hai comunque messo al mondo, e con questo dono, oggi, scelgo di costruire il mio riscatto.
Ti perdono perché finalmente ho capito che la mia felicità non dipende da te, ma dalla mia capacità di riempire i vuoti con la mia luce, di riconoscere la mia forza
Ti perdono perché scelgo di non portare avanti la catena di dolore che ci ha legate per così tanto tempo, per compassione verso entrambe. Ho il dovere di liberarmi non solo per me stessa, ma anche per le mie figlie, per le donne che verranno dopo di me. Non voglio che portino sulle spalle il peso di antiche ferite, di parole non dette, di abbracci mai dati. Voglio che crescano sapendo di essere amate senza condizioni, libere di essere sé stesse senza dover cercare l’approvazione negli occhi di nessuno. Rompendo queste catene, libero a mia volta le mie ragazze, permettendo loro di camminare leggere, di diventare donne e madri diverse, consapevoli del loro valore e capaci di donare amore senza paura. Questo è il mio vero riscatto, la mia eredità più grande: scegliere di essere il punto di svolta, il ramo che si piega al vento senza spezzarsi, il fiume che trova la sua strada anche tra le rocce più dure.
Non significa che dimenticherò o che cercherò di colmare i vuoti che hai lasciato. Quei vuoti resteranno, ma ora li riempirò con la mia luce, con il mio amore per me stessa. Ti perdono perché il mio cuore merita di essere lieve, perché il mio futuro non deve essere scritto con l’inchiostro del risentimento.
E mentre scendo queste scale, finalmente libera, sento che la mia voce si fa più forte. Non ho più bisogno di cercare il tuo sguardo, né di inseguire il tuo amore. Mi basta sapere che, ad ogni gradino, sto scegliendo me stessa. Che a ogni gradino dichiaro all’universo: “Sono libera. Merito di essere libera, di essere amata, di essere vista. Non permetterò che questa esperienza resti chiusa, nascosta nell’ombra di un cassetto, inutile. Ogni passo, ogni sfida, ogni cicatrice ha un valore che non lascerò svanire. La mia vita sarà una luce per chi, come me, porta con sé il peso di un passato che sembra troppo grande da sopportare. Sarò il sostegno per chi cerca di crescere, di comprendere, di trasformarsi, affinché anche il loro cammino diventi più lieve. E in questo percorso, troverò un nuovo significato per me stessa, poiché ogni anima che aiuto a sollevarsi mi permette di elevarmi assieme ad essa. Posso farcela e ce la farò!”
Ti perdono e ti ringrazio, perché nel mare in tempesta della sofferenza ho imparato a nuotare, a restare a galla quando le onde si facevano troppo alte, a respirare anche quando l'acqua mi chiudeva la gola. Ti ringrazio perché ogni assenza, ogni parola negata, ogni muro che hai eretto tra noi è diventato un gradino che ho usato per salire più in alto, per scoprire la luce oltre l’ombra, per costruire me stessa con mani salde e cuore vigile.
Mi hai lasciata sola, ma nella solitudine ho imparato a dialogare con la mia anima. Mi hai negato il calore, ma nel gelo ho scoperto l’importanza di un abbraccio sincero. Mi hai spezzata mille volte, ma ogni frattura è diventata la mappa delle mie cicatrici, e ora le guardo con orgoglio, perché raccontano di una donna che non si è arresa, che ha trovato la sua strada nella nebbia del dolore.
Ho imparato ad amare.
Ho scelto di essere madre in un modo diverso, di dare alle mie figlie ciò che a me è stato negato, di insegnare loro che l’amore non è una moneta di scambio, ma un dono che si offre senza paura. Ho insegnato loro che le parole possono essere carezze e non spine, che uno sguardo può accogliere e non ferire, che esistere non significa chiedere permesso.
E in questo processo ho trovato la mia verità: voglio basare la mia vita sull’amore.
L’amore per me stessa, prima di tutto. Perché solo riempiendo il mio cuore posso donare agli altri senza svuotarmi. L’amore per il mondo, per chi attraversa la notte in cerca di un’alba, per chi inciampa e si rialza, per chi ancora non sa di poter sbocciare. Voglio mettere al servizio degli altri il cammino che ho percorso, la forza che ho trovato, il fuoco che ho alimentato dentro di me.
E ora che la tua mente danza leggera tra luoghi immaginari, sospesa tra questa vita e l’ignoto, mamma, ti guardo da lontano e sussurro il mio augurio.
Che il tuo spirito abbia trovato saggezza nel lungo cammino, che abbia compreso ciò che qui è sfuggito, che la lezione si sia finalmente scritta nelle profondità della tua anima.
Spero che tu abbia capito che l’amore si può donare, che non è una moneta da barattare, né un’arma da brandire. Che non serve strappare brandelli di luce da chi ti circonda per sentirti meno fragile, meno vuota. Che non è necessario rubare il calore degli altri per scaldare il proprio gelo interiore.
Spero che tu abbia compreso che le anime belle non vanno lacerate per placare il proprio dolore. Che la vita non si prende, si condivide. Che il buio che hai seminato nel cuore di chi ti amava non era inevitabile, che avresti potuto scegliere diversamente. Che la bellezza non si distrugge, ma si protegge, si esalta, si celebra.
E ora, mentre i tuoi piedi si stanno sollevando pian piano da questa terra, mentre il tuo corpo si allenta dalla presa di questa esistenza, voglio credere che tu stia vedendo tutto con occhi nuovi. Che tu stia comprendendo che la luce non è mai stata fuori di te, ma sempre dentro, solo soffocata dalla paura e dal rimpianto. Che l’io è più forte di qualsiasi tempesta, più saldo di ogni colpo del destino.
Che avresti potuto combattere, invece di cedere. Che avresti potuto vincere le tue battaglie, invece di arrenderti all’ombra.
Ora sei oltre il tempo, oltre il rimpianto.
E mentre ti rivolgi all’ultimo respiro, ti auguro di portare con te un frammento di questa verità: che si può donare luce e non solo oscurità. Che anche il più profondo degli abissi può essere colmato d’amore. Che questa lezione, se non in questa vita, possa brillare nella prossima.
E allora sì, grazie. Grazie per le battaglie che mi hai imposto, per le porte sbattute in faccia, per la mancanza di fiducia che mi ha costretta a costruire la mia. Grazie perché, nonostante te, o forse proprio grazie a te, sono diventata una donna che sa chi è. Una madre che ama senza condizioni. Una persona che non ha più paura del suo riflesso nello specchio.
Le mie ragazze dicono che sono una madre meravigliosa, e lo credo. Proprio perché anche loro sentono che ho scelto di rompere il ciclo, di non trasmettere loro il peso delle mie ferite. Ho spezzato le catene e ho lasciato che le mie radici affondassero in una terra più fertile, capace di nutrire e dare frutti e non di soffocare.
Come il fiore di loto che emerge dal fango, mi sono sollevata dall’oscurità per sbocciare alla luce del sole. Ora manifesto la mia bellezza al mondo, senza più paura, senza più avere bisogno di nascondermi perché non sono abbastanza.
Ti perdono. Ti ringrazio. E infine, mi libero.
Sono libera, Mamma: è la mia più grande vittoria.
Ho sceso milioni di scale con la tua voce nella testa.
Oggi, per la prima volta, le scendo con la mia.
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.” (Eugenio Montale – Satura)
Ho sceso milioni di scale con il peso del tuo sguardo sulle spalle. Non era un braccio a sorreggermi, non era una mano a stringere la mia. Era piuttosto un’ombra, il riflesso di una presenza ingombrante eppure evanescente.
Mamma.
Ti chiamo così, ancora oggi, nonostante tutto. Nonostante le parole taglienti, le richieste impossibili, il costante bisogno di piegarmi sotto il peso del tuo amore condizionato. Ti chiamo così perché mamma è un nome che porta con sé la speranza di qualcosa di dolce, di protettivo, di caldo. Eppure, il nostro viaggio insieme non è mai stato un sentiero fiorito. È stato un labirinto di specchi, un continuo rimando alle tue aspettative, alla tua insaziabile fame di conferme, al tuo bisogno di essere il centro attorno al quale ogni cosa doveva gravitare. Io, per te, non ero una persona: ero uno specchio nel quale cercavi di riflettere la tua grandezza, il tuo bisogno di essere amata senza mai concedere nulla in cambio. E quando quello specchio non restituiva l’immagine che desideravi, mi sminuivi, mi inculcavi l’idea di essere fragile, sbagliata, indegna, inadeguata. Hai tentato di rendermi uguale a te, di trascinarmi nel tuo stesso abisso per giustificare il tuo comportamento deviato, anaffettivo e crudele. Se io fossi diventata te, allora il tuo dolore avrebbe trovato una scusa, una conferma, un senso.
Ma io ho scelto di essere diversa. Ho scelto di spezzare quella catena.
L’assenza di un abbraccio
Quando ero bambina, cercavo il tuo sguardo come si cerca il sole nelle giornate invernali, seduta accanto al camino acceso nella nostra casa in montagna. Guardavo le fiamme danzare, sperando che il loro calore potesse colmare l'assenza del tuo abbraccio. Fuori, la neve cadeva silenziosa, coprendo ogni cosa con il suo manto candido, mentre dentro di me si accumulava un gelo che nessun fuoco riusciva a sciogliere. Ti osservavo, sperando in un gesto di affetto, in uno sguardo che potesse scaldarmi più del legno che ardeva davanti a me. Ma il tuo amore era sempre un miraggio, qualcosa che intravedevo da lontano, ma che svaniva non appena mi avvicinavo troppo.
Le tue parole erano sempre lame sottili, velate di condiscendenza. "Puoi fare di meglio", "Non è abbastanza", "Sei troppo sensibile". Crescere con te è stato un continuo rincorrere qualcosa che non sarebbe mai arrivato, una sete mai placata, una continua fuga da me stessa per cercare di compiacerti, sperando di arrivare almeno ad ottenere una briciola di affetto.
Ho sceso milioni di scale aspettando di sentirmi accolta, aspettando che la tua voce perdesse il tono freddo del giudizio e si sciogliesse in una carezza. Ma quella carezza non è mai arrivata. E così ho imparato a costruire muri, a difendermi, a chiudere il cuore per non sentire il dolore di quel rifiuto costante. Ho imparato a essere forte, sì, ma a quale prezzo? Quella forza, forgiata nella solitudine emotiva, è diventata una corazza che mi ha impedito per molti anni di fidarmi, di lasciarmi amare davvero. Negli stessi anni bui ho compreso che la famiglia non è solo quella in cui nasci, ma è quella che scegli, le persone che decidi di accogliere nel tuo cuore, quelle che ti insegnano che l'amore esiste e può essere incondizionato. Ho dovuto imparare e auto educarmi alla fiducia, cercandola altrove, costruendo legami che non fossero basati sulla paura o sul bisogno di approvazione. Ho imparato che non posso più rincorrere le aspettative non soddisfatte né restare imprigionata nei limiti emotivi che mi hai imposto e che inconsciamente ho replicato in molti rapporti di amore e di amicizia. Posso andare oltre, posso abbracciare la mia storia senza lasciare che definisca il mio futuro. In questo cammino, ho scoperto che la mia forza non sta solo nella resistenza, ma anche nella capacità di aprirmi alla possibilità di un amore diverso, sano, libero. E questo è il dono più grande che posso fare a me stessa e tramandare alle mie figlie.
Il perdono come cammino, non come meta
Il perdono non è un atto unico, non è una firma in calce a un contratto. È un cammino, un processo, un’onda che va e viene nel mare della vita. Per anni ho pensato che perdonarti significasse assolvere, dimenticare, cancellare il passato: il perdono vero non è questo, non vi trovavo sollievo né libertà. Perdonarti non significa giustificarti, trovare il significato recondito nelle tue azioni, costringermi a esserti grata per avermi donato la vita: significa liberare me stessa, la mia mente, il mio spirito. Significa scegliere di non lasciare che il dolore che mi hai inflitto continui a dettare le regole e gli schemi della mia vita. Significa riconoscere che, anche nelle ombre più cupe, ho trovato la forza di diventare comunque chi sono.
Il perdono è uno spazio interiore che si crea per smettere di portare il peso del rancore, un atto di gratitudine per me stessa, per la mia libertà e per la vita che mi scorre nelle vene. Ho trasformato il rancore in consapevolezza, la rabbia in resilienza, l'abbandono in intelligenza emotiva.
Perdonarti è il dono che mi concedo per non restare prigioniera del passato, per camminare leggera e per insegnare alle mie figlie che l'amore vero non nasce dalla paura, ma dalla scelta di essere liberi.
Non è stato facile arrivare fin qui. Ho dovuto scavare dentro me stessa, affrontare le ombre e colmare i vuoti che mi avevi lasciato dentro: ho lavorato per riconoscere la bambina ferita che ancora piangeva nel mio cuore. Ho dovuto darle voce, ascoltarla, abbracciarla, accoglierla come tu non avevi mai fatto. Ho dovuto imparare a dare a me stessa quell’amore che tu non eri capace di offrirmi, imparando nel percorso che cos’è l’amore.
Il self-coaching: ritrovare il proprio centro
Nel mio cammino di guarigione ho incontrato il self-coaching, uno strumento prezioso per rivedere la mia storia e riscriverne il senso.
All’inizio, ovviamente, avida di trovare un senso, un cambiamento, mi sono poste le domande sbagliate, le stesse che mi ponevo in gioventù:
- Chi sei tu mamma?
- Perché e come sei diventata così?
- Che cosa ti ho fatto per essere trattata in questo modo da te?
- Perché non sono mai abbastanza per te?
- Chi sono io, al di là della tua ombra e delle memorie del passato?
- C’è l’amore in me, cosa vuol dire, come lo sento?
- Come posso liberarmi dal rancore, dalla rabbia, dai vuoti e dalle carenze affettive che mi hai lasciato negli anni?
- Cosa voglio per me, ora che il passato non ha più catene?
Il silenzio che guarisce
Ora cammino fiera senza la tua ombra a sorvegliarmi. Non cerco più la tua approvazione, né vivo nel desiderio incolmabile di un abbraccio mai ricevuto. Per troppo tempo ho atteso un gesto che non è mai arrivato, ho sperato in un riconoscimento che si è dissolto come nebbia al mattino. Oggi, quando il silenzio mi avvolge, trovo la mia voce, la mia verità, la mia forza.
Non attendo più parole che non arriveranno, né l'eco delle tue frasi sussurrate con freddezza. Non cerco più di modellarmi per rientrare in un'immagine che non mi appartiene. Ho scoperto che la mia forza non sta nel cercare il tuo consenso, ma nel riconoscere il mio valore indipendentemente da te. Ho imparato che la mia esistenza non è definita dalle tue mancanze, ma dalla mia capacità di trasformare il dolore in crescita.
E, paradossalmente, è in questo distacco che trovo finalmente un senso di pace. Una pace che nasce dal sapere che non ho più la necessità di mendicare affetto, che il mio cuore può essere colmo di amore anche senza le conferme di nessuno. Mi guardo allo specchio e vedo non più la bambina ferita, ma una donna che ha trovato il coraggio di amarsi da sola. Anzi, ho iniziato a scrivere lettere a quella bambina dentro di me, lettere in cui le promettevo di proteggerla, di amarla, di darle tutto ciò che le era stato negato. Le ho dato significato, valore, amore. Ho imparato a visualizzare il perdono non come un dono per te, ma come un dono per me stessa e per la mia bambina interiore ricordandole sempre: “Tu sei unica bambina mia. Ricordatelo sempre!”.
Ho sceso le scale dando la mano alla mia bambina interiore, guardandola negli occhi con amore. La mia bambina ora sorride, emana luce e amore. Nel suo sguardo ho ritrovato tutto ciò che mi è stato negato, ma che ora appartiene a me, intero e inviolato.
Non so se un giorno potrò guardare anche te senza provare un eco di dolore. Ma so che oggi posso guardarmi allo specchio e dichiarare all'universo la mia libertà. Posso osservare il mio riflesso senza il peso della tua presenza costante nella mia mente, senza la paura di non essere abbastanza. Posso riconoscere in me stessa la resilienza di chi ha attraversato il fuoco senza lasciarsi consumare, la forza di chi ha trasformato il dolore in possibilità. E questo è il primo vero passo verso la libertà, un passo che mi appartiene, che non devo più chiedere in prestito alla tua approvazione.
Quindi Mamma, ti perdono.
Ti perdono non perché te lo meriti, ma perché io merito di andare oltre, di essere libera dal dolore che ci ha incatenate per così tanto tempo.
Ti perdono con la consapevolezza che tu stessa sei stata prigioniera di un passato che non hai saputo superare, di ferite che hai riversato su di me senza averle mai curate.
Ti perdono perché la mia esistenza non può più essere anch’essa un continuo rimando al passato, un'eco di ferite che non si rimarginano.
Ti perdono perché voglio camminare leggera, senza il peso delle parole mai dette, delle carezze negate, dei sogni infranti. Non è un perdono che cancella, ma uno che trasforma: non dimentico il dolore, ma lo accetto, lo accolgo come parte della mia storia. La mia vita è troppo preziosa per essere spesa nel rancore, e il mio cuore merita di essere leggero.
Ti perdono perché, nonostante tutto, c'è un frammento di gratitudine che resiste: il fatto che tu mi abbia dato la vita e che tu mia abbia dato proprio questa vita. Ho dovuto ribellarmi perché tu non hai saputo amarmi e accogliermi, ma riconosco che tu mi hai comunque messo al mondo, e con questo dono, oggi, scelgo di costruire il mio riscatto.
Ti perdono perché finalmente ho capito che la mia felicità non dipende da te, ma dalla mia capacità di riempire i vuoti con la mia luce, di riconoscere la mia forza
Ti perdono perché scelgo di non portare avanti la catena di dolore che ci ha legate per così tanto tempo, per compassione verso entrambe. Ho il dovere di liberarmi non solo per me stessa, ma anche per le mie figlie, per le donne che verranno dopo di me. Non voglio che portino sulle spalle il peso di antiche ferite, di parole non dette, di abbracci mai dati. Voglio che crescano sapendo di essere amate senza condizioni, libere di essere sé stesse senza dover cercare l’approvazione negli occhi di nessuno. Rompendo queste catene, libero a mia volta le mie ragazze, permettendo loro di camminare leggere, di diventare donne e madri diverse, consapevoli del loro valore e capaci di donare amore senza paura. Questo è il mio vero riscatto, la mia eredità più grande: scegliere di essere il punto di svolta, il ramo che si piega al vento senza spezzarsi, il fiume che trova la sua strada anche tra le rocce più dure.
Non significa che dimenticherò o che cercherò di colmare i vuoti che hai lasciato. Quei vuoti resteranno, ma ora li riempirò con la mia luce, con il mio amore per me stessa. Ti perdono perché il mio cuore merita di essere lieve, perché il mio futuro non deve essere scritto con l’inchiostro del risentimento.
E mentre scendo queste scale, finalmente libera, sento che la mia voce si fa più forte. Non ho più bisogno di cercare il tuo sguardo, né di inseguire il tuo amore. Mi basta sapere che, ad ogni gradino, sto scegliendo me stessa. Che a ogni gradino dichiaro all’universo: “Sono libera. Merito di essere libera, di essere amata, di essere vista. Non permetterò che questa esperienza resti chiusa, nascosta nell’ombra di un cassetto, inutile. Ogni passo, ogni sfida, ogni cicatrice ha un valore che non lascerò svanire. La mia vita sarà una luce per chi, come me, porta con sé il peso di un passato che sembra troppo grande da sopportare. Sarò il sostegno per chi cerca di crescere, di comprendere, di trasformarsi, affinché anche il loro cammino diventi più lieve. E in questo percorso, troverò un nuovo significato per me stessa, poiché ogni anima che aiuto a sollevarsi mi permette di elevarmi assieme ad essa. Posso farcela e ce la farò!”
Ti perdono e ti ringrazio, perché nel mare in tempesta della sofferenza ho imparato a nuotare, a restare a galla quando le onde si facevano troppo alte, a respirare anche quando l'acqua mi chiudeva la gola. Ti ringrazio perché ogni assenza, ogni parola negata, ogni muro che hai eretto tra noi è diventato un gradino che ho usato per salire più in alto, per scoprire la luce oltre l’ombra, per costruire me stessa con mani salde e cuore vigile.
Mi hai lasciata sola, ma nella solitudine ho imparato a dialogare con la mia anima. Mi hai negato il calore, ma nel gelo ho scoperto l’importanza di un abbraccio sincero. Mi hai spezzata mille volte, ma ogni frattura è diventata la mappa delle mie cicatrici, e ora le guardo con orgoglio, perché raccontano di una donna che non si è arresa, che ha trovato la sua strada nella nebbia del dolore.
Ho imparato ad amare.
Ho scelto di essere madre in un modo diverso, di dare alle mie figlie ciò che a me è stato negato, di insegnare loro che l’amore non è una moneta di scambio, ma un dono che si offre senza paura. Ho insegnato loro che le parole possono essere carezze e non spine, che uno sguardo può accogliere e non ferire, che esistere non significa chiedere permesso.
E in questo processo ho trovato la mia verità: voglio basare la mia vita sull’amore.
L’amore per me stessa, prima di tutto. Perché solo riempiendo il mio cuore posso donare agli altri senza svuotarmi. L’amore per il mondo, per chi attraversa la notte in cerca di un’alba, per chi inciampa e si rialza, per chi ancora non sa di poter sbocciare. Voglio mettere al servizio degli altri il cammino che ho percorso, la forza che ho trovato, il fuoco che ho alimentato dentro di me.
E ora che la tua mente danza leggera tra luoghi immaginari, sospesa tra questa vita e l’ignoto, mamma, ti guardo da lontano e sussurro il mio augurio.
Che il tuo spirito abbia trovato saggezza nel lungo cammino, che abbia compreso ciò che qui è sfuggito, che la lezione si sia finalmente scritta nelle profondità della tua anima.
Spero che tu abbia capito che l’amore si può donare, che non è una moneta da barattare, né un’arma da brandire. Che non serve strappare brandelli di luce da chi ti circonda per sentirti meno fragile, meno vuota. Che non è necessario rubare il calore degli altri per scaldare il proprio gelo interiore.
Spero che tu abbia compreso che le anime belle non vanno lacerate per placare il proprio dolore. Che la vita non si prende, si condivide. Che il buio che hai seminato nel cuore di chi ti amava non era inevitabile, che avresti potuto scegliere diversamente. Che la bellezza non si distrugge, ma si protegge, si esalta, si celebra.
E ora, mentre i tuoi piedi si stanno sollevando pian piano da questa terra, mentre il tuo corpo si allenta dalla presa di questa esistenza, voglio credere che tu stia vedendo tutto con occhi nuovi. Che tu stia comprendendo che la luce non è mai stata fuori di te, ma sempre dentro, solo soffocata dalla paura e dal rimpianto. Che l’io è più forte di qualsiasi tempesta, più saldo di ogni colpo del destino.
Che avresti potuto combattere, invece di cedere. Che avresti potuto vincere le tue battaglie, invece di arrenderti all’ombra.
Ora sei oltre il tempo, oltre il rimpianto.
E mentre ti rivolgi all’ultimo respiro, ti auguro di portare con te un frammento di questa verità: che si può donare luce e non solo oscurità. Che anche il più profondo degli abissi può essere colmato d’amore. Che questa lezione, se non in questa vita, possa brillare nella prossima.
E allora sì, grazie. Grazie per le battaglie che mi hai imposto, per le porte sbattute in faccia, per la mancanza di fiducia che mi ha costretta a costruire la mia. Grazie perché, nonostante te, o forse proprio grazie a te, sono diventata una donna che sa chi è. Una madre che ama senza condizioni. Una persona che non ha più paura del suo riflesso nello specchio.
Le mie ragazze dicono che sono una madre meravigliosa, e lo credo. Proprio perché anche loro sentono che ho scelto di rompere il ciclo, di non trasmettere loro il peso delle mie ferite. Ho spezzato le catene e ho lasciato che le mie radici affondassero in una terra più fertile, capace di nutrire e dare frutti e non di soffocare.
Come il fiore di loto che emerge dal fango, mi sono sollevata dall’oscurità per sbocciare alla luce del sole. Ora manifesto la mia bellezza al mondo, senza più paura, senza più avere bisogno di nascondermi perché non sono abbastanza.
Ti perdono. Ti ringrazio. E infine, mi libero.
Sono libera, Mamma: è la mia più grande vittoria.
Ho sceso milioni di scale con la tua voce nella testa.
Oggi, per la prima volta, le scendo con la mia.