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Coaching: tracciare nuovi percorsi, Cervello docet! di Maria Cristina Caccia

4/3/2014

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Chi di voi sogna la notte? Qualcuno potrà dire: “Io non ricordo di averlo mai fatto”. Ecco, appunto “non ricordo”. Il fatto che “non si ricordi” non significa che non si sogni. Questo stato di “coscienza” attiva ma non vigile, su cui il nostro sistema “frenante” non ha controllo e che produce rappresentazioni, scene, colori e addirittura suoni, avviene nella fase cosiddetta REM acronimo di Rapid Eye Movement, quell’unica fase nota al feto nel grembo materno. L’incontro con il dott. Angelo Gemignani, Psicofisiologo dell’Università di Pisa, è stato a dir poco emozionante. Affascinante è la parola adatta a tracciare le quasi due giornate in cui il gruppo è stato guidato alla scoperta del Cervello e dell’intricato mondo di reti neuronali che lo contraddistinguono e che hanno, in fase di sonno, un’intensa attività, come una centralina energetica sempre attiva.

Il mattino ci svegliamo con una certa quantità di sinapsi e recettori attivi. Nel corso della giornata, viviamo, introiettiamo, impariamo e tutto ciò che è stato filtrato attraverso il nostro pensiero, così come la rielaborazione della realtà diventa materiale prezioso per la costruzione di nuove sinapsi. Un mondo quasi magico. Di notte, mentre dormiamo, nella nostra Mente avvengono tantissimi processi osservati ogni giorno dalla Scienza, che ancora si interroga. Quanto rumore dev’esserci là dentro eppure noi non lo avvertiamo, è un “rumore silenzioso” per usare un ossimoro calzante.

Ciò che più elettrizza è sapere che “siamo nuovi ogni giorno”. Eh già. Nuovi! E veniamo allo stato di veglia. Quanta fatica facciamo a cambiare un’abitudine? Ci costa, anzi, potremmo andare per gradi: alcune abitudini saremmo anche disposti a cambiarle, ma per altre diventa più difficile e cambiare costa fatica, per non parlare di quelle che non cambieremmo per niente al mondo.

Sulla base di cosa “decidiamo di affezionarci all’una o all’altra abitudine”? Bisogni? Emozioni? Vissuti esperenziali? Schemi? E sulla base di quali motivazioni scegliamo se cambiare o meno? Motivazione, una parola per descrivere un “atteggiamento dell’Anima” non così scontato.

Quindi, noi siamo “portatori di un Cervello che neanche i luminari della neuropsicobiologia riescono a spiegare al 100%”, quindi, deteniamo un “tesoro dal valore inestimabile” e ce lo portiamo appresso quotidianamente, eppure non siamo capaci di svestire gli abiti del “solito modo di fare”? Cosa ci blocca? Sinapsi mancanti? Oppure la “volontà” di cambiare davvero? Perché, poi, dovremmo “cambiare” e cosa? Innanzitutto “il modo di guardare noi stessi” rispetto al mondo e poi il mondo.

Cercare di cambiare le abitudini delle persone e il loro modo di pensare è come scrivere nella neve durante una tormenta. Ogni 20 minuti dovete ricominciare tutto da capo. Solo con una ripetizione costante riuscirete a creare il cambiamento.(Donald L. Dewar)

Siamo spesso ancorati a un'unica visuale e ci perdiamo il contorno, come colui che è affetto da un’anomalia oculare tale per cui il “campo visivo” è limitato. Se fossimo coerenti con la miriade di connessioni sinaptiche che compongono il nostro Cervello, dovremmo vivere la complessità e, quindi, la molteplicità come una regola di vita e questo ci aiuterebbe a vedere più soluzioni rispetto a un problema.

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Cervello. Un apparato col quale pensiamo di pensare. (Ambrose Bierce)

In un percorso di Coaching non si apprendono i meccanismi di costruzione di vescicole contenenti i neurotrasmettitori, ma si percorrono strade che possono avere numerose diramazioni, quasi a simulare un “circuito sinaptico” della nostra esistenza day by day. 

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Il Coach diventa un driver per trovare nuove vie e per studiare nuove traiettorie dalle quali ripartire per ridisegnare un problema che ci assilla e che “non ci fa dormire”. Dal momento che aumentare lo stato di veglia è nocivo all’attività onirica notturna, perché è un dispendio eccessivo di energia psichica, è salutare preservare un buon sonno mettendo a nudo i piccoli “nodi emozionali o cognitivi” che si aggrovigliano in circostanze particolari. Così la dis-identificazione ci aiuta a prendere le distanze da quello che potrebbe diventare un nostro alter-ego infausto, aiutandoci a dire: “Ho un problema, ma non sono quel problema”. Il Cervello registrerà questa nuova consapevolezza e così pure lo stato emotivo imprimerà nuovi stimoli e darà diverse tipologie di risposte.

La nostra Mente è un congegno apparentemente perfetto. Tutto è al posto giusto come in una grande centralina che ci troviamo per Natura e che si alimenta, cresce o deperisce, grazie alla nostra interazione con noi stessi e con gli Altri, nel continuo faccia a faccia con il contesto in cui attiviamo Relazioni e in cui cerchiamo, costantemente, di riconoscerci.

La bellezza in tutto questo è che il nostro Cervello sa perfettamente cosa deve fare, noi, invece, spesso, siamo confusi, ma abbiamo la possibilità di schiarire le nubi e di vedere anche nuovi scenari. E nel frattempo si originano connessioni neurali. E noi non siamo già più quelli di pochi istanti fa. Senza volerlo, abbiamo già iniziato a cambiare. 

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