
Dalle ricerche e gli studi che ho effettuato in questi anni e in particolare in questi ultimi due anni di studio al Master di Coaching, ho avuto la conferma di ciò che intuivo a livello emotivo e cioè che una persona porta sempre con sé tutto ciò che essa è e vive, in qualsiasi cosa faccia.
Quando alleno l’atleta che ho davanti non è un corpo che si muove meccanicamente, ma una persona che sta vivendo delle emozioni, che ha un suo vissuto psicologico, un suo vissuto sociale che interagisce con gli altri e di conseguenza anche un corpo che si muove riflettendo tutto ciò.
Un compito andato male, un litigio con i genitori, con gli amici, oppure con la ragazza, crea un peso notevole nella seduta di allenamento alterandone il carico. Oppure altre volte quando l’atleta non ha chiaro l’obiettivo finalizzato alla sua carriera sportiva (difficile per un atleta giovane), o non è sufficientemente motivato, inconsapevolmente crea una forte riduzione energetica ed esegue un allenamento “imposto”, sia fisicamente, ma soprattutto psicologicamente; si sovraccarica di un’ ulteriore sforzo, mantenendo così tutto il suo essere in contrazione, limitando l’apporto di “linfa vitale”, privandosi della quantità giusta di energia per poter sopperire alla richiesta di un’ ulteriore sforzo adatto allo scopo. Di conseguenza l’atleta non riesce ad ottenere il meglio dal suo corpo, sia come risposta “energetica” che “mentale e fisiologica”.
Il compito più difficile per me, è cercare di ottenere il massimo da una serie di sedute allenanti con adeguati carichi di lavoro. La maggior parte dei miei atleti non corrispondono ad un eterocronismo negli allenamenti. Allenandosi “alla giornata” in base all’umore, non riescono ad ottenere lo stress necessario, per innescare un corretto adattamento; infatti solo la fatica muscolare sostenuta per un certo periodo, crea un ’ulteriore aumento del potenziale, migliorando la successiva performance.
Ma come Coach “olistico” non posso non tenere in considerazione che ogni individuo, vive di pulsioni e di una miriade di emozioni. Queste ultime gestiscono quotidianamente la nostra vita. Pertanto è impossibile che un giorno sia uguale ad un altro. Nell’ altalenante procedere della vita, in cui tutti noi viviamo il 98% inconsapevolmente, in quanto le “nostre percezioni emozionali” ci obbligano ad essere sempre in azione-reazione, compiamo azioni sulle quali non abbiamo il controllo.
Dopo un’ allenamento non soddisfacente, se mi faccio un'“introspezione” di ciò che è accaduto (come in un film quando riguardo i fotogrammi), noto che se mi sono proposto senza “intelligenza emotiva", con un’ interazione scarsamente empatica (come direbbe Daniel Goleman), fin dall'inizio dell’allenamento ho creato un terreno poco favorevole per sviluppare una buona “interazione relazionale”, e come effetto da parte degli atleti, ottengo una risposta negativa sul piano pratico.
Le condizioni iniziali dell’allenamento poste non positivamente, sottopongono tutti, ad una sorta di “sequestro emozionale”, creando condizioni sfavorevoli per una corretta seduta di lavoro. Al contrario se si fossero create condizioni di un buon “flow relazionale” la squadra avrebbe potuto dare una risposta adeguatamente efficace alla necessità del carico allenante di quella seduta.
Allora questa ricerca mi ha offerto la possibilità di approfondire alcune tematiche e di rendermi conto che devo riuscire ad avere una capacità emotiva più duttile, cioè devo riuscire a modificare in “corso d’opera” l’allenamento a seconda del clima che si sta respirando, sia per l’atleta singolo, che per tutti i componenti della squadra.
Cambiando e adattando delle parti, sostituendo la finalità allenante precedentemente codificata per quella seduta, in modo tale che il carico di lavoro diventi più sostenibile, riuscendo a fare emergere le risorse e il potenziale adeguato e necessario per l’occorrenza. Senza però scivolare nella pura improvvisazione, in quanto devo sempre e comunque, tenere ben presenti gli obiettivi concordati; non solo, ma cercando di mantenere sempre chiari i ruoli che si giocano nella nostra dinamica di gruppo. Molte volte mi rendo conto che il mio gruppo di atleti utilizza delle modalità strumentali per spingermi a tirare fuori la parte peggiore di me come la rabbia, l’ incomprensione, la poca tolleranza alle quali potrei giustificarmi con un’alibi: “visto che ti comporti male con me, io mi sento autorizzato a non lavorare bene!”. Cerco di evitarlo. Essendo “vecchio del mestiere” il più delle volte reagisco facendo normalmente il giro della vasca, (anche due) e così facendo, talvolta, evito la trappola della provocazione.
STO IMPARANDO !!
RINGRAZIAMENTI
A questo punto mi sento di ringraziare:
I miei atleti che nel loro tentativo continuo di logorarmi, mi spingono ad attrezzarmi adeguatamente alle loro sollecitazioni.
La mia Società nella veste del mio “amico-capo” Tonino, che pretendendo sempre ottimi risultati e che mai lo soddisfano, mi spinge a fare sempre di più per raggiungerli, creando così i presupposti - quando lascerò il mio corpo – di allenare nuoto in una squadretta di Santi in Paradiso, posto che mi spetterà di diritto, visto tutta la mia pazienza nel sopportare, che mi ha fatto accumulare Karma buono, per l’idoneità .
I miei docenti, che mi hanno dato un grande Aiuto nel percorso didattico che sto continuando a perseguire; con i rinforzi Tecnici psicologici e insegnamenti per il compito di coach da parte del Dott. Lorenzo Manfredini; spunti illuminanti e fruibili provenienti dal Cr Armando Lombardi; e gli insostituibili suggerimenti del Dott. Daniele Trevisani, dove con saggezza professionale si mescolano spunti umanistici-pratici ricchi di contenuti utili per il mio percorso di apprendimento.
Salvatore Piazzese
Quando alleno l’atleta che ho davanti non è un corpo che si muove meccanicamente, ma una persona che sta vivendo delle emozioni, che ha un suo vissuto psicologico, un suo vissuto sociale che interagisce con gli altri e di conseguenza anche un corpo che si muove riflettendo tutto ciò.
Un compito andato male, un litigio con i genitori, con gli amici, oppure con la ragazza, crea un peso notevole nella seduta di allenamento alterandone il carico. Oppure altre volte quando l’atleta non ha chiaro l’obiettivo finalizzato alla sua carriera sportiva (difficile per un atleta giovane), o non è sufficientemente motivato, inconsapevolmente crea una forte riduzione energetica ed esegue un allenamento “imposto”, sia fisicamente, ma soprattutto psicologicamente; si sovraccarica di un’ ulteriore sforzo, mantenendo così tutto il suo essere in contrazione, limitando l’apporto di “linfa vitale”, privandosi della quantità giusta di energia per poter sopperire alla richiesta di un’ ulteriore sforzo adatto allo scopo. Di conseguenza l’atleta non riesce ad ottenere il meglio dal suo corpo, sia come risposta “energetica” che “mentale e fisiologica”.
Il compito più difficile per me, è cercare di ottenere il massimo da una serie di sedute allenanti con adeguati carichi di lavoro. La maggior parte dei miei atleti non corrispondono ad un eterocronismo negli allenamenti. Allenandosi “alla giornata” in base all’umore, non riescono ad ottenere lo stress necessario, per innescare un corretto adattamento; infatti solo la fatica muscolare sostenuta per un certo periodo, crea un ’ulteriore aumento del potenziale, migliorando la successiva performance.
Ma come Coach “olistico” non posso non tenere in considerazione che ogni individuo, vive di pulsioni e di una miriade di emozioni. Queste ultime gestiscono quotidianamente la nostra vita. Pertanto è impossibile che un giorno sia uguale ad un altro. Nell’ altalenante procedere della vita, in cui tutti noi viviamo il 98% inconsapevolmente, in quanto le “nostre percezioni emozionali” ci obbligano ad essere sempre in azione-reazione, compiamo azioni sulle quali non abbiamo il controllo.
Dopo un’ allenamento non soddisfacente, se mi faccio un'“introspezione” di ciò che è accaduto (come in un film quando riguardo i fotogrammi), noto che se mi sono proposto senza “intelligenza emotiva", con un’ interazione scarsamente empatica (come direbbe Daniel Goleman), fin dall'inizio dell’allenamento ho creato un terreno poco favorevole per sviluppare una buona “interazione relazionale”, e come effetto da parte degli atleti, ottengo una risposta negativa sul piano pratico.
Le condizioni iniziali dell’allenamento poste non positivamente, sottopongono tutti, ad una sorta di “sequestro emozionale”, creando condizioni sfavorevoli per una corretta seduta di lavoro. Al contrario se si fossero create condizioni di un buon “flow relazionale” la squadra avrebbe potuto dare una risposta adeguatamente efficace alla necessità del carico allenante di quella seduta.
Allora questa ricerca mi ha offerto la possibilità di approfondire alcune tematiche e di rendermi conto che devo riuscire ad avere una capacità emotiva più duttile, cioè devo riuscire a modificare in “corso d’opera” l’allenamento a seconda del clima che si sta respirando, sia per l’atleta singolo, che per tutti i componenti della squadra.
Cambiando e adattando delle parti, sostituendo la finalità allenante precedentemente codificata per quella seduta, in modo tale che il carico di lavoro diventi più sostenibile, riuscendo a fare emergere le risorse e il potenziale adeguato e necessario per l’occorrenza. Senza però scivolare nella pura improvvisazione, in quanto devo sempre e comunque, tenere ben presenti gli obiettivi concordati; non solo, ma cercando di mantenere sempre chiari i ruoli che si giocano nella nostra dinamica di gruppo. Molte volte mi rendo conto che il mio gruppo di atleti utilizza delle modalità strumentali per spingermi a tirare fuori la parte peggiore di me come la rabbia, l’ incomprensione, la poca tolleranza alle quali potrei giustificarmi con un’alibi: “visto che ti comporti male con me, io mi sento autorizzato a non lavorare bene!”. Cerco di evitarlo. Essendo “vecchio del mestiere” il più delle volte reagisco facendo normalmente il giro della vasca, (anche due) e così facendo, talvolta, evito la trappola della provocazione.
STO IMPARANDO !!
RINGRAZIAMENTI
A questo punto mi sento di ringraziare:
I miei atleti che nel loro tentativo continuo di logorarmi, mi spingono ad attrezzarmi adeguatamente alle loro sollecitazioni.
La mia Società nella veste del mio “amico-capo” Tonino, che pretendendo sempre ottimi risultati e che mai lo soddisfano, mi spinge a fare sempre di più per raggiungerli, creando così i presupposti - quando lascerò il mio corpo – di allenare nuoto in una squadretta di Santi in Paradiso, posto che mi spetterà di diritto, visto tutta la mia pazienza nel sopportare, che mi ha fatto accumulare Karma buono, per l’idoneità .
I miei docenti, che mi hanno dato un grande Aiuto nel percorso didattico che sto continuando a perseguire; con i rinforzi Tecnici psicologici e insegnamenti per il compito di coach da parte del Dott. Lorenzo Manfredini; spunti illuminanti e fruibili provenienti dal Cr Armando Lombardi; e gli insostituibili suggerimenti del Dott. Daniele Trevisani, dove con saggezza professionale si mescolano spunti umanistici-pratici ricchi di contenuti utili per il mio percorso di apprendimento.
Salvatore Piazzese