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Coaching: "Sei un professionista competente? Allora stai bene mentre lavori…. di Susanna Cancelli

10/2/2014

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“..Quando mi accorgo che un esercizio viene eseguito bene?
 Quando non mi accorgo più
dello sforzo che fa il pianista
 nel muovere le dita sulla tastiera”
Hegel


Quando potremmo definire competente un professionista? Competente, nel linguaggio comune, è chi si mostra esperto di un settore e a lui si rivolgono coloro che riconoscono il suo bagaglio di abilità. Competente è [..] chi risolve meglio un problema, un compito o un progetto, mobilitando tutte le componenti della sua persona, valorizzando le “giuste” collaborazioni con gli altri, tenendo conto della complessità teoretica, tecnica  e pratico-morale della situazione da affrontare nel contesto dato, nonché, infine, del giudizio esperto di chi è già stato riconosciuto competente nello stesso campo di azione. (Bertagna, 2004).
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Uhm….tra sfide e abilità

Competente è chi sa gestire nel “qui ed ora” abilità e conoscenze per trovare la risposta ad una situazione nuova. Mobilita così risorse interne cercando tra ciò che conosce, ciò che sa fare e che ha già fatto, rovistando in script esperienziali fino a trovarne uno che meglio possa rispondere alle sfide intorno a sé.

Il professionista che sperimenta un’efficace integrazione tra soggetto e contesto  realizza l’empowerment.

Numerosi fattori[1] contribuiscono a determinare l’empowerment come competenza in atto sono, ad esempio, la coerenza e la pertinenza, che fanno riferimento alla percezione dell’utilità della propria prestazione nel conseguire il risultato atteso; il grado di autonomia percepito; la responsabilità personale rispetto agli eventi e l’essere chiamati a rispondere dei risultati ottenuti.

Se l’empowerment in un certo senso gratifica per l’attività in sé, mettendo in campo l’autostima , il “locus of control” è interno e il soggetto si sente attore dell’interazione adattativa con l’ambiente[2].

Possiamo dire che esiste quindi la possibilità di un equilibrio tra uno stato in cui i processi cognitivi, motivazionali, affettivi interagiscono tra loro, funzionando in modo integrato sia rispetto alle strutture e richieste del mondo interno alla persona che rispetto alle richieste del mondo esterno, in questo caso il contesto di lavoro, in un dato momento? Esiste tale possibilità e si concretizza nell’ Esperienza ottimale o flusso di coscienza.

[1] Cfr. Lazzarini G. Un protagonismo da costruire, Franco Angeli, Milano 2003, pag.183.
[2] Cfr. Inghilleri P. Esperienza soggettiva, Personalità, Evoluzione culturale, UTET, Torino, 1995, pag.49.

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Cosa c’è da fare? Cosa so fare? La competenza genera un’esperienza ottimale

Csikszentmihalyi[1] sostiene che “l’esperienza ottimale può essere definita usando due parametri: “Cosa c’è da fare e cosa si è capaci di fare”.

Condizioni per la realizzazione di un’esperienza ottimale sono:

-          Obiettivi chiari
-          Feed back dal contesto
-          Presenza di un bilanciamento tra opportunità di azione e sfide presentate dall’ambiente esterno e le capacità o abilità costruite attraverso l’esperienza passata, che il professionista esperto ha a disposizione.

La persona competente sa che ciò che fa è fatto bene, sa di saper gestire abilità e conoscenze in modo adeguato….Hegel in un bellissimo passo dell' Estetica si chiede: quando mi accorgo che un esercizio viene eseguito bene? Quando non mi accorgo più dello sforzo che fa il pianista nel muovere le dita sulla tastiera[2].

Il  flusso di coscienza non deve essere considerato una situazione statica in quanto comporta un aumento di complessità sia del mondo interno che del mondo esterno e così la competenza evolve…

[1] Cfr. Inghilleri P. Esperienza soggettiva, Personalità, Evoluzione culturale, UTET, Torino, 1995, pag.73.
[2] Citato da Tagliagambe in “Competenze” nell’ambito del Progetto Napoa, Bergamo, 22/10/01.

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Un esempio di competenza: dal parlare alla competenza comunicativa

“l'importante in una corsa non è il risultato finale ma quello che senti mentre corri”        
Forrest Gump..

Se comunicare è una competenza, essa è la capacità di gestire le sfide del mondo esterno utilizzando le nostre capacità. Se queste sfide sono avvertite come molto alte generano in noi ansia, paura, uscita di energia. In una stanza affollata, parlare a molta gente può costituire una sfida troppo intensa e cominciamo a sudare, tremare, arrossire. L’emozione ci divora. Vorremmo essere bravi come quello là. “Mi ricordo, lui sì che era capace, lo avevo visto” - diciamo a noi stessi. [1] [..]

Al contrario potrebbe accadere di avere strumenti per essere abili comunicatori immersi , però, in contesti davvero poco stimolanti, con la conseguenza dell’insorgere della noia. Sognatori di performance comunicative, non ci svegliamo e continuiamo a immaginare… Ah, se fossi là, invece, guardami qui…. e, intanto, stiamo fermi, stagnanti nel lamento; nasce la noia, si passa alla demotivazione. La vita sembra non avere colore ed esce energia.

La persona competente non solo sa gestire le sfide ma le cerca, ridisegna il contesto esterno in continua ri-creazione. È in cambiamento, cresce. E’ competente della propria competenza e sa progettare il proprio agire. Comunica il piacere di comunicare. E sta bene. Sta bene perché sperimenta l’esperienza ottimale. Il tempo vola. La stanchezza svanisce. Si parlerebbe per ore. Ah, come ci riconosciamo. Siamo noi stessi. Dove eravamo stati fino ad ora? Sappiamo di esistere. La fiducia in noi stessi ci accompagna. E l’energia si ricrea.[2]

L’organizzazione competente

I concetti-chiave di cui ci si serve per capire la logica della competenza sono quelli di processo, evento, contesto.

La competenza diventa l’indice di un nuovo modo di pensare il rapporto tra soggetto, apprendimento e lavoro. Il concetto di metacompetenza si configura nei termini della capacità di adattarsi e riadattarsi alle dinamiche evolutive del proprio sistema ambientale e relazionale di riferimento, costruendo e trasformando continuamente i propri modelli di conoscenza e di azione. Questa capacità risulta essere un apprendimento strategico che porta il soggetto ad essere in grado di comprendere in tutto l’arco della vita e in contesti diversi. Si tratta di premunirsi degli “ attrezzi del mestiere per comprendere e per poter essere attori sociali nella Knowledge society”[3].

L’idea di competenza così assunta,  rimanda al concetto di empowerment anche per l’organizzazione oltre che per il singolo.  L’impresa che si muove sul modello di empowerment, sostiene Nicoli, concepisce se stessa come un organismo in grado di contribuire non solo allo sviluppo delle risorse umane ma anche alla qualificazione della vita  comunitaria e sociale.[4] Da agente puramente economico–redditale, l’azienda diviene un vero e proprio attore culturale.

[1] Cancelli S., Il peso delle parole, Editrice La Scuola, Brescia, 2010
[2] ibidem
[3] Alberici A., “ Per una pratica riflessiva integrata. La progettazione curricolare orientata alle competenze nella dimensione del Lifelong Learning.” In Montedoro ( a cura di ) Le dimensioni metacurricolari dell’agire formativo. Franco Angeli, Milano.
[4] Nicoli D., Responsabilità sociale, lavoro e tutela dell’ambiente in Malavasi P. (a cura di), L’impresa della sostenibilità. Tra pedagogia dell’ambiente  e responsabilità sociale, Vita e Pensiero, 2007

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